Elettronica

“The Essence”, il ritorno all’essenza di Paul Kalkbrenner

La risposta dell’artista alla spasmodica voglia dell’avere sempre di più è chiara: ritornare alla semplicità. Come fa nel suo nuovo album

  • Il16 Ottobre 2025
“The Essence”, il ritorno all’essenza di Paul Kalkbrenner

Foto di Svenja Ava

Avere la voglia di cambiare le regole del gioco è forse la caratteristica principale per essere un buon produttore. Paul Kalkbrenner ne è consapevole, come dimostra il suo nuovo album The Essence pubblicato 10 ottobre.

Un album che racchiude in sé tutto il percorso musicale del suo autore: dalle sonorità più rilassate a quelle dinamiche, dalle tinte sperimentali fino a quelle più canoniche che rispettano la techno tradizionale. Insomma, un disco fatto per raccontare una storia: la sua. Un ritorno all’essenziale che inquadra in modo perfetto il suono e la voglia di costruire qualcosa di solido, in grado di eludere le regole di mercato.

Fun fact: alcune anni fa ho avuto modo di intervistare il fratello, Fritz. Durante la nostra conversazione emerse una considerazione sulla spendibilità dei formati musicali e sull’importanza del produrre singoli piuttosto che album, soprattutto in un momento storico come il nostro, in cui la musica è estremamente liquida.

Mai avrei pensato che la risposta a questa domanda sarebbe potuta arrivare dal fratello, Paul Kalkbrenner. Perché The Essence fa anche questo: ci mostra la vera importanza di un album perfettamente pensato e metodicamente costruito.

Come nasce The Essence di Paul Kalkbrenner

“Questo è un album che parla dell’essenziale. Lo considero il mio migliore di sempre”. È proprio da questa frase che bisogna partire per capire il nuovo album di Paul. The Essence ha un obiettivo chiaro: riportare a quel suono autentico che ha contraddistinto la firma del produttore tedesco.

L’intento è definito fin dai primi secondi di ascolto. Il suono si mostra più scuro, più denso, ma anche sperimentale e ricercato, soprattutto rispetto al suo precedente album, Parts of Life del 2018.

C’è anche un altro dettaglio: per la prima volta da quell’ormai lontano Guten Tag (2012), figurano dei brani dal titolo tedesco. Sebbene sia solo una minuzia, non è cosa da poco: è come se in questo disco il kaiser della techno “made in Berlin” abbia voluto proporre una summa della propria identità artistica.

Da un lato abbiamo il profilo internazionale, con brani dal titolo anglofono; dall’altro invece viene espressa una forte identità nazionale, con quei suoni che hanno forgiato il suo modo di fare musica. Nota bene: non abbiamo considerato deliberatamente l’album X del 2014 perché, sebbene sia un progetto ufficiale, riparte da canzone edite e rielaborate da vari remixer.

Lungo i suoi 53 minuti di ascolto troviamo una grinta, un’energia e anche un’estetica musicale precisa: ogni minimo elemento rappresenta l’autore nella sua interezza.

Il singolo NINETY-TWO ne è la prova: è come “se quel suono (quello dei primi album, ndr) avesse semplicemente continuato a evolversi fino ai giorni nostri senza interruzioni”, ha dichiarato l’artista a Beatportal.

Partendo da questo “passato in costante evoluzione” nasce NINETY-TWO: non  un mero tributo nostalgico ma l’espressione compiuta di una continuità mai interrotta. Il suono è una techno viva, costruita su linee di basso e synth analogici, con una struttura in evoluzione costante.

Il concept dietro il disco

The Essence non è un concept album narrativo nel senso tradizionale, piuttosto esprime un atteggiamento: un’idea di autenticità, una ricomposizione delle parti migliori della sua musica per creare qualcosa di nuovo e in grado di resistere al tempo.

Viene eliminato ciò che non serve: combina ogni elemento della canzone, ogni singolo brano della tracklist all’interno di un quadro preciso. Tutto ha un valore determinato e contribuisce nell’economia generale del disco.

Per descrivere al meglio The Essence però lasciamo che sia lo stesso Paul Kalkbrenner a parlarne: “Molte canzoni dell’album sono state realizzate in un periodo in cui non stavo nemmeno pianificando un disco”, ha spiegato a DJ Mag. “Avevo smesso di pensarci, ma poi ho capito quanto sia bello avere di nuovo qualcosa con una visione d’insieme più ampia. Questo è un album che parla dell’essenziale. Lo considero il mio migliore di sempre”.

Zero filler. Tanta sostanza e varie sfumature di ritmo, suono e stile. Il DJ tedesco ha creato questo album per recuperare la spontaneità originale. Proprio quella libertà narrativa e di sperimentazione che affascinava l’ascoltare negli album d’esordio, e che spesso è stata lasciata alle spalle in vista di singoli più facilmente spendibili. Ha creato un nuovo spazio narrativo, elaborando un percorso in grado di unire passato e presente.

In questo senso “l’essenza” rappresenta il “minimo essenziale” che rimane quando viene meno il superfluo. Ed eliminando il superfluo rimane poco, anzi, il necessario: la buona musica e le emozioni che questa porta con sé.

Cosa rappresenta The Essence nella carriera di Paul Kalkbrenner?

In termini di sound design, The Essence racchiude almeno due mondi: da un parte abbiamo il lato più narrativo dei suoi precedenti lavori (si pensi a Parts of Life), dall’altro invece riprende la ruvidità del suono analogico e della techno “made in Berlin”.

Il risultato di questo processo? Un suono che vibra, costantemente. Un suono fatto di synth, texture e layer. Il brano Dreaming On realizzato in collaborazione coi Depeche Mode è la sintesi di quanto detto: bassline profonde, linee melodiche mai banali e un uso sapiente del riverbero. Il taglio è quasi epico, psichedelico nella sua semplicità.

Rispetto a Parts of Life, l’album di oggi segna un vero e proprio cambio di paradigma. Se quello era un lavoro introspettivo, quasi documentaristico, una raccolta di frammenti musicali costruiti come soggetti fotografati nella loro staticità, in The Essence si percepisce un moto narrativo, un voler raccontare qualcosa nel suo mutare secondo dopo secondo.

Il suono, pur rimanendo inconfondibile, cambia rotta: la differenza sta nel rapporto con la “imperfezione”. In Parts of Life ogni frequenza è calibrata con precisione, perfetta nella sua immobilità. In The Essence c’è dinamicità, tanto nei pattern che strutturano i brani quanto fra le stesse canzoni che compongono la tracklist. A farla da padrone dunque è la dinamicità con costanti cambi di ritmo, di tono e colore. Basti pensare a DER SCHLÖRHEINZ, sesto brano dell’album.

Ha ancora senso per i grandi DJ produrre album?

In The Essence troviamo un Paul Kalkbrenner che mancava da diverso tempo e che dà concettualità ad un disco importante, tanto per lui quanto per noi ascoltatori. Come ammette, aveva “praticamente smesso di fare album, ma poi ho capito quanto è bello avere qualcosa che riconnette tutto”. Eccome se si sente.

Arriviamo dunque all’interrogativo fondamentale che attanaglia oggi vari produttori e che titola questo paragrafo. “Ha ancora senso fare album?” La risposta è sì: ha ancora senso! Ed è anche molto importante farli. L’album, se fatto con idee e visione, rimane l’espressione più compiuta che un artista possa avere, a differenza dei singoli che sono dei prodotti finiti, senza una direzione a lungo termine (con le dovute eccezioni).

In album come The Essence si percepisce qualcosa in più: un legame profondo, quel filo rosso che mette in contatto ogni brano, che collega il mondo sperimentale dell’elettronica di NINETY-TWO con quello mainstream di QUE CE SOIT CLAIR con Stromae. Fare un album significa avere il coraggio di alzare le aspettative, modificare un percorso e uscire dalla propria comfort zone.

The Essence riesce in questo, in modo perfetto. L’artista riesce a tornare all’essenza del fare musica per sé, prima ancora che per il mercato. E a noi non resta che ballare sotto cassa le magiche note firmate Paul Kalkbrenner.

Articolo di Gianluca Faliero

Ascolta The Essence di Paul Kalkbrenner

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