Hip Hop

Vent’anni dopo, Guè è ancora la Madreperla del rap italiano

Il nuovo album del Ragazzo D’Oro del rap italiano interamente prodotto da Bassi Maestro è già un instant classic che guarda ai suoni del passato e racchiude in dodici tracce la gloriosa storia dell’hip hop

Autore Greta Valicenti
  • Il13 Gennaio 2023
Vent’anni dopo, Guè è ancora la Madreperla del rap italiano

Guè

Ci sono album la cui uscita è un grande evento principalmente per due motivi. O perché l’artista in questione manca dalle scene da svariati anni. O perché sappiamo già che ci troveremo di fronte ad un prodotto di alto livello. Se le due cose talvolta possono collimare – come è stato per Persona di Marracash, Caos di Fabri Fibra o Virus di Noyz Narcos. Solo per citare alcuni virtuosi esempi degli ultimi anni -, il baluardo del secondo caso di cui sopra è senza alcuna ombra di dubbio Guè.

La parabola artistica del Ragazzo D’Oro del rap italiano parte poco più di vent’anni fa, quando nel 1999 – con il compagno di classe Dargen D’Amico e un giovane Jake La Furia – forma le Sacre Scuole. I tre insieme pubblicano un disco destinato a rimanere uno dei capisaldi della golden age del rap italiano, 3 MC’s al cubo. Un unicum del gruppo, che si scioglie in tempi relativamente molto brevi e dalle cui ceneri – come una fenice – nasceranno i Club Dogo. Guè, Jake e Don Joe si impongono sulla scena con un album che formerà generazioni di teste hip hop e uno dei volti che comporrebbero il Monte Rushmore del rap nostrano. “I rapper che spaccano oggi sono cresciuti sopra due dischi. Dal 2004 pompano Mr. Simpatia e Mi Fist“, rapperà Fibra proprio con Jake nel 2016 in Ali e Radici. Da quel momento in poi, in resto è storia.

A lezione di rap da Guè e Bassi Maestro

La penna di Guè è un fiume in piena incontenibile che sforna barre su barre, rime iconiche e punchline da capogiro. Pubblica un disco all’anno – da solo o coi Dogo, fino all’addio (o all’arrivederci?) al gruppo nel 2014 -. Anno dopo anno, disco dopo disco, Guè alza sempre di più l’asticella. Anche stavolta, con Madreperla, il suo nuovo album uscito oggi.

Come sia possibile, resta ancora in parte un mistero. Nonostante Mr. Fini abbia condiviso alcuni segreti del mestiere in una Masterclass che si è tenuta mercoledì alla Triennale di Milano. Un modo originale e goliardico ma neanche troppo per presentare Madreperla agli addetti ai lavori. Una vera e propria lezione dalle origini dell’hip hop fino ad arrivare a come si fa il rap. Bene. E Guè, in cattedra, non è salito da solo, ma lo ha fatto insieme a Bassi Maestro, che ha curato tutte le produzioni dell’album.

Guè: «Devi essere un maratoneta, non un centometrista»

E GVESVS ha elencato i suoi comandamenti nel nome della realness («Puoi parlarmi anche dell’orto, purché sia qualcosa che hai vissuto o perlomeno hai visto»), del talento e della personalità. «Che non vuol dire però essere personaggio», specifica. «Se fosse importante solo il personaggio, saremmo tutti influencer. Per me al centro c’è ancora solo la musica. Devi essere un maratoneta, non un centometrista. Fare musica che rimanga davvero alle persone». E così, Guè ha costruito non solo il suo impero, ma anche il suo zoccolo duro di fan che dal 2003 ad oggi non l’hanno mai mollato e una sfilza discepoli che ne hanno seguito le orme. Lo ha fatto evolvendosi senza mai snaturarsi. Vestendosi sempre di nuovi panni senza mai cambiare il proprio corpo per entrarci ma, al contrario, cucendoseli addosso da solo.

Quando le mode andavano in una direzione, Guè prendeva quella opposta, dettando di nuovo le regole del gioco. Quello stesso gioco di cui in Italia è a mani basse il top player. È successo nel 2011 con Il Ragazzo D’Oro, il primo vero pezzo trap italiano, e succede ora, nel 2023. Quando tutti fanno la drill, Guè se ne esce con Madreperla. Il disco dei sogni, come lo definisce lui stesso, uno di quelli che puoi permetterti quando raggiungi lo status di leggenda e nessuno può dirti cosa fare e come farlo, in cui confluiscono tutte le influenze del passato che hanno plasmato l’artista che è oggi.

L’uso dei sample in “Madreperla”

Dall’hip hop tetro e notturno di New York – il cui vessillo è portato in alto dalla presenza di Benny The Butcher in Da 1K in su, brano che non sfigurerebbe minimamente in un disco targato Griselda – al gangsta rap dei primi 2000 di 50 Cent in Cookies N’ Cream con Anna – «la miglior rapper donna che abbiamo in Italia che man mano ha ottenuto sempre più credibilità e che con rispetto e professionalità si è messa a servizio del nostro suono» – e Sfera Ebbasta, una potentissimo banger da club che ricalca Candy Shop. Nell’enorme bagaglio musicale di Guè, però, non c’è solo il rap, come dimostra più volte nel disco.

E il merito di ciò va in gran parte a Bassi Maestro e al grande lavoro fatto coi e sui sample utilizzati, in cui è presente in modo considerevole anche il background del progetto North Of Loreto. Un lavoro estremamente stimolante, racconta Busdeez in un excursus sul campionamento, «non solo perché ho prodotto un intero disco di un artista di questo calibro, ma perché l’ho fatto con delle reference musicali importanti che non sempre si ha la possibilità di usare». Tra questi, Here Comes The Hotstepper di Ini Kamoze in Mollami pt. 2, Mi hai capito o no? di Ron (che a sua volta riprende I Can’t Go For That di Daryl Hall & John Oates), Stay With Me Till Dawn di Judie Tzuke in Need U 2Nite e Amore impossibile dei Tiromancino in Chiudi gli occhi.

In “Madreperla”, Guè per la prima volta parla da padre

E forse, il fatto che Bassi Maestro sia tornato nelle sue vesti originarie spogliandosi per un attimo del suo nuovo aka, non è un caso. Devi tornare alla storia per riscriverla di nuovo. E a farlo tornare al rap poteva essere solo Guè, il suo rapper preferito. «Uno dei pochi che ha mantenuto una genuinità e una voglia di fare musica libera da ogni regola di mercato», come ha recentemente dichiarato nell’intervista a Esse Magazine.

Madreperla, infatti, non è solo uno statement con cui Guè ribadisce ancora una volta la posizione che occupa nel gioco del rap italiano. Una personale Ode To Hip Hop. Un ulteriore compendio in rima delle sempre presenti citazioni cinematografiche o una critica senza troppe elucubrazioni e giri di parole come accade in Free con Marracash e Rkomi. Ma nelle dodici tracce c’è anche spazio per uno spaccato sul lato più intimo dell’autore, che per la prima volta parla non solo da figlio, ma anche da padre. E non solo del rap in Italia. Lo fa in Lontano dai guai con Mahmood, il brano sicuramente più introspettivo di tutto il disco, in cui Guè punta un faro sulle ombre che rimangono quando le luci si spengono e su quanto quelle del successo a volte paradossalmente ottenebrino le cose importanti per davvero.

Quello della solitudine è infatti un tema spesso ricorrente nella discografia di Cosimo Fini. Il quale – come gli ascoltatori più affezionai sanno bene – non ha mai nascosto a tutti i costi il proprio lato più cupo e riflessivo dietro il cliché del rapper tutto d’un pezzo. Perché sì, anche i king a volte piangono e a poco o a nulla servono l’Oro e diamanti. E forse proprio questo essere un gangsta che non indora le proprie crepe interiori, ma anzi le mostra in tutta la loro oscurità, è ciò che negli anni ha fatto sì che questo Bravo ragazzo diventasse un punto di riferimento e un idolo per milioni di ascoltatori, che nelle sue parole ritrovano e legittimano (anche) quella fragilità che troppo spesso si pensa di dover celare. E che ci fa dire che sì, vent’anni dopo Guè è ancora la Madreperla rara del rap italiano.

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