“Power, Corruption & Lies” dei New Order compie 40 anni: cinque curiosità sul disco che ha plasmato il suono della band post Joy Division
Il 2 maggio 1983 usciva il secondo album della band nata dopo la morte di Ian Curtis. Cinque cose che forse non conoscevate su quello che è considerato il vero disco d’esordio dei New Order
Pubblicato il 2 maggio 1983, Power, Corruption & Lies può essere considerato il primo vero album dei New Order perché è quello che segna davvero il passaggio di consegne sonore a una nuova band dopo la morte di Ian Curtis. Il suo predecessore (Movement del 1981), invece, pur essendo a tutti gli effetti l’album di debutto ufficiale della band, era un disco ancora troppo legato alle sonorità post-punk dark wave dei Joy Division per essere visto come un nuovo esordio.
Anche perché su Movement – oltre ad esserci alcune canzoni scritte da Ian Curtis – incombe ancora la presenza di Martin Hannett. Il produttore dei precedenti lavori dei Joy Division, che non vedeva di buon occhio l’ingresso della tastierista Gillian Gilbert, compagna del batterista Stephen Morris.
Con Power, Corruption & Lies i New Order si liberano anche di questo ulteriore “fardello” e assumono il controllo totale del loro nuovo sound. Che andrà ibridare il post punk delle origini con la musica dance, generando un cocktail irresistibile.
La trasformazione fu meno immediata di quanto si possa pensare leggendo queste poche righe. Vide prima la pubblicazione di due singoli di transizione fondamentali per l’approdo definitivo di PC&L. Il primo è Temptation del 1982, ri-registrato nel 1987 per l’antologia Substance e inserito nella colonna sonora di Trainspotting.
Il secondo è l’asso pigliatutto Blue Monday, pubblicato il 7 marzo 1983 e incredibilmente lasciato fuori dal disco ufficiale, uscito due mesi dopo. Sebbene le sue tracce siano più che evidenti in tutti i brani (e in uno in particolare). Una scelta piuttosto insolita che rispecchia lo spirito iconoclasta incarnato anche dal titolo dell’album. Che a sua volta era stato preso da una frase di protesta scritta dall’artista tedesco Gerhard Richter fuori da una mostra di Colonia nel 1981: POTERE, CORRUZIONE, BUGIE. Vediamo allora cinque curiosità sul disco con cui i New Order si ribellano al passato per diventare sé stessi.
Cinque curisotià su “Power, Corruption & Lies” dei New Order
1. La copertina è un cesto di rose di fine ‘800
All’arte è legata non solo la storia del titolo. Ma anche quella della copertina raffigurante il quadro impressionista di fine 800 di Henri Fantin-Latour “A Basket of Roses”. Il quadro però ha una piccola rielaborazione in altro a destra, frutto di un’idea del celebre art director della Factory Records, Peter Saville. Già autore delle famose copertine dei Joy Division.
Ma andiamo con ordine. Spinto da un’intuizione legata al titolo machiavellico dell’album, Saville ha raccontato di essersi recato d’istinto alla National Gallery per “cercare un ritratto rinascimentale di un principe oscuro”. Ma non avendo trovato niente di interessante se ne è tornato a casa dopo aver comprato alcune cartoline al negozio di souvenir. Una di queste rappresentava proprio il cesto di rose di Fantin-Latour che finirà sulla copertina su consiglio della sua fidanzata. “Era un’idea meravigliosa” confiderà Saville, perché “i fiori suggerivano come potere, corruzione e bugie si infiltrano nelle nostre vite. Sono seducenti”.
Il tocco di classe di Saville sarà quello di suggerire la mercificazione dell’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica attraverso l’aggiunta di un codice cromatico – decifrabile solo grazie alla stampa sul retro di copertina – che una volta risolto restituisce la scritta “FACT 75”. Cioè il 75esimo album della Factory Records.
2. I testi improvvisati di Bernard Sumner
Con questo album il chitarrista e cantante Bernard Sumner decide di assumere il controllo totale dei testi. Il problema è che spesso non se li ricorda e per questo li improvvisa direttamente sul palco. Come ha dichiarato Stephen Morris: “I testi di Bernard hanno sempre avuto un significato per lui. Anche se in concerto ne dimenticava la maggior parte e li inventava sul momento!”.
Nel periodo successivo a Movement, la band si è ritrovata spesso a scrivere le nuove canzoni dal vivo direttamente sul palco. E di certo ci voleva un bel coraggio da parte sua a presentarsi su quasi senza parole. Sembra incredibile ma i testi di Power, Corruption & Lies sono in gran parte frutto dell’assemblaggio dei pezzi migliori delle improvvisazioni di Bernard sul palco e in studio.
Certamente non sono testi che vinceranno il Nobel per la letteratura come quelli di Bob Dylan o il Pulitzer come quelli di Kendrick Lamar. Considerato che uno dei brani migliori dichiara testualmente: No hearing or breathing / No movement, no lyrics / Just nothing. Eppure a volte è proprio il loro essere così semplici e naif a renderli così genuinamente adorabili. Come nel caso dell’inciso di The Village. Our love is like the flowers / The rain, the sea and the hours (Il nostro amore è come i fiori, la pioggia, il mare e le ore).
3. “Blue Monday” c’è ma non si vede (si sente)
Come abbiamo già precisato, il singolo più famoso dei New Order è stato volutamente lasciato fuori dall’album. Eppure la sua presenza aleggia su tutti i brani del disco nei quali sembra essere stata iniettata la febbre del sabato sera. In particolare sulla traccia n. 4 intitolata semplicemente 5 8 6 che può essere considerata a tutti gli effetti una demo originale di Blue Monday, quasi una sorta di testimonianza diretta della genesi del brano più famoso. Quando viene eseguita dal vivo i musicisti abbandonano letteralmente il palco lasciando che siano le macchine (sintetizzatore, sequencer e drum machine) a riprodurre la traccia pre-programmata.
Lungo i sette minuti e mezzo di questo magma sonoro artificiale possiamo riconoscere distintamente alcuni elementi fondanti di Blue Monday, come la batteria sottratta a Donna Summer e Giorgio Moroder in Our Love e la linea di basso presa in prestito da You Make Me Feel (Mighty Real) di Sylvester. Dalla diversa combinazione di questi e altri organi vitali (vedi alla voce Kraftwerk e Dirty Talk senza dimenticare La resa dei conti di Ennio Morricone) nascerà il singolo più venduto della band, un nuovo mostro di Frankenstein del dancefloor, capostipite del lato più ballabile del synth pop che spopolerà per tutti gli anni ’80 facendo figli e figliastri.
4. “Your Silent Face” e la nostalgia di Bret Easton Ellis
A proposito di figli e figliastri uno dei brani migliori del lotto –Your Silent Face – è una ballata figlia di Atmosphere , forse il brano dall’andamento più romantico dei Joy Division. Se lì si implorava qualcuno di non andare via in silenzio (don’t walk away in silence), qui quel qualcuno se ne è già andato e ha lasciato dietro di sé proprio quel silenzio (No hearing or breathing / No movement, no colors / Just silence). Alcuni ipotizzano che questi versi criptici siano la manifestazione del sentimento di Sumner nei confronti del mondo dopo la scomparsa di Ian Curtis, ma è difficile da affermare con certezza.
Di certo i suoi versi hanno colpito anche lo scrittore americano Bret Easton Ellis che citerà il pezzo nel suo romanzo “Le regole dell’attrazione” (da cui è stato tratto anche un film)prendendolo a paradigma di certa malinconia musicale degli anni Ottanta.
“An especially loud New Order song comes from the open windows at McCullough, ‘Your Silent Face.’ Sean liked this song, so did Mitchell in fact. Gerald says, ‘Jesus, I really hate this song.’ I kiss him once more. It turns out to be the last song of the party. It fades out, nothing replaces it.” Nel brevissimo estratto in cui viene citato, il brano sugella la fine di una festa, dopodiché non rimane più niente. Just Nothing.
5. Il fantasma di Ian Curtis
Tuttavia, il fantasma di Ian Curtis permane. Anche in altri brani come We All Stand e Ultraviolence, i cui temi suggeriscono il lavoro di scrittori particolarmente amati da Curtis, come J.G. Ballard con la sua ossessione sul Vietnam ne La Mostra delle atrocità o Anthony Burgess con l’ultraviolenza di Arancia Meccanica. In entrambi i brani si sente la voce di Sumner che lotta e soffre per qualcosa, perché “alla fine della strada c’è un soldato che lo aspetta” (at the end of the road there’s a soldier waiting for me) o semplicemente perché “è ora di andare, è ora di andare” (time to go, time to go), ma anche di lasciare e lasciarsi andare.
Per questo la canzone che chiude il disco – Leave Me Alone – ruota intorno all’immagine di tante anime solitarie su altrettante isole deserte. “Su mille isole nel mare, vedo mille persone come me. Cento unioni nella neve, li guardo camminare, cadere uno dopo l’altro. Viviamo sempre sottoterra, sarà così tranquillo qui dentro stanotte. Mille isole nel mare, è un peccato“.
Per alcuni si tratta di una rappresentazione metaforica dell’introversione, per altri di un tentativo di stabilire una connessione tra la terra dei vivi e quella dei morti, e quindi tra lui e Ian Curtis, in a lonely place, come quella volta che tentò di ipnotizzarlo per farlo “regredire a una vita passata”.
Ascoltando la registrazione agghiacciante di quella seduta udiamo quella che è già la voce di uno spettro che vaga nella terra dei morti, come ha detto Mark Fisher. «La sua voce – fin dall’inizio spaventosa nel suo fatalismo, nella sua accettazione del peggio – sembra quella di un uomo già morto, o già entrato in un terribile stato di animazione sospesa, di morte-in-vita. Suona soprannaturalmente antica, come una voce che non si può far risalire ad alcun essere vivente, e meno che meno a un ragazzo di soli vent’anni».
Purtroppo qualsiasi tentativo stabilire una connessione profonda con lui è fallita miseramente e allora le ultime parole pronunciate da Sumner nel disco – leave me alone – sono anche le ultime parole perfette per ricordarlo.