Interviste

Working Men’s Club: «Ci piace il contrasto tra musica allegra e testi oscuri»

Tra le nuove leve della scena elettronica UK che deve molto al periodo post punk ci sono loro: il frontman Syd Minsky-Sargeant è uno dei compositori di maggior talento in circolazione, come dimostra la bellezza di il nuovo album “Fear Fear”

Autore Tommaso Toma
  • Il6 Agosto 2022
Working Men’s Club: «Ci piace il contrasto tra musica allegra e testi oscuri»

Working Men's Club

Lucido e ludico: potremmo riassumere in queste due parole la personalità del giovanissimo Syd Minsky-Sargeant, che scrive canzoni addirittura da quando era bambino e che con la sua creatura, i Working Men’s Club, ha stupito pubblico e critica con l’omonimo album di debutto. Era l’estate 2020 quando la band di Syd s’impose nel panorama sempre più effervescente della nuova scena post punk UK (chiamiamola ancora genericamente ancora così ma non sarebbe più il caso…).

La peculiarità dei Working Men’s Club è frutto della sensibilità dance di Sargeant, che attinge dalla scuola di Sheffield (gli amatissimi Cabaret Voltaire, e poi Human League, B.E.F., Clock DVA o i favolosi Vision che con il synth pop di Lucifer’s Friend arrivarono al numero 1 in Italia!), da una certa muscolarità del sottogenere belga new beat (sempre anni ’80) e da una certa attrazione per il sottobosco indie electro contemporaneo.


Fear Fear è più complesso rispetto al debutto, tematicamente più dinamico, e riesce a reggere i contrasti con credibilità: vita/morte, accettazione/isolamento, speranza/disperazione, mondo reale/digitale. «Mi piace il contrasto tra musica allegra, positiva, e testi davvero oscuri», afferma Syd, e noi ne siamo affascinati. Basta ascoltare il pop elettronico sinuoso e oscuro di Window (degna dei New Order). Non ci resta che andarli a vedere dal vivo prestissimo, il 13 settembre al Magnolia.

La notevole Window ha un testo molto cupo e sembra risentire di tutte le tragedie che stiamo attraversando. Ce ne parli?

Era una canzone che ho scritto prima della pandemia. Addirittura avevo iniziato a metterla giù durante il periodo in cui scrivevo per il primo album dei Working Men’s Club. Poi durante la pandemia ho iniziato a registrare la versione master con Ross per il nostro secondo disco, ed è cambiata molto. In effetti risente di quello che il Pianeta ha vissuto rispetto al periodo in cui era uscito il primo album.


Ci sono altre canzoni che si riferiscono allo stato di disagio e isolamento che tutti noi abbiamo vissuto?

Fear Fear. Quella melodia è nata ispirandosi al fatto che durante la pandemia le nostre vite sociali erano solo online. Non c’era interazione fisica con altri umani (a meno che tu non vivessi con loro). Ho pensato tantissimo a questa cosa e ho scritto una canzone su questo. Penso che sia la canzone più claustrofobica del disco.

A proposito, c’è un disco, una canzone che hai ascoltato spesso durante il periodo pandemico?

Sky’s the Limit di Luke Vibert.

Circumference mi ricorda molto una certa elettronica degli anni ’90. Cosa ti ha ispirato quando l’hai scritta?

Mi sentivo molto libero per la prima volta in vita mia subito dopo aver finito di registrare il primo album. Non mi sembrava di essere vincolato a nessuno e questa canzone era un prodotto di quella sensazione di euforia.

Adoro la linea di basso di Heart Attack.

Grazie! A dire il vero, ho registrato una demo di Heart Attack e non ci ho pensato più molto. Era una di quelle melodie che mi piacciono all’istante, ma quell’interesse era svanito abbastanza rapidamente dopo… Tuttavia la Warp ha apprezzato molto quella melodia, quindi alla fine è sul disco!


Mi dici tre band o artisti che avresti voluto vedere ma non sei mai riuscito a farlo?

Pulp, Underground Resistance, Cybotron.

Interessante, ti piacciono gli Underground Resistance e immagino che ti piaccia la techno. C’è qualcosa nell’etica della cultura rave che ti piace?

Non credo che ci sia un’etica specifica, la gente sta insieme per ascoltare musica. In generale la melodia è lo stimolo principale. Ma andare a un rave o a ballare techno è certamente emozionante in un modo diverso rispetto all’andare a guardare una band. Il ritmo ti guida, c’è qualcosa di “meccanico”, penso, e il lato umano è stare in mezzo ad altre persone e ballare insieme invece di guardare qualcuno esibirsi. Comunque ci sono delle eccezioni, immagino dipenda dalla serata.

Cut è super orecchiabile, ma anche la traccia più rock. Ci puoi raccontare come è nata?

Inizialmente era uno strumentale. Me ne sono dimenticato per circa un anno, poi ho scritto dei testi per adattarli alla canzone mentre ero sotto la doccia. Ha trasformato quello che era solo un loop di otto battute in una canzone di sette minuti. Gli assoli di chitarra sono stati scritti insieme ai testi.

La città dove hai visto i locali più belli?

A Berlino: il Suicide Circus, il Tresor… potrei continuare la lista per un bel po’.


Per chiudere, qual è primo disco che hai amato alla follia?

Best of Bowie di David Bowie.

Share: