Hip Hop

Izi ci presenta il nuovo album: «”Riot” è la mia rivolta creativa»

L’ultima fatica di Izi, in uscita domani, è un urlo che invoca risposte e libertà di sperimentazione, senza strizzare l’occhio alla violenza

Autore Filippo Motti
  • Il29 Ottobre 2020
Izi ci presenta il nuovo album: «”Riot” è la mia rivolta creativa»

Izi / Mattia Guolo

Cosa c’è dopo il disvelamento? È una domanda che sorge spontanea nel momento in cui Izi ritorna con un progetto dopo Aletheia, apprezzato ultimo album del poliedrico rapper ligure pubblicato a maggio 2019.

Aletheia, che significa proprio “rivelazione”, “verità“, espressione greca ripresa da Martin Heidegger nel secolo scorso. Un concetto filosofico che ha fatto il suo ingresso nel rap game con l’ultima fatica di Izi, e che aveva colpito pubblico e critica per tutto quello che era stato costruito attorno tra liriche, vibrazioni e concept.

Cosa abbia seguito quella rivelazione lo scopriamo con Riot, disco ricco di featuring (alcuni davvero inaspettati) in uscita il 30 ottobre, che ci siamo fatti raccontare al telefono dallo stesso Izi.

Il concept del progetto

Che legame c’è tra il concept di Riot e quello che sta succedendo nel mondo?

Da buon paranoico già in Aletheia sentivo che qualcosa sarebbe successo, anche se non potevo sapere cosa. Il disco è stato finalizzato sia prima che nell’ultimo periodo. Anche per questo ho scelto di dare il nome Riot. Con la morte di George Floyd si è rinforzata ancora di più nella mia testa l’idea di chiamarlo così. Dentro di me è come tutti gli altri miei album: sono riot, nel senso che c’è un estremo bisogno di risposte, ed è un urlo di strazio. Per niente violento, ma pieno di rabbia. Riot non vuole incitare alla violenza di nessun tipo. Semmai, come già ho fatto in Aletheia, incitare ad usare il cervello e migliorare i poteri che abbiamo. E comunicare, soprattutto. Vedo tante difficoltà di comunicazione.

Un laboratorio musicale

Un titolo pregnante.

Riot è una rivolta creativa. È un disco in cui sono rapper e direttore artistico, cerco di dare un senso ad ogni pezzo, di creare più match possibili – e non per doverli fare, ma perché ho il piacere di collaborare con quella persona, di sperimentare, di essere come lo scienziato che fa esplodere le provette in laboratorio. Ci sono tantissimi produttori e artisti di diversi mondi. Tutti questi argomenti fanno parte di Riot, oltre al mio stato emotivo interno, che da un certo periodo versa nelle convulsioni e nei disturbi somatici. Semplicemente vorrei che stessimo un po’ meglio invece di perdere energia di fronte a ipocrisie e incongruenze.

La maturità del pubblico

Hai parlato di sperimentazione. Pensi che il tuo pubblico sia abbastanza maturo da comprendere il senso di presenze in tracklist come Benny Benassi e Elettra Lamborghini?

Purtroppo il pregiudizio ci sarà sempre. Quando è stata letta la tracklist si è alzato un polverone superfluo, soprattutto per Elettra. Ho sorriso, perché tanto so com’è la traccia. Io la musica la faccio per me e per quello che vorrei suscitasse alle persone. Per quel che mi riguarda è una messa alla prova, come dirmi “Diego, caro mio, fai qualcosa che la gente pensa tu non possa fare con questa persona”. Vorrei che le persone smettessero di giudicare. Anzi, pre-giudicare. Non so poi se il pubblico sia pronto, l’Italia in generale deve accettare che un artista possa sia affrontare certe tematiche che divertirsi. Di Riot spero che la gente riesca a cogliere tutto il sottobosco di interpretazioni, simbologie e allegorie che ci sono nei testi. Che non sono mai, mai, mai lasciati al caso.

Talento e martirio

Lo spessore artistico può essere una condanna? È come se la scelta di arricchire i dischi con elementi ricercati (come concetti heideggeriani) vincolasse l’artista a non discostarsi mai da certi contenuti.

È una guerra totale. Ho cercato di alleggerirmi un po’ dal senso di colpa. Prima ero un martire di questa cosa. Sono stato male anche fisicamente. Non tanto per il giudizio, ma perché mi sforzo fin da quando sono piccolo di fare le cose con cuore e anima. Vorrei essere un artigiano della musica, e mi piace chi cerca di valorizzare la qualità del prodotto, più che la quantità. La mia missione è questa. Poi certo, sento la pressione e ci sono tanti momenti in cui ho pensieri discordanti. Ma c’è poco da parlare di “vendersi”.

Puoi trovare il resto dell’intervista a Izi nel numero di novembre di Billboard Italia, che sarà disponibile sulla nostra app.

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