Lucariello: “Ecco come il mio brano è diventato la sigla della serie di Gomorra”
L’ultimo disco del rapper napoletano Lucariello è “Il Vangelo Secondo Lucariello”. Nella tracklist anche un featuring con Fabri Fibra
Lucariello è uno dei nomi più influenti della musica napoletana di oggi. Il rapper ha da poco pubblicato il suo terzo album da solista, Il Vangelo Secondo Lucariello, un lavoro dal titolo provocatorio che spazia dalla trap all’hip hop, passando per il cantato e l’elettronica, e che vuole raccontare la spiritualità di chi è più debole. Il suo brano Nuje Vulimme ‘Na Speranza è stato scelto come sigla ufficiale della terza stagione della serie TV di Gomorra.
Come è successo che un tuo brano diventasse la sigla ufficiale della serie di Gomorra? Che effetto ti fa?
Qualche anno fa è nato il pezzo Cappotto di Legno, un brano dedicato alla storia di Roberto Saviano e alle minacce di morte che ha ricevuto. Si è trattata di una collaborazione con il direttore d’orchestra Ezio Bosso. Da quello è nato un rapporto con il mondo di Gomorra. Il regista Garrone ha inserito nel film di Gomorra solamente neomelodici, ma secondo me oggi i ragazzi ascoltano soprattutto la nostra roba. Se vuoi dare un tratto più contemporaneo a Gomorra secondo me devi mettere dei pezzi come quelli che propongo io. Alla fine mi è stato chiesto di fare un brano per la sigla della serie. Nuje Vulimme ‘Na Speranza è il pezzo rap in italiano più ascoltato nel mondo.
Il tuo nuovo disco è Il Vangelo Secondo Lucariello. Un titolo iconico…
Da un lato può essere visto come un titolo da megalomane (ride, ndr) ma in realtà vuole mettere in evidenza il legame tra strada e spiritualità. Io cerco di mettere a disposizione gli elementi spirituali che forse sono più vicini a chi vive una situazione di povertà e di sofferenza. Nella tracklist c’è anche un pezzo dedicato a Maria Maddalena, una donna di malaffare di cui (nel mio brano) Gesù si innamora. Questo, in sintesi, è un disco di passaggio.
Perché?
Se fai attenzione vedrai che da una parte ci sono pezzi in rap stretto in napoletano ma c’è anche molto cantato. Mi sono riferito alla trap mediterranea che si sta diffondendo in questi ultimi anni dalla Francia, dal Maghreb: c’è un elemento tra l’elettronica minimale della trap e ci sono le melodie napoletane. Il prossimo singolo è Il Cielo Su Napoli.
All’interno del disco ci sono tre featuring. Come sono nati?
C’è un brano, Killer, che ho fatto con i Mokadelic. Con loro è nato un bel rapporto grazie alla sigla di Gomorra. Poi c’è Fabri Fibra: quando fece Squallor mi chiese di collaborare su Pablo Escobar/Skit Squallor e in questi ultimi tempi gli ho chiesto di ricambiare questo favore. Poi compare Ntò, con il quale c’è un grandissimo rapporto e infine c’è Raiz. Con lui ho condiviso un periodo con gli Almamagretta. Siamo molto amici. Insomma: in questo disco non ho fatto collaborazioni forzate.
Perché hai scelto proprio questa foto come cover del disco?
L’immagine è un’opera di Banksy, un artista molto diretto. Ha fatto questa opera a Napoli. È una Madonna che sta adorando una luce dove c’è una pistola. Era perfetto per me poter parlare di spiritualità e strada. Inoltre, è un artista che mi piace tantissimo: con un’immagine ti dice tutto. È immediato. Ed è la stessa cosa a cui aspiro io, con la mia musica rap.
Da tanti anni organizzi laboratori in carceri, scuole, periferie. Perché lo fai? E soprattutto cosa ti porta?
Ti dico la verità: ho iniziato questa cosa perché mi ci sono trovato. All’inizio ero abbastanza contrario. Io, pensavo, faccio il rapper e non l’assistente sociale. Io non faccio tutto questo perché sono un assistente sociale. Lo faccio per arricchirmi. La musica e la scrittura hanno l’esigenza di sentire la vita degli altri. Fare queste esperienze mi aiuta a entrare in contatto con questo tipo di realtà. Per me la cosa più importante è l’empatia.