Hip Hop

Clementino è il supereroe del rap di cui abbiamo bisogno. L’intervista

Il “capocannoniere del sud” è tornato, con un album in uscita domani dove si racconta, dalle gare di freestyle ai brani più introspettivi, senza lasciar da parte l’anima più “cazzona”

Autore Benedetta Minoliti
  • Il28 Aprile 2022
Clementino è il supereroe del rap di cui abbiamo bisogno. L’intervista

Clementino, foto di Narciso Miatto

Durante la nostra intervista Clementino si ferma. Stiamo parlando di Fabri Fibra, mi guarda e dice: «Aspetta, scusami, gli scrivo un messaggio!». È tutto così spontaneo che i tre minuti in cui Clemente cerca un post sul suo profilo Instagram e lo gira a Fabrizio, scrivendogli “ciao fratello, volevo un tuo parere…”, mi sembrano il momento più normale della mia giornata.

L’occasione dell’incontro con Clementino è l’uscita del suo nuovo album, Black Pulcinella, in arrivo domani, venerdì 29 aprile. Un progetto dove il rapper campano si racconta, in tutte le sue sfaccettature. Dalle gare di freestyle alla sua Napoli, dai featuring del disco con le nuove leve del rap napoletano, fino ai brani più introspettivi e a quelli più “cazzoni”, come Crazy Shit con Nello Taver.

Black Pulcinella è il lato oscuro di Clementino, un po’ supereroe del rap, un po’ “capo cannoniere del sud”. In qualunque caso, è l’hip hop di cui abbiamo bisogno in questo momento.

Ecco cosa ci ha raccontato sul suo nuovo album, dal videogame realizzato per l’uscita del disco al video di ATM, fino ai brani e alle collaborazioni.

Sai che il gioco che avete realizzato per Black Pulcinella è difficilissimo? Non sono riuscita a scoprire neanche un feat, oltre al fatto che il mio record è stato di 3 punti…

(ride, ndr.). Qualcuno però ci è riuscito, ma per una questione di principio. E ti dirò, nemmeno io ho fatto chissà quanti punti. Sono idee di IRED, loro preparano anche tutti i miei videoclip. C’è stato un lavoro gigante dietro Black Pulcinella e penso sia la cosa più hip hop che abbia mai fatto. Sai, a 40 anni uno magari fa il disco più pop per arrivare al pubblico, o va in televisione e ne “approfitta”, invece abbiamo rotto gli schemi, anche con i video. Ecco, per dirti, stai a The Voice e fai le rime sboccate, altrimenti non ti diverti più, no? (ride, ndr.)

A proposito di video, come ti è venuta l’idea di raggruppare in quello di ATM artisti di diverse scene, da Gemitaiz a tha Supreme, fino ad Achille Lauro?

Mi piace l’idea del rap comedy, quello ironico un po’ alla Eminem in My Name is. Molti mi hanno detto che è una cosa molto clementiniana e sono contento, perché ho fatto quello che voglio mettendo in primo piano la musica senza pensare ad altro.

Ma qualcuno degli artisti ti ha scritto?

Tutti! Gemitaiz mi ha scritto: “Li mortacci tua sei uguale a me!”. C’è stato un bel riscontro, anche perché conoscendoci, anche se non di persona con alcuni, sanno che l’ho fatto come forma di intrattenimento.

La cover di Black Pulcinella è un omaggio a MF Doom. Ma chi o cosa rappresenta per te il personaggio di Black Pulcinella?

Volevamo tirare fuori un supereroe del rap, e un supereroe napoletano deve avere per forza la maschera di Pulcinella. È stato curato tutto da Francesco Paura, che ha avuto l’idea di creare questo personaggio. Lui è un po’ il mio Alfred, il maggiordomo di Batman che lo consiglia e gli crea tutto. Non abbiamo fatto il Pulcinella bianco per dimostrare che questo è il lato oscuro di Clementino.

Insomma, the dark side of Iena white.

Sì, perché Pulcinella per la commedia dell’arte è comico e vivace, ma dentro è triste, esattamente come me, per dei passati turbolenti.

Ho riscoperto O’ mar e o’ sole, brano che tu hai realizzato nel 2011 con un Rocco Hunt giovanissimo, che all’epoca aveva circa 16 anni. In Black Pulcinella tornate insieme in Emirates.

È un brano che parla di rivalsa. Ad un certo punto dico: “Adesso entro nel salotto di Rai 1 col sigaro e le pantofole”. Parliamo di dove siamo arrivati dopo tanti sacrifici, perché entrambi siamo nati per strada e vedersi in tv, con le persone che ti salutano e ti chiedono foto, è un grandissimo orgoglio.

Nel track by track hai scritto, a proposito del brano, che questo è “il ritorno dei capocannonieri del sud”. Chi sarà , dopo di voi, il prossimo “capocannoniere del sud”?

Geolier, J Lord e Nicola Siciliano. Ci sono altri molto forti, come Enzo Dong, ma è già più grande. Di questa nuova generazione sicuramente questi tre.

Hai definito Univers il “sangue dell’album”. Qui dici: “Se quello che vedo non rispecchia le mie favole”. Tu cosa vedi intorno a te?

Quando sono diventato famoso non ho saputo gestire bene la fama e mi sono affidato subito all’alcol e alla droga. Ad un certo punto mi sono fermato e ho detto: “Sono riuscito a realizzare i miei sogni, ma questa è la favola di diventare famoso?”. Questo è il mio sfogo, e ne parlo adesso perché quel periodo l’ho superato. Piangevo e mi dicevo: “Ma come, sono famoso, ho tutto, e mi ritrovo in comunità per cocaina”. Le mie favole non dovevano essere così. Alla fine sono riuscito a superare tutto grazie ad una batosta e dopo quel periodo buio ho riscoperto la luce.

Dark side of Iena white presenta un po’ tutto l’album, dove troviamo il tuo passato e le gare di freestyle. Una volta i rapper volevano spaccare al Tecniche Perfette, adesso vogliono fare i numeri su Spotify. Cos’è successo?

Sicuramente un artista che crede di essere boss in questa musica e lo fa attraverso i like su Instagram, l’orologio d’oro o il macchinone, forse sbaglia. Sei un boss quando fai 20 date senza perdere la voce o quando fai freestyle e le persone impazziscono.

Clementino e i dissing su Instagram: «Lo fanno perché non sanno rappare»

E proprio su Instagram adesso si fanno i dissing. Perché?

Perché non sanno rappare. Lo dice Mattak nel pezzo che è uscito con me, Capate storte: “Adesso che si ritorna a rappare bene vi vedo un po’ nervosi”. Se io so farlo bene e tu no, l’unico modo che hai per farmi stare zitto è fare la stories su Instagram e dire cazzate? È come un calciatore che fa cinquanta gol e quello che invece si veste bene ma non entra mai in campo. Bisogna studiare, per fare qualsiasi cosa, quindi non c’è da lamentarsi se su dieci solo in tre vanno avanti. Io preferisco vendere magari meno, ma che quando si parla di hip hop a Napoli il mio nome ci sia sempre.

Quando vai ad una gara di freestyle ti riconoscono tutti?

Non mi fraintendere, ma quando arrivo questi mi vedono un po’ come “leggenda”. Pensa Fabri Fibra, magari non vende come gli Youtuber o i trapper, ma porca t***a chiunque parla di lui dice che è il numero uno, che gli vuoi dire? Come Marracash, Salmo o Noyz. E sono felice che i veterani continui ad andare così tanto.

Questo è decisamente un disco autocelebrativo, dove ti racconti a 360 gradi. Te lo puoi permettere, e come dici in La Belva umana: “Io sono vero come il mio rap”.

Rap vuol dire verità, questa è la chiave di tutto. Sarebbe inutile far finta di essere uno che fa le rapine, quando sono il primo a cagarmi sotto (ride, ndr.). Ho tirato fuori tutti i miei lati, da quello ironico a quello introspettivo, come nella canzone con Enzo Dong, Revenge.

E nel disco hai anche riunito moltissimi artisti, della scena napoletana e non. C’è anche Nello Taver.

Sono tutti più piccoli di me tra l’altro. Ormai sono zio Clemente (ride, ndr.). Ho scelto i feat in maniera naturale, non mi piace scrivere per metterci poi gli artisti, ci penso sempre dopo. Quello che posso dire è che tutti hanno spaccato.

Volevo chiederti in chiusura di Made in Sud. Tu hai sempre un grande entusiasmo per i tuoi lavori in televisione.

Made in Sud è veramente impegnativo. Durante la prima puntata ero davvero emozionato e rigido, forse perché tenevo la giacca e la cravatta (ride, ndr.). Sto imparando molto e mi sto divertendo tantissimo. Mancano altre sei puntate e vogliamo lavorare al meglio, anche perché poi finiti gli instore partiranno anche i concerti.

E come ti senti per questo ritorno ai live?

Io devo pigliare il microfono e rappare sul palco, mi manca. Non si poteva guardare la gente seduta con le mascherine, poi ad un concerto rap! Ci sono stati davvero tanti controsensi e ho visto tante attività chiudere, anche di miei amici. Te lo dico in napoletano: “C’han accis a salut. Nun c’ha facc cchiu!” (ride, ndr.).

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