Gianni Bismark, dai “Bravi ragazzi” ai miti sbagliati nel rap. L’intervista
La Roma romantica e drammatica, i bravi ragazzi che sono gli amici di una vita e i featuring di peso. Abbiamo incontrato il rapper che ci ha raccontato l’album che esce domani
Prima di incontrare Gianni Bismark, nel palazzo di Universal, ho letto diverse sue interviste, principalmente per capire che tipo di persona mi sarei ritrovata davanti. E Tiziano Menghi (questo il suo vero nome, ndr.) mi si presenta sorridente e desideroso di raccontarmi il suo nuovo album, Bravi ragazzi, in uscita domani, venerdì 25 marzo.
«Sono ansioso. Non mi faccio mai troppe aspettative per paura di rimanerci male, tengo i piedi ben piantati per terra» mi dice prima di iniziare la nostra intervista.
Un disco con una lavorazione lunga, iniziata nel 2020, e una serie di featuring di spessore, da Gemitaiz a Jake La Furia, da Speranza a Kvneki degli Psicologi, fino a Franco126, con cui Gianni Bismark ha già lavorato diverse volte.
Ecco cosa ci ha raccontato il rapper e cantautore romano su Bravi ragazzi, dalle collaborazioni alla sua Roma, romantica e allo stesso tempo drammatica, fino al ritorno ai live.
La nostra intervista a Gianni Bismark
Dopo l’uscita di Strappare lungo i bordi, la serie di Zerocalcare su Netflix, tanti hanno criticato l’uso massiccio del romanesco. Qual è secondo te il problema del dialetto?
Il romanesco non lo definire un dialetto, ma un italiano sporco. Invece della doppia ne mettiamo una, per esempio, e penso si capisca. Poi, ti dico la verità: alla gente piace parlare (ride, ndr.). Il romano ha una cadenza un po’ cupa, sembriamo sempre arrabbiati, anche se chiaramente non è così.
“Siamo tutti bravi ragazzi, anche se cresciuti per strada. Non siamo santi, ma nemmeno criminali”. Partiamo da qui per parlare del disco.
È la verità. Noi siamo così, un po’ agitati e magari facciamo cose che non andrebbero fatte, ma se ci prendi uno ad uno siamo tutti bravi ragazzi, con cui si può parlare e di cui ti puoi fidare.
Nella cover, a proposito di bravi ragazzi, hai oscurato la facce degli altri. Perché?
Loro sono tutti ragazzi con cui sono cresciuto, la mia comitiva, e abbiamo scelto di non farli vedere, anche se sono una parte fondamentale della mia vita e con questo disco volevo dar loro ancora più importanza.
Entrando nel vivo di Bravi Ragazzi, hai detto che Passerà è una sorta di sequel di Università e Mi sento vivo, entrambi con Franco126. C’è una bella intesa tra voi.
Con Franchino mi trovo benissimo. Il mio produttore un giorno mi ha detto: “Tu e Franco siete la stessa persona, con parole differenti”. E penso sia vero, perché io arrivo più dritto al punto, mentre lui è capace di far aprire le orecchie a tutti, non solo al romano, e infatti spacca ovunque.
La Roma “romantica e drammatica” di Gianni Bismark
E sempre in Passerà dici: “Pensavo solo ad essere ricco e invece senza te mi sento uno s****o, tutto de botto”. Ecco che viene fuori il lato romantico di Gianni Bismark.
Io sono un po’ romantico. Non so spiegarti bene perché, ma mi viene spontaneo. Forse questo aspetto l’ho preso proprio da Roma, che è una città davvero romantica.
In cosa la trovi romantica?
Dai tramonti ai colori, l’ho sempre vista romantica e allo stesso tempo drammatica. C’è proprio lo scontro, l’altra faccia della medaglia, quella che te la fa amare o odiare.
Dobbiamo andare via è dedicata ad un amico in difficoltà. Qui dici: “Me so messo a fa il cantante, se no stavo ancora al giro”.
Perché ero uno di loro (ride, ndr.). Brani come Dobbiamo andare via mi fanno stare bene, perché c’è proprio tutta la mia rivalsa. Quando finisco di scriverli rinasco, mi piace parlare di cose che mi riguardano così da vicino, che mi circondano quasi quotidianamente.
Collegandoci al concetto di rivalsa, in Sono anni che ti cerco dici proprio: “Un pezzo da cento, un pessimo esempio”. Ma in cosa ti senti un pezzo da cento e un pessimo esempio?
Sicuramente mi sento un pezzo da cento nell’essere riuscito ad arrivare dove non avrei mai immaginato. Un pessimo esempio, invece… credo in tutte le cose che ho fatto, che poi in realtà mi hanno fatto diventare quello che sono, nel bene e nel male.
I featuring di Bravi ragazzi, da Speranza a Gemitaiz
Mi vorrei focalizzare su due collaborazioni in particolare: Speranza e Kvneki degli Psicologi. Partiamo da Ugo.
In Speranza vedo un Gianni Bismark di Caserta, molto simile a me nel modo di pensare e di fare, ed era già un po’ di tempo che volevo lavorare con lui e ci siamo incastrati alla perfezione. In tre giorni mi ha girato il pezzo ed era super fomentato, e io più di lui (ride, ndr.).
E invece Kvneki.
Lui è l’altra faccia di Roma. Parliamo delle stesse cose, ma in modi diversi, anche perché proveniamo da due quartieri differenti: Alessio è di San Lorenzo, mentre io sono di Garbatella. È stato figo portare in Bravi ragazzi anche quest’altro lato della Capitale.
In realtà c’è un altro featuring di cui vorrei parlare: Gemitaiz.
Io gli ho mandato un pezzo, ed era fomentato, ma mi ha proposto di fare qualcosa di diverso, con un suo beat, su cui mi sono trovato subito. Un’ora dopo gli ho mandato la strofa, sono andato in studio da lui e abbiamo sistemato ancora il beat.
Tra l’altro qui dici: “Non mi fido tanto delle persone”.
È una parte mia caratteriale. Poi non è che non mi fido, ma ci metto tanto a capire chi sei. Quindi, prima di dirti dieci cose te ne dico tre, e mi fermo, che è sempre meglio (ride, ndr).
Facendo un passo indietro, il disco ha avuto una lavorazione lunga, come mai?
Appena è uscito Nati diversi ho iniziato subito a lavorare al nuovo progetto e ridendo e scherzando sono passati due anni. Il Covid ci ha sicuramente rallentato, poi il disco precedente è uscito proprio durante il primo lockdown e questa volta abbiamo deciso di aspettare. Non che sia andato male Nati diversi, ma non l’ho potuto portare in giro e questa volta volevo che andasse in maniera diversa.
Il nuovo tour e l’assenza dei live
E infatti hai già annunciato il tour per il nuovo album.
Esatto, con la prima data a Teramo, poi Torino, Milano, Bologna e Roma, dove chiuderò il tour. In realtà stiamo ancora in tour, sperando ci facciamo sapere qualcosa il 31 marzo…
Tu come ti senti?
Male. L’ho sofferta un botto. Io ho sempre giocato a pallone ed è come allenarsi tutta la settimana e poi non fare la partita la domenica. Quella è la prova finale, e se non c’hai quella rimani con un buco. Per dirti, di Re senza corona mi ricordo tutto, ma di Nati diversi no, perché mi sono perso tutta la parte dei live, che per me è importantissima.
Adesso però potrai portare in tour due dischi. A proposito di pandemia, in Febbre a febbraio ci hai giocato, ma senza mai menzionarla.
Io vivo di emozioni ed esperienze, quindi puoi ben capire che quel periodo per me è stato bruttissimo. Sono rimasto “un po’ ar palo”, come si dice a Roma, ma non mi posso lamentare, perché il disco è andato bene. In Febbre a febbraio ci abbiamo girato intorno, ma non volevo parlarne esplicitamente perché non voglio, magari tra dieci anni, ascoltare questo pezzo e ripensare al Covid.
Qualche settimana fa parlavo con Dani Faiv di miti sbagliati, legandoli alle nuove generazioni. Tu cosa ne pensi?
Anche noi avevamo miti sbagliati da bambini, ma adesso questa cosa è amplificata. Gli artisti, senza puntare il dito contro nessuno, parlano spesso di droghe e di armi, che magari fanno pure parte della loro vita, ma senza pensare “oddio, magari i ragazzi adesso si ascoltano sta roba e fanno qualcosa che non dovrebbero”.