Fastlife Vol. 4: Guè ci mostra la differenza tra una Montblanc e una matitina
L’esercizio di stile offerto da Guè Pequeno nel quarto capitolo della storica saga ci ricorda la noble art dell’autocelebrazione
Che dire dopo Fastlife Mixtape Vol.4? La G sta per Guè come per garanzia, e un progetto simile, vera e propria uncut gem slegata dal prossimo disco solista che verrà, ci solleva dall’onere di doverlo approcciare con la gravitas che un album ufficiale di Guè Pequeno meriterebbe.
Fastlife è bello proprio per questo. Il dinamismo, le staffilate, lo street entertainment, la raffica di immagini crude, il passaggio di una skit. L’abbraccio del sound di una bellissima stagione del rap italiano che per molti sa di casa, perché non c’era ancora bisogno di imbellettarsi per il mainstream. Questo ci aspettavamo ed abbiamo trovato all’ascolto. Un esercizio di stile tra crime e Sassicaia, che ha finito per rivelarsi uno schiaffone correttivo.
Siamo stati per anni spettatori degli attacchi sferrati da una bella fetta di scena pre-2016 contro nemici più o meno immaginari, biasimati per il modo di rappare e di incarnare lo status del rapper. Le cose non sono cambiate molto nei tempi successivi, se non per il fatto che mai come dopo quel biennio lo scarto tra due generazioni era più tangibile rispetto al passato. Dove – per intenderci – c’è stata maggior fluidità nel passaggio da artisti come Jake, Marra e Fibra a Gemitaiz, Killa o Nitro. Adesso che il game ha fatto nuovamente la muta, sembra essersi riproposta la stessa dinamica, da Napoli a Milano.
La battaglia di Guè
Ora, in Fastlife c’è più di un passaggio in cui Guè fronteggia a viso aperto le scorie prodotte dall’ultimo ricambio. Da leggere, ben inteso, non come un attacco alla nuova scena e ai suoi esponenti, che Guè supporta attivamente (lo dimostrano i feat). Nel mirino ci sono semmai le tendenze radicate nel web, i vizi di una certa posa di fronte al video, il feticismo per determinati oggetti, il richiamo facile alla formula già proposta che imperversa non solo tra i rapper in erba, ma anche tra youtuber, tiktoker e quant’altro. Finendo inevitabilmente per riflettersi sull’opinione del pubblico inesperto sul movimento intero.
Da «Fratellino mi sembra che se apri il pacco non sia tutta farina del tuo sacco» a «E non premi quel grilletto, non sei un blood o un crip / E puoi solo fare un balletto da rincoglionito», Guepek non le manda a dire a chi storpia la cultura in moda. Lo fa con l’appoggio di chi ha contribuito a costruire e sviluppare il rap in Italia. Dallo stesso Harsh a Bassi Maestro, da Night Skinny a Marracash, da Noyz a Salmo. Scelte precise con cui marcare una differenza, tra chi rimane, e chi (secondo Guè e la sua scuola) dovrebbe fare molto di più per lasciare un segno. Lo stesso in cui si sono impegnati nomi come Lazza (fra i più segnati dalla G) e Rasty Kilo, che hanno mantenuto una continuità con quella storia in cui la parola era assoluta protagonista, o tutti gli emergenti con cui Guè ha voluto condividere qualcosa.
CO$¥MON€¥ tra scrittura e quote
Da parte di Mr. Fini è forte la convinzione che non ci sia proprio partita per tutti gli altri, dentro e fuori dalla scena. Lo si respira dall’inizio alla fine del progetto. Dove, ben inteso, Guè ripropone una delle sue più grandi battaglie artistiche: restituire la differenza abissale tra il suo modo di autocelebrarsi e quello delle brutte copie. La formula la conosciamo, da un rappato indiscutibile a riferimenti che ti trasportano in due secondi su Google. Da Naseem Hamed a Marco da Tropoja, la varietà paga, la quote cambia, lo stile resta. A dimostrazione che si può fare arte anche “parlando del nulla” (parole loro).
Non possiamo dire lo stesso di tutte le nuove correnti musicali urban. Hanno sicuramente altri pregi, ma mancano della stessa autorevolezza (non solo lessicale) che trasforma l’ascolto in una experience quasi cinematografica. Questo perlomeno è ciò che un certo pubblico contesta a parte di quello che sta emergendo in Italia. Se Guè rimane ai vertici è perché al suonar bene tra flow e attitude non è mai mancata una scrittura solida e suggestiva. Un’arma cruciale per esaltare le esperienze vissute. E in questo sì, c’è un’abissale differenza tra il suo modo di mettere in rima l’incubo dei puristi (la triade droga-soldi-figa) con quello dei wannabe. È una sfida da una Montblanc e una matita dell’Ikea. Lui lo sa, e lo ricorda a chi pensa di potersi approcciare al rap come entertainment senza tutti gli strumenti con una lezione di 35 minuti firmata CO$¥MON€¥ che vale davvero la pena ascoltare. Per divertirsi, imparare e migliorare.