Hip Hop

Oh My God, Garelli ha fatto un album che spacca: l’intervista

Dopo anni di attività dietro alle produzioni per nomi del calibro di Tedua, Rkomi, Madame, Bresh, Izi e Ensi (solo per citarne alcuni), il producer milanese a maggio ha debuttato con il suo primo disco da rapper con cui guarda Milano e la sua vita dai finestrini dei mezzi pubblici: ecco cosa ci ha raccontato

Autore Greta Valicenti
  • Il17 Giugno 2024
Oh My God, Garelli ha fatto un album che spacca: l’intervista

Garelli

La prima volta che ho incontrato Garelli era la fine dell’estate del 2020. Milano stava ricominciando a popolarsi dopo la fuga estiva e la conseguente desolazione di agosto, il caldo era ancora piuttosto torrido e l’incontro per una delle sue prime interviste era fissato per il tardo pomeriggio nel suo studio, allora in Piazzale Corvetto. In quegli anni, il Laate era un luogo quasi mitologico per i frequentatori dell’underground milanese (e non solo): a qualunque ora trovavi qualcuno a registrare una strofa, scrivere o semplicemente passare il tempo tra una birra da 66 e il fumo delle sigarette che impregnava le pareti.

Quel giorno parlammo molto, e fu solo la prima di innumerevoli volte tra cene, tragitti notturni in macchina (la mia) e pomeriggi sul divano del suo studio. Da quel momento, se molte cose sono rimaste uguali – tipo il fatto che Garelli non abbia ancora preso la patente (e no, non si tratta di un’informazione secondaria) -, tante altre sono cambiate. Lo sono tanto che questa chiacchierata non è per parlare delle nostre vite, ma del suo primo album da rapper, Mezzi, uscito a maggio, un viaggio di cui Francesco è protagonista assoluto (avendone curato in prima persona anche la produzione) e in cui è accompagnato da veterani e nuove leve dell’underground come Inoki, Jack The Smoker, DJ2P, Armani Doc, Guesan, Peppe Soks e RollzRois.

Dopo anni a lavorare come producer di nomi come Tedua, Rkomi, Madame, Bresh, Izi e Ensi (solo per citarne alcuni), Garelli ha infatti messo a punto quell’idea che sognava da un po’, e lo ha fatto nel modo più semplice e naturale possibile: parlando di sé e della sua vita passata sui mezzi pubblici con cui ha girato ogni angolo di Milano, dove ogni strada custodisce un ricordo e ogni linea ha una storia da raccontare. Abbiamo chiesto a Garelli di farlo per noi.

L’intervista a Garelli

Cosa ti ha fatto venire voglia di passare dal produrre e basta a produrre e rappare?
Fondamentalmente il fatto di stare tanto in studio. Lì ho visto passare tante persone che registrano e ho pensato “anche io posso farlo”. Io poi ho iniziato drappando e poi mi sono spostato verso la produzione, ma a un certo punto ho sentito proprio la voglia di tornare a scrivere.

Chi è stato il collega o l’amico che più ti ha incoraggiato in questa cosa?
Sicuramente Gionni Gioielli perché ha il mio stesso percorso, abbiamo la stessa attitude.

So che questo progetto era nella tua testa da un bel po’ di tempo, ma quando hai iniziato a lavorarci seriamente?
Forse quando ho preso un FlixBus per andare a Formia da mia nonna. Mi ricordo che quella notte ero mega ispirato e ho scritto un cosa come due o tre pezzi. Mi sono reso conto che il filo conduttore di questi brani erano proprio i mezzi perché in ognuno citavo una linea degli autobus e lì ho capito che quello sarebbe stato il concept. Io poi non ho nemmeno la patente!

Ma l’hai scritto fisicamente sui mezzi?
Gran parte sì. Tipo la title track l’ho scritta una notte sulla sostitutiva della gialla e poi l’ho finita in studio.

E i feat che hai scelto?
Sono arrivati tutti in modo molto naturale. Io volevo fare un disco 100% rap e le collaborazioni sono in linea con questa idea e ciascuno di loro ha senso dov’è e mi ha lasciato qualcosa di personale. Ad esempio Maschio Alpha, linea novanta è una roba proprio street e ho scelto un’icona della street life come Inoki. Jack The Smoker era perfetto per quel beat slow flow, molto notturno e così via. E poi sono tutti artisti con cui c’è un rapporto umano.

La cosa che mi piace di più è che ci sono davvero tanti riferimenti alla quotidianità della città… Tipo “tutto fritto al Tutti Fritti”…
Diciamo che sono stato parecchio in giro, non sono mai stato un nerd da studio. Io ho vissuto Milano a 360 gradi proprio anche grazie ai mezzi. Anche da piccolo io mi spostavo con i mezzi perché nemmeno i miei hanno la patente.

Come hai visto cambiare Milano in questi anni?
Purtroppo in peggio. Già di per sé Milano è costruita in modo strano perché ci sono dei blocchi popolari di fianco a zone residenziali di lusso, vedi San Siro e City Life. La politica di Milano è duomocentrica, tutto il resto è lasciato allo sbando. Milano si è dimenticata dei poveri e questo influisce sicuramente su determinati comportamenti.

Qual è la traccia a cui sei più affezionato?
Ti direi tutte ma in particolare Milano, Capolinea perché l’ho scritta alla fine di una relazione e Un amico in me perché è un flusso di coscienza che ho scritto dopo che un mio caro amico è venuto a mancare.

Vuoi raccontarmi chi era?
Lui è stato il primo a credere in me quando ho iniziato a fare musica. Era molto più grande di me, conosceva tutti nella scena, e grazie a lui io sono riuscito ad avere il mio primo studio in Corvetto che è stato storico, lì è passata un sacco di gente. L’anno scorso è venuto a mancare per un incidente in moto e tutti lo ricordano veramente con affetto perché era leggendario.

Senti, cosa vuoi che esca di te da questo progetto?
Il fatto che sia un disco fatto da una persona qualunque. Oggi nel mondo del rap c’è tanto egocentrismo, ostentazione. Io volevo fare una cosa in cui le persone si potessero immedesimare, magari mentre se l’ascoltano su un autobus di notte.

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