L'”Oro Blu” di Bresh, dal legame con il mare ai brani per spogliarsi completamente. L’intervista
Il rapper genovese è cresciuto e ha voglia di raccontarsi con linguaggi differenti, e featuring che potrebbero spiazzare, senza paura di spogliarsi davvero
La prima volta che ho ascoltato Oro Blu, il nuovo album di Bresh uscito oggi, venerdì 4 marzo, ho pensato che fosse uno dei progetti più interessanti di questi ultimi mesi. E l’ho apprezzato, forse un po’ egoisticamente, perché mi ha emozionato e mi ha parlato in un momento in cui ne avevo bisogno.
Brani come Andrea e Svuotatasche dimostrano la volontà di Bresh di spogliarsi completamente, forse con un po’ di paura (perché il giudizio degli altri incombe sempre su di noi), ma con la consapevolezza di essersi raccontati con sincerità. Ma questa è solo una delle facce di Andrea Brasi. Perché in Oro Blu c’è la voglia di sperimentare, in brani come Amore (un bel pezzo dance prodotto da Greg Willen), Alcool & Acqua (con gli Psicologi, dove Bresh si immerge perfettamente nel loro mondo, amalgamandolo col suo) o La presa B e la presa male, con l’unica voce femminile dell’album, Francesca Michielin.
Bresh, a vederlo sul palco durante il release party di ieri, giovedì 3 marzo, alla Santeria Toscana di Milano, sembra rilassato, ma soprattutto felice. Si lascia andare a lunghi ringraziamenti, racconta della “presa male” dopo aver pubblicato Andrea, ma soprattutto canta e si racconta attraverso la sua musica.
Ecco un estratto dell’intervista a Bresh che troverete integralmente sul prossimo numero del magazine.
La nostra intervista a Bresh
Bresh, ma qualcuno, prima che annunciassi l’uscita del disco, si era accorto dello spoiler in Caffè?
Sì, devo dire che i fan me lo hanno scritto e si sono parecchio fomentati.
Spoiler voluto e riuscito.
Quando ho chiuso Caffé il disco era praticamente pronto. Avevo voglia di provare a fare questa cosa e il riscontro c’è stato.
Andrea è il singolo che hai scelto come apripista del disco. È un brano molto autobiografico, riesci sempre ad intrecciare passato e presente in modo interessante. Immagino che la scelta di questo brano non sia casuale, perché ti farà sicuramente conoscere meglio da chi ti ha scoperto con Angelina Jolie, ad esempio.
Esatto, sicuramente volevo far uscire un pezzo che non parlasse di ragazze o di argomenti leggeri. Volevo buttare fuori un pezzo di rappresentanza, forse un po’ troppa (ride, ndr), visto che mi sono spogliato molto. All’inizio non pensavo potesse essere un singolo, essendo così personale, invece poi riascoltandolo ho deciso di farlo uscire, anche perché penso che le sonorità siano molto belle e anche un po’ inedite per la mia musica.
Ti fa un po’ paura l’esserti spogliato in questo modo?
Negli ultimi due giorni (ride, ndr.). Doveva succedere, comunque. La cosa che mi fa stare “tranquillo” è che non ho ricevuto nessuna critica per questo pezzo. Questa cosa mi fa piacere da un lato e dall’altra mi fa ridere “caspita, quanta empatia”.
Bresh, dai brani autobiografici al legame con Shune
E di molto autobiografico nel disco c’è anche Svuotatasche. Qui dici “per non scordarti chi sei e sapere cosa vuoi”. Tu fai entrambe le cose: non dimentichi mai chi sei e sai bene cosa vuoi. Ci sono le due facce di Bresh/Andrea.
Svuotatasce è sicuramente un pezzo importante, anche nella mia ottica di fare musica, perché cerco sempre di trattare una tematica o un argomento che racconti qualcosa di me. Questo mi rappresenta bene perché con la metafora dello “svuotatasche” sono riuscito a raccontare quello che volevo.
Da Svuotatasche passiamo ad Angelina Jolie, un brano decisamente più leggero che ha avuto un grande successo. Te lo aspettavi?
Sapevo che era un bel pezzo, ma sinceramente non pensavo che sarebbe esploso così. Ti dirò, all’inizio non volevo neanche farlo uscire, perché parla di ragazze e non avevo mai fatto un pezzo su questo argomento.
Shune continua ad essere il tuo fidato compagno anche in Oro Blu. Qual è l’alchimia che vi lega?
Shune mandò una cartella di beat a diversi artisti della Drilliguria e rimase lì ferma per tantissimo tempo. Ad un certo punto l’ho trovata e ho pensato “cavolo, ha delle sonorità e una ricerca di suono interessante”. Nel 2018 ci siamo incontrati e abbiamo iniziato a lavorare tantissimo insieme. Ti racconto poi un aneddoto: la prima volta che ho beccato Shune in studio, io mi sono addormentato. Nel frattempo lui ha fatto un beat, e quando mi sono svegliato ci ho scritto sopra un pezzo.
Credo che la cosa che ci fa lavorare così bene insieme sia che siamo tranquilli sul giudizio l’uno dell’altro. Noi non pretendiamo troppo l’uno dell’altro e c’è quella tranquillità che ci fa stare davvero bene.
Il documentario sulla Drilliguria e la figura del rapper/cantautore
Prossimamente uscirà un documentario sulla Drilliguria. Com’è stata questa esperienza?
Davvero figa. Quando me l’hanno proposto ho detto subito di sì e ho detto agli altri “ragazzi, non scherziamo”. Perché sapevo che saremmo andati a toccare anche artisti che magari i ragazzi della mia generazione non conoscono, come Gino Paoli, Ivano Fossati e De Andrè. Per me si doveva fare, perché è come se fosse una sorta di check point. Siamo arrivati a qualcosa di molto grande, che prima era rappresentata dalla scuola del cantautorato. Poi, detto sinceramente, non mi metterei mai sullo stesso piano.
Sulla pagina IG del documentario c’è la domande delle domande, che io faccio a te: i rapper sono cantautori?
Secondo me è vero. Non so spiegarti bene l’etimologia dalla parola, ma già in “cantare” e “scrivere” c’è quello che fa il rapper. Non vedo quale sia la differenza con i cantautori. Puoi cambiargli il nome, ma la sostanza è sempre quella.
Forse c’è quell’idea per cui i cantautori siano “figure alte”, come dei poeti della canzone, che trattano di tematiche impegnate. Questa cosa però la si fa anche nel rap.
Esatto, ma anzi i rapper fanno il “lavoro più sporco”. Sicuramente per qualcun altro sarà il contrario, ma per me scrivere una canzone rap è più complicato.
Perché?
C’è una tecnica più complessa, ed è anche una questione di stile e di vocalità. Forse per i cantautori è più un “flusso di coscienza”, mentre nel rap non è sempre così.
Tu hai un legame fortissimo col mare, partendo dal titolo dell’album, fino alla copertina di Che io ci aiuti. C’è un tuo ricordo che riesce a spiegarlo?
I miei lavoravano tutto il giorno e quando ero bambino, dagli 8 ai 14 anni circa, mi lasciavano al mare per tre mesi, praticamente per tutta l’estate. Io stavo lì da solo, o con gli altri, a piedi nudi, senza nessun controllo. Ero totalmente libero di fare quello che volevo. Ho dei ricordi bellissimi di quel periodo ed è stato fondamentale per me.