Perché tutti aspettiamo il ritorno di Kendrick Lamar
Il rapper arriva da noi con un concerto che lascerà il segno, per più di un motivo. Dal forte segnale per il settore all’importanza di avere un artista così unico proprio nel nostro Paese
Kendrick Lamar è sicuramente una di quelle figure bigger than life, simbolo di una generazione. Capace in pochi anni di ridefinire il conscious rap, introdurre tantissimi all’hip-hop e ampliare le vedute artistiche di tutta la vecchia guarda. A 9 anni di distanza dalla sera ai Magazzini Generali del 2013, Kendrick Lamar torna nel bel Paese. Questa volta però non si tratta di un concerto per conoscitori esperti del genere, ma di una delle date più importanti dell’anno in Italia.
Un segnale forte per il settore
L’emergenza pandemica, lo sappiamo, ha colpito tutti i settori del lavoro. Ma non c’è dubbio che quello dei concerti sia fra quelli ancora più in difficoltà. Tanti artisti hanno parlato più volte dell’importanza di tornare a fare musica dal vivo. Non solo per il bisogno dei musicisti di riconnettersi con il proprio pubblico, ma anche per far ripartire una macchina che dà lavoro a tante persone.
Forse anche per questo vediamo ultimamente un grande fervore, con tanti festival e concerti annunciati. E, in un momento di difficoltà come questo, riuscire ad avere un Big con la B maiuscola come Kendrick Lamar è un segnale forte, a livello internazionale. Al momento, peraltro, questa è l’unica data annunciata per Kendrick, al punto da spingere anche testate internazionali come NME a parlarne.
La scarsità di concerti e l’assenza del rapper dal paese, durata quasi un decennio, potrebbero giustificare da solo l’hype ed emozione che sono esplosi sui social alla notizia della data italiana. Senza contare che molti, tra cui il sottoscritto, erano già stati “scottati” con il concerto annunciato a Roma, poi disdetto causa Covid.
Ma non si tratta solo di tempo, ma anche di cosa Kendrick Lamar ha fatto, in questo tempo.
“From a peasant to a prince to a m*********n king”
L’ultima volta che K.Dot è stato qui era per la promozione del suo Good Kid M.A.A.D. City. Lavoro composto di uno storytelling tanto vivido da farti sentire in macchina con lui, di continui cambi di flow, sperimentazioni con le metriche, voci pitchate e basi visionarie. Se Kendrick Lamar avesse smesso a questo punto, avrebbe comunque prodotto un disco indimenticabile nella storia dell’hip hop. Invece era solo l’inizio.
A tre anni di distanza, la vera perla, To Pimp A Butterfly. Un album talmente pregno di significato, idee, rimandi e citazioni che cercare di farne una sinossi in poche righe non gli farebbe giustizia. Il podcast di Spotify Dissect ci ha messo più di 10 ore, analizzandone ogni frase. Basti pensare che il materiale scartato dal progetto, ha dato vita poi ad un intero album Untitled Unmastered. Lo stesso si può dire della produzione, che ha compreso moltissimi artisti, alcuni dei quali hanno trovato fama internazionale proprio grazie a TPAB. Kamasi Washington, Thundercat, Terrace Martin e ancora Flying Lotus, Rapsody, Knxwledge. Senza contare che nelle produzioni c’erano anche nomi come Dr. Dre, Pharrell Williams e Robert Glasper. Kendrick Lamar passava liricista e rapper promettente a campione dei pesi massimi.
Da lì, la consacrazione con Damn, vincitore del premio pulitzer e con feat da vera big star, come U2 e Rihanna. La scoperta di nuovi talenti, come SZA e il suo bellissimo Ctrl e Baby Keem, cugino del rapper, uscito recentemente con l’esordio The Melodic Blues. Poi la collaborazione con Disney, per realizzare la colonna sonora di Black Panther, una delle migliori OST degli ultimi anni. Kendrick è ufficialmente una pop star (nel senso di pop culture ovviamente).
Ma con le celebrità K.Dot non sembra avere molto a che fare. Una vita tenuta strettamente privata, pochissimi i gossip sul suo conto, poche le collaborazioni. Ancora meno, purtroppo, le notizie di progetti futuri. Tutto questo non fa che aumentare la curiosità e la voglia dei fan di vedere dal vivo uno degli artisti più importanti del decennio.
Lo stile di Kendrick Lamar
Se dobbiamo ad artisti come Kanye e Drake il merito di avere dato al rap sonorità e vibes più spendibili nel pop, Kendrick ha insegnato che parlare di strada può essere più di una semplice cronaca. La sua musica è profondamente legata a Compton, essendo cresciuto prima di tutto come una persona di colore in U.S., nella Los Angeles del Gangsta rap, dell’arresto di Rodney King e dei riots del ’92. Ma allo stesso tempo è distante anni luce da Tupac e dalla “classica” scuola della West Coast. Avendo totalmente personalizzato il modo di rappare, cambiando flow, intonazione e a volte effettando pesantemente la voce più volte nella stessa traccia. Kendrick non mette le strofe sulle basi, ma manipola entrambe per creare qualcosa di totalmente personale e irriproducibile. Questa sua forte identità, peraltro così variegata, è quello che l’ha portato ad avere così tanto successo, sia tra i fan del genere che non. Il suo lavoro risuona così tanto con le persone perché non si pone mai come personaggio, ma parla delle sue esperienze, dei suoi dubbi e delle sue verità.
Se tutto questo vi sembra una sviolinata, il consiglio è quello di concedervi un’oretta per riascoltare Section 8.0, l’ultimo lavoro di Kendrick da indipendente, considerato il suo esordio. Poco più che ventenne, K.Dot aveva già mentalmente tracciato il suo percorso e messo in chiaro le sue priorità da artista. “I’m not the next pop star, I’m not the next socially aware rapper / I am a human motherfucking being over dope ass instrumentation”.
Quando avete finito, qui troverete i biglietti per la data di quest’estate, il 23 giugno all’Ippodromo di Milano.