Hip Hop

Cypress Hill: «Chiamateci pure “old school”»

È online la nostra intervista ai Cypress Hill, band formata a Los Angeles nel 1988 che ha pubblicato alcuni fra i dischi hip hop più influenti degli anni 90

Autore Federico Durante
  • Il17 Ottobre 2018
Cypress Hill: «Chiamateci pure “old school”»

I Cypress Hill sono protagonisti della cover di settembre di Billboard Italia

Ricordo la prima volta che mi sono imbattuto nei Cypress Hill. Sfogliavo avidamente le pagine del volume Rock. I 500 dischi fondamentali, edito dal Mucchio Selvaggio, e mi colpì l’iconica copertina di Black Sunday: un disegno in bianco e nero della collina di un cimitero, con tanto di croci, scheletri e albero spelacchiato in cima. Una cosa estremamente dark, da gruppo death metal scandinavo, non certo quello che ti aspetteresti dalla vivace scena rap della West Coast. Ma erano gli anni più floridi del crossover: c’erano il funk rock dei Red Hot Chili Peppers, il rap metal dei Rage Against The Machine, il groove metal dei Pantera.

I Cypress Hill ci si tuffarono in pieno e proprio grazie alla fondamentale dualità del crossover – animo heavye animo groove– avrebbero lasciato una forte influenza tanto nella scena rock quanto in quella hip hop a venire. A fine settembre B-Real, Sen Dog, DJ Muggs ed Eric Bobo sono tornati dopo otto anni di sostanziale silenzio discografico con il nuovo album Elephants on Acid, un lavoro dal gusto vintage ma con i piedi saldi nel presente, come conferma Sen Dog in una lunga chiacchierata dalla sua Los Angeles.

Elephants on Acid è piuttosto diverso dal vostro precedente album, Rise Up. Trovo che sia molto più vicino alle vostre prime produzioni, perlomeno da un punto di vista sonoro, ma non lo descriverei per forza come un ritorno alle origini. Per te qual è la “ricetta” del disco?

La ricetta è la chimica originale fra DJ Muggs, B-Real ed io. Ha un tono molto Cypress. Mi ricorda i nostri primi lavori, che avevano quel tipo di tocco. Questo perché il team originale si è messo al lavoro su questo disco (nel precedente non c’era DJ Muggs, ndr) e il sound è quello dei Cypress Hill heavy. Non fraintendermi, Rise Upmi piace molto, ci sono moltissimi suoni su quel disco, ma quest’album ha la line up e il feeldelle origini adesso, nel 2018. Non è la stessa cosa che avresti sentito nel 1991 o nel 1992: è il “Cypress sound” maturo, quello del presente e del futuro.

Guarda qui la video intervista di Billboard Italia ai Cypress Hill



Una cosa che si nota immediatamente è la struttura “aperta” della tracklist: ci sono molti pezzi – lunghi, brevi, anche diversi intermezzi strumentali. Perché avete trovato conveniente per voi questo formato? Vi hanno ispirato altri album dalla struttura analoga?

Non so se siamo stati influenzati da altri album. Penso che in quest’epoca, nell’hip hop del 2018, i pezzi non debbano avere per forza le canoniche tre strofe da 16 battute, il bridge, l’intro, l’outro. Puoi fare una canzone con una sola strofa e un paio di ritornelli e farla andar bene così. Noi abbiamo fatto semplicemente quello che ci sentivamo, non abbiamo seguito una ricetta di come fare musica hip hop. Oggi puoi fare tante cose diverse su un album, le canzoni non devono a tutti i costi durare quattro minuti e mezzo e avere featuring con altri tre rapper o cose del genere.

Noi facciamo le cose diversamente ed è divertente. Ci creiamo le nostre regole personali e seguiamo quelle. Se il prodotto piace ai Cypress Hill, pensiamo che piacerà anche ai nostri fan. Sperimentando con un album o con una canzone, ci prendiamo dei rischi e vediamo cosa succede: da quello uscirà qualcosa di figo. Noi non seguiamo le linee guida o le regole di nessuno: facciamo quello che fanno i Cypress Hill. Abbiamo sempre fatto quello che volevamo, in maniera diversa da tutti gli altri: siamo ancora quella band.

Il titolo dell’album viene da una visione onirica di Muggs, che oltretutto descrive il disco come “un viaggio spirituale”. Sei d’accordo con lui? E avete sempre avuto questo tipo di attitudine misticheggiante?

Non so se l’album porti me in un viaggio spirituale: di sicuro mi porta in un viaggio di autocoscienza. Mi fa ricordare chi sono, perché sono in questa band e perché amo questa musica. Contiene molti ottimi suoni psichedelici. Se avessimo fatto questo disco 25 anni fa probabilmente sarebbe girato parecchio acido nello studio, per dire… (ride, ndr) Penso che in generale sia fondamentalmente un grande album.

Dal punto di vista sonoro ci sono molte diverse suggestioni e direi che abbiamo fatto quello che volevamo. È stato un ritorno alla chimica originaria con il sound che ci ha reso famosi: siamo riusciti a catturare quel tipo di cose.

Parliamo del singolo Band of Gypsies. In una dichiarazione hai detto che la “banda di zingari” siete voi: ci spieghi in che senso?

Quello che voglio dire è che quando esordimmo nei primi anni ’90 la nostra musica suonava come nessun’altra e non ci vestivamo come nessun altro: non volevamo esserecome nessun altro. Eravamo un po’ gli outsider che sbirciavano dentro al grande giro e cercavano di entrarci, ma rimanendo noi stessi, proprio come una “banda di zingari”: loro non si conformano alle convenzioni della società, vivono secondo le proprie regole e i propri stili di vita, fanno quello che vogliono.

Ho sempre pensato che noi fossimo quel tipo di band: facendo le nostre cose, rimanendo presenti nel mainstream ma rifiutando di conformarci ad esso, come dei veri gitani. Con quest’album abbiamo mantenuto quello spirito. Senza offesa per nessuno, noi non siamo Drake o Kanye West ma un’unità autosufficiente di “fuorilegge”. Non facciamo le cose nella maniera che le radio mainstream si aspettano o suggeriscono. Siamo i Cypress Hill, una banda di zingari, e viviamo come vogliamo noi senza dover renderne conto a nessuno.

Quel pezzo è fantastico. Contiene anche parti vocali in arabo, di cui capisco solo la parola “hashish” qua e là… Che cosa dice il cantante?

Beh, parla dell’hashish! (ride, ndr) A cantare è Gonjasufi, un vocalist a modo suo incredibilmente talentuoso. Ciò che canta glorifica il grande hashish – in maniera simile a quella con cui i Cypress Hill si fanno di marijuana. Gonjasufi si è unito a noi per celebrarla e adoro il suo sound.

Cos’è per voi il mondo arabo? Lo trovate affascinante?

Non penso di esserne affascinato quanto DJ Muggs ma lo trovo molto interessante. Trovo che dal punto di vista musicale il mondo arabo offra molti suoni particolari e ottimi musicisti che a modo loro sono grandi (magari non così tanto in America). Musicalmente ogni cultura ha artisti e suoni molto dinamici e su quest’album abbiamo cercato di cattuare alcuni di essi, come appunto quelli del mondo arabo.

E credo che si sposino molto bene con l’hip hop, sono cool: mi è sempre piaciuto quando gli artisti mescolano suoni nella loro musica e fanno cose diverse. Sai, come Cypress Hill ne abbiamo sempre tenuto conto, sperimentando con la musica. E trovo che la parte divertente della musica stia nella sperimentazione. Tanto rispetto per Gonjasufi che ha dato la sua benedizione all’album.

Ascolta qui Elephants on Acid dei Cypress Hill


Come al solito ci sono anche parti in spagnolo nell’album. Che tipo di legame hai con le tue origini ispaniche? E – considerando il linguaggio usato dal presidente Trump – pensi che ci sia un’ondata di razzismo contro la gente ispanica oggi in America?

Per quanto riguarda il rapporto con le mie origini ispaniche posso dire che sono molto legato ad esse. Mi piace essere pro-latino più che posso e mandare un messaggio positivo ai giovani. Sono molto orgoglioso di esserlo. Sì, quello che fa e dice il presidente Trump manda un po’ un messaggio razzista, lasciando intendere che i latinosnon lavorano abbastanza o che rovinano l’America perché gli piacciono i soldi facili e così via. Ovviamente le cose non stanno affatto così.

Gli ispanici lavorano sodo esattamente come tutti gli altri popoli del pianeta. Essere individuati dal presidente e sentirsi dire che la maggior parte dei latinosnon è ben accetta in questo Paese e cose del genere è semplicemente qualcosa di malvagio. Punti il dito su un gruppo etnico e dici: “Sono un problema, ce ne dobbiamo liberare”. Purtroppo questa è l’America in cui viviamo oggi. Io ci vivo da molto tempo (dal 1971, quando la famiglia si trasferì da Cuba a Los Angeles, ndr) e ti posso dire che la cultura latina è fatta di gente che lavora sodo, che non viene certo in America per rubare o ammazzare la gente.

Avete mai pensato di suonare a Cuba?

Senz’altro, è uno dei miei sogni tornare a Cuba con la mia band ed esibirmi lì. Ne abbiamo parlato e forse l’anno prossimo avremo l’opportunità di farlo, come Cypress Hill o come Powerflo (il side project rap metal di Sen Dog, ndr). Come minimo mi piacerebbe andarci da turista e visitare la mia famiglia.

Nel disco c’è un pezzo intitolato Muggs Is Dead. Mi confermi che Muggs è vivo e in buona salute?

Ahah sì, è ancora vivo, o perlomeno lo era ieri quando ci ho parlato l’ultima volta, non so oggi…

E quella traccia cosa rappresenta? È davvero psichedelica.

Non saprei, a Muggs piace divertirsi! Dovresti chiedere a lui… Ho il presentimento che dovrà rispondere molte volte a questa domanda quando uscirà il disco.

 Avete sempre sostenuto la legalizzazione della cannabis per uso sia medico che ricreativo. Elephants on Acid parla anche di quello. Ci dici alcune buone ragioni per essere contro il proibizionismo?

Un motivo per essere contro il proibizionismo è che – come è successo in passato – quando provano a dirti cosa puoi fare e cosa no, non è una buona cosa. Penso che la cannabis sia un vero medicinale, capace non solo di aprirti la mente ma anche di purificarla e di purificare il tuo corpo. Quando eravamo giovani tutto il movimento per la legalizzazione era più una cosa del tipo “sballiamoci tutti” ma poi abbiamo iniziato ad approfondire e ne abbiamo conosciuto tutta la storia. Penso che, come medicinale, oggi più che mai il mondo abbia bisogno di cannabis, di CBD (cannabidiolo, sostanza non psicoattiva della cannabis sativa usata per fini terapeutici, ndr). È una vera rivoluzione, ogni giorno impariamo cose nuove sulle sue potenzialità medicinali. È importante far capire al mondo che è ciò che abbiamo sempre detto – e anche di più.

Dobbiamo continuare la battaglia e avremo sempre più stati in America che la legalizzeranno o la depenalizzeranno. Molti stati hanno la marijuana terapeutica ma è ancora difficile far cambiare mentalità alla gente e convincerli ad approfondire e informarsi prima di dire: “No, no, no, la cannabis è il male”. Prima informati – capendo che i medici e la scienza l’hanno riconosciuta come medicinale – e poi decidi cosa è bene e cosa è male. Altrimenti ti comporti come facevano i miei genitori molto tempo fa: “Non puoi fumarla! Non puoi fumarla!”. Ma oggi è legale e fornisce alla gente buone medicine. Siamo nel 2018: cerchiamo di avere una mentalità aperta.

 Una volta l’hip hop aveva una forte sensibilità per i temi sociali e anche politici. Cos’è rimasto oggi di quello spirito?

Come Cypress Hill siamo ancora una band con un messaggio, facciamo ancora parte di quel mondo. Oggi ci sono certamente artisti che dicono quello che pensano: per esempio This Is Americadi Childish Gambino è davvero un gran pezzo. Con la presidenza di mr. Trump è tornato abbastanza di moda essere politicizzati. Molta gente oggi è “anti-Trump”. Credo che l’hip hop sia ancora in prima linea quando si tratta parlare di diritti delle persone comuni – quello che puoi fare e non, quello che puoi dire e non.

In generale, non solo per quanto riguarda i Cypress Hill, c’è molta politica oggi nella musica. La gente dice quello che pensa perché è importante essere ascoltati. Se non usiamo quest’arma chiamata hip hop per attirare l’attenzione della gente e cambiare le cose, non ce ne facciamo niente. Non mi sentirai mai fare rap sul presidente Trump o cose del genere ma rispetto quelli che lo fanno. 

Il vostro genere di hip hop non è “old school” in senso stretto ma potrebbe essere visto come qualcosa di simile se comparato alla scena di oggi. Sei d’accordo?

Sì, è vero. Di certo non siamo riconducibili alla scena hip hop di oggi. Nei nostri pezzi rappiamo, mentre l’hip hop di oggi è in uno stato che io definisco “glam rap”, così come una volta c’era il glam rock. Non credo che noi siamo così, punto e basta. Siamo ancora uno di quei gruppi che portano avanti un messaggio e testi autentici. Se lo vuoi chiamare “old school” per me va bene. Non intendiamo rappare su cose come macchine costose, gioielli e troie a bordo piscina. Noi rimaniamo quello che siamo.

 Dalla tua prospettiva qual è stato il principale punto di svolta fra ciò che il rap era negli anni ’90 e quello che sentiamo oggi?

Non riuscirei a indicare qualcosa di preciso come il punto di svolta. Quello che posso dire è che da qualche parte lungo la strada l’hip hop ha un po’ perso la sua direzione e le sue dichiarazioni a favore del cambiamento, per cominciare a preoccuparsi solo di soldi, donne, droghe, strip club, macchine da milioni di dollari e stronzate del genere. A un certo punto le nuove generazioni hanno iniziato a pensare: “Beh, questo è più figo di quello che c’era prima. Anch’io voglio spendere dollari su dollari allo strip club”.

È diventato tutto molto vacuo, oggi tutti vogliono fare trap ed essere gente di quel tipo. Penso che dobbiamo tutti ritrovare la strada giusta ed essere più socialmente consapevoli di quello che ci circonda e del cambiamento in atto nel mondo. Rappare su queste cose aiuta davvero la gente e non solo se stessi.

Voi siete stati influenti nella scena musicale sia hip hop che rock. Qual è stato il vostro rapporto con il rock nel corso degli anni?

Chiaramente ci sono ragazzi attratti da entrambe le cose, hip hop e rock. Per come siamo cresciuti noi, c’erano tutte e due nel nostro mondo. Ci sono artisti che sperimentano con suoni rock – e penso sia molto figo – e altre band che fanno ancora hardcore hip hop. In definitiva la cosa di cui ti devi preoccupare è sperimentare. E noi trovammo che il rock si adattava molto bene all’hip hop. Hanno un’attitudine e una storia abbastanza simili. Per quanto ci riguarda, quando l’hip hop invase la West Coast a metà degli anni ’70 ascoltavamo tanti tipi di musica diversi: molto funk e soul, e il rock and roll era uno dei miei generi preferiti a quei tempi – Black Sabbath, Kiss, Van Halen, cose così, prima che l’hip hop fosse davvero dominante nella costa ovest degli USA.

E guardacaso anche DJ Muggs è cresciuto nella stessa maniera. A casa sua c’era molta roba psichedelica e rock and roll e ascoltavamo tante cose diverse. Il pubblico rock e metal in qualche modo ha apprezzato quello che facevamo. Quando andammo in tour ai tempi di Insane in the Brain vedevamo molte t-shirt heavy metal nel pubblico. Sai, quando vedi magliette dei Mötley Crüe a un concerto dei Cypress Hill pensi: “Ok, ora la gente ci sta capendo”. 

Un gruppo fenomenale come i Rage Against The Machine è stato a sua volta molto influente negli anni ’90. Sentivate delle affinità con loro già quando esordirono?

Certamente! Erano la perfetta sintesi di heavy metal e rap. Quando li ascoltai la prima volta pensai che non avevo mai sentito un simile mix di stili e un rap fatto in quella maniera così aggressiva. Diventai un fan immediatamente. Ancora oggi penso che fra le band che maggiormente hanno dato forma alla musica degli anni ’90 ci sono i Rage Against The Machine. Mi sono sempre piaciuti, sin dal primo ascolto.

Guarda il video di Crazy dei Cypress Hill



Quando iniziaste a fare musica c’erano in circolazione molte band hip hop, mentre oggi ci sono prevalentemente artisti solisti. Perché era una cosa così comune all’epoca? E perché è così rara oggi?

Quando l’hip hop è nato si basava sulle band, sulle persone che si mettevano a fare musica insieme. Non c’erano molti artisti solisti. Ho sempre pensato che una delle cose più fighe del mondo sia far parte di un’unità: per questo facevo sport e per questo mi sono unito alle gang di strada (lui e B-Real hanno fatto parte della Neighborhood Family, gang di East Los Angeles, ndr).

Non fraintendermi, sono un grande fan di gente come LL Cool J per esempio, ma i miei artisti hip hop preferiti sono sempre state le band: Beastie Boys, Run DMC, Whodini, 2 Live Crew, N.W.A, Public Enemy… Erano delle vere unità e ho sempre pensato che fosse la cosa più bella al mondo. In vita mia non ho mai voluto fare l’artista solista. I ragazzi di oggi vogliono fare le cose per conto proprio, vogliono essere come Kanye West. Anche loro hanno avuto le loro influenze ma io sono stato ispirato dall’idea della band hip hop. 

Com’era avviare una carriera nel mondo hip hop nei primi anni ’90? Pensi che fosse diverso da adesso?

Nei primi anni ’90 era figo. La gente ancora compravai dischi: andavi in negozio e acquistavi l’album per mostrare il tuo apprezzamento. Potevi pubblicare il tuo disco e cominciare a costruire qualcosa a partire da quello. Era difficile farti notare, ottenere un contratto, qualcuno che pubblicasse il tuo disco. Penso che oggi sia più facile ricevere attenzione. Quando abbiamo cominciato noi, per gli artisti hip hop c’erano meno opportunità di adesso.

Ma ci sono state aperte delle porte e noi abbiamo sdoganato il latino rap. Oggi invece si è alla ricerca di rapper senza aggettivi. Dagli anni ’90 ad oggi l’hip hop è diventato il principale genere musicale: se fai tutto giusto avrai molto successo. Ma quando noi abbiamo cominciato (trent’anni fa) dovevamo chiedere alle etichette: “Per favore, ascoltate la nostra demo”.

Come hai appena detto, i Cypress Hill compiono trent’anni nel 2018: è più di metà delle vostre vite. Quali sono stati i momenti più memorabili che hai condiviso con gli altri in tutti questi anni?

Ce ne sono molti. Uno di quelli è quando suonammo a Woodstock ’94 davanti a 300mila persone, una cosa incredibile. Per quanto riguarda gli ultimi anni, siamo stati recentemente nominati per l’inserimento nella Walk of Fame di Hollywood: wow, non ci posso ancora credere.

Altri momenti speciali sono stati suonare con i Nirvana (nel concerto Live and Louddi MTV, 1993, ndr), registrare con i Pearl Jam e i Sonic Youth per la colonna sonora di Judgement Night(in italiano Cuba Libre – La Notte del Giudizio, 1993, ndr), e in generale la possibilità di girare il mondo grazie alla musica e vedere paesi di cui avevo solo letto nei libri di storia – tutte cose speciali in cui l’hip hop ha giocato una parte importante.

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