Quando l’educazione passa per il rap: l’incontro con Paola Zukar e Don Claudio Burgio
In occasione della presentazione del mixtape SuperNòva allo spazio Nòva di Novara si è svolto un talk tra la manager e il fondatore della comunità Kayros: una boccata d’aria fresca in un momento storico in cui l’hip hop viene dipinto come il capro espiatorio delle “devianze giovanili”
In un periodo storico in cui non c’è genere musicale più demonizzato del rap, che dalla televisione ai media generalisti, passando per la politica (l’ultima accusa arriva niente meno che da Alfredo Mantovano, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, che durante il discorso tenuto durante la presentazione del Piano Nazionale di prevenzione contro l’uso improprio del Fentanyl ha chiesto alle famiglie italiane di prestare attenzione agli ascolti dei propri figli, definendo i rapper americani “i nuovi cattivi maestri dei giovani” al posto degli “apologeti del terrorismo”), viene dipinto come il capro espiatorio per eccellenza delle “devianze giovanili”, ascoltare le voci di Paola Zukar e Don Claudio Burgio è una ventata d’aria fresca che restituisce all’hip hop la sua dignità educativa.
L’incontro – moderato da Giuseppe Passalacqua – tra la manager di Fabri Fibra, Marracash e Madame e il cappellano del carcere minorile Beccaria e fondatore della comunità Kayros si svolge allo spazio Nòva (centro di aggregazione giovanile che offre laboratori artistici e musicali coordinato insieme al comune di Novara), in occasione della presentazione di SuperNòva, il mixtape realizzato dai ragazzi del progetto RapUp insieme ai coetanei di Kayros, dei quali una volta facevano parte anche Sacky e Baby Gang.
Ed è proprio dalla storia di Zaccaria che inizia il racconto di Don Claudio. «Da quando l’ho conosciuto, al Beccaria, è sempre stato determinato a farcela con la musica. Un giorno in comunità gli ho chiesto di farmi ascoltare una canzone che aveva registrato durante la notte e mi fa ascoltare Tre occhi. In quel momento mi è venuto un brivido, perché in quel pezzo lui cantava del suo pessimo rapporto col padre, di quello di grande affetto con la madre, della sua infanzia. Alla fine gli ho chiesto “Ma questa è la tua vita davvero?” e lui lì per la prima volta mi ha aperto il libro della sua vita. Un libro di rabbie sopite per anni. Il nostro rapporto educativo è iniziato così».
Don Claudio: «Il rap permette di instaurare un rapporto educativo molto profondo coi ragazzi»
Da quel momento – grazie alla potenza espressiva del rap – Don Claudio trova la chiave giusta per aprire quelle porte chiuse a doppia mandata che sono le complicate vite dei suoi ragazzi, la cui violenza è figlia di una profonda sofferenza che non trova conforto nel mondo là fuori. Per questo negli anni il suo mantra è diventato “Non esistono ragazzi cattivi”. «Da lì ho capito che quello poteva essere un tramite fortissimo per arrivare. Niente come questa musica permette un’introspezione tale da scavare davvero in quello che sei per tirare fuori quello che hai vissuto e quanto hai sofferto. Il rap permette di instaurare un rapporto educativo molto profondo coi ragazzi».
E in Kayros i ragazzi possono trovare quel momento favorevole che la vita non gli aveva ancora fatto conoscere. «Kayros è una comunità dove proviamo a fornire uno sguardo nuovo alla vita. La cosa importante è che i ragazzi possano guardare alla vita in maniera diversa da come sono arrivati», racconta Don Claudio, «questo deve essere il loro tempo opportuno. Per questo non esiste un progetto educativo schematico, siamo noi che ci adeguiamo a chi abbiamo di fronte».
Insomma, in Kayros Don Claudio e il suo team di volontari ed educatori offrono ai ragazzi quella comprensione che troppo spesso viene negata loro altrove, come del resto accade ai loro testi, che altro non sono che lo specchio di una società che ha fallito con i propri giovani. «Ci si scandalizza per i testi dei rapper e non per quello che questi ragazzi hanno dovuto vivere e che noi abbiamo permesso, che è esattamente quello che raccontano. Che piaccia o meno, con le loro canzoni fanno cultura. Spesso vengono criticate perché le istituzioni non reggono certi temi, ma è troppo facile etichettare, e questi giovani lo sono già abbondantemente. Essere stato in un carcere minorile è ancora uno stigma che molti di loro si portano addosso. Noi vogliamo capire cosa si muove dentro un ragazzo e perché agisce così. Dietro ogni reato c’è sempre un mondo da scoprire».
E i ragazzi crescono anche attraverso la musica: «Sono stato contento quando Sacky a Muschio Selvaggio si è preso la responsabilità delle proprie azioni. Quando l’ho conosciuto ce l’aveva con le istituzioni perché San Siro è davvero la geografia della paura, c’è il degrado più assoluto, quindi non potevo dargli torto. Però averlo sentito dire nella sua ultima canzone che si vergogna dei reati che ha commesso e non si giustifica è stato importante. Vuol dire che che la musica riesce a dare una prospettiva diversa».
Paola Zukar: «Per me il successo non è mai stato un fatto economico»
Un piccolo grande successo, un termine che può declinarsi tanto nel campo educativo pedagogico quanto in quello artistico. «Per me il successo non è mai stato un fatto economico», dice Paola Zukar, «ma oggi coi social si pensa che avere tanti follower e tanti numeri equivalga ad avercela fatta. Noi non abbiamo mai cercato questa cosa, e quando dico “noi” mi permetto di accomunarmi con gli artisti perché abbiamo sempre fatto fronte comune per avere successo, che non era altro che riuscire a dire ciò che volevamo dire nel mondo in cui volevamo farlo. Di successo economico nel rap si inizia a parlare nel 2016 con l’arrivo della trap. Mi ricordo che fino a Status Marra ogni volta diceva “Noi non siamo valorizzati, questa non è considerata cultura”, però continuavamo a farlo perché era quello in cui credevamo davvero, anche esprimendo delle cose che non erano considerate belle».
E proprio questo è il grande potere del rap, continua Paola Zukar, «avere lo scudo dell’arte che ti consente di dire delle cose che altrimenti non diresti. Poi non sempre suo può essere capiti, a qualcuno può piacere e ad altri no. Prima mi arrabbiavo perché i testi non venivano capiti. Mi chiedevo come non si potesse comprendere che questa è arte ed è un gradino sul quale si può salire per poi fare un salto più grande. Ora ho fatto pace con questa cosa, anche se non la condivido, perché per me la capacità di esprimere dei sentimenti anche con parole brutali, ruvide, fastidiose e controverse in un paese in cui esiste la libertà di espressione deve essere difesa».
L’importanza del fallimento per Don Claudio e Paola Zukar
E spesso prima di un successo c’è il fallimento, talvolta un passaggio obbligato per ripartire da zero. «Per me i fallimenti sono più importanti dei successi», aggiunge Paola Zukar, «sperimentare il fallimento è estremamente educativo, e ci vuole tempo per assorbirlo, soprattutto in una società performante come la nostra che non è abituata a concepire il fallimento come un’opportunità per ripartire. Penso ai ragazzi più giovani che riescono ad ammettere di doversi fermare per capire cosa stia succedendo, mentre noi adulti abbiamo venduto loro dei mezzi che creano illusioni o aspettative che poi non corrispondono alla realtà».
Sul fallimento come punto di partenza concorda anche Don Claudio. «Io lo dico sempre ai ragazzi che arrivano dal Beccaria: dalla cella si può sempre ripartire, iniziare un nuovo percorso. Il momento più difficile deve diventare il tuo kayros. Occorre però che qualcuno stia al fianco dei ragazzi in questo passaggio, perché oggi quello che li terrorizza è proprio lo spettro del fallimento».
«I giovani oggi sono più fragili», continua Don Claudio, «sono spaventati dal fatto di non essere visti, compresi, e molti reati si concepiscono perché è un modo per sfuggire a questa fragilità, questo vuoto. Penso al ragazzo che si è suicidato qualche giorno fa in carcere (Jordan Jeffrey Baby, ndr): quel ragazzo andava curato, ma il problema è che in ogni fallimento vediamo un qualcosa che deve essere cancellato e non permettiamo alla persona di guardarlo in altro modo. Baby Gang è l’esempio di questa cosa. Lui dice “mi avete fatto vedere solo galera nella vita e io racconto solo galera”».
Esiste un rap “buono” e un rap “cattivo”?
Ma esiste un rap buono e un rap cattivo? «Un volta c’era Jovanotti che spingeva il rap positivo e Fibra che spingeva il rap negativo. Ma non credo che l’arte possa essere giudicata in questa maniera», spiega Paola Zukar. «Il rap è semplicemente di esprimersi, lo puoi usare bene, lo puoi usare male tra virgolette. Ma nel momento in cui tiri fuori qualcosa che altrimenti non sapresti esprimere è per forza qualcosa di buono, anche se si tratta di disagio o di qualcosa di estremamente negativo».
«Per me non esiste un rap cattivo», aggiunge Don Claudio, «per me i testi dei ragazzi non sono uno scandalo, ma un punto di osservazione da cui scrutare una realtà che non mi appartiene ma che ho il dovere di guardare con responsabilità».
«Il problema della musica italiana», continua Paola Zukar, «è che è sempre stata concepita per essere consolatoria e per essere melodica. Io non sono mai stata attratta da quella cosa lì. Per me la musica deve essere anche catartica. E quando c’è un momento di liberazione non sai mai che cosa viene fuori».
ll rap oggi è ancora politico?
Ma il rap oggi è un genere politico? «Più che politico direi che è sociale», sostiene Paola Zukar. «Il rap è un’istantanea del momento in cui si vive. Prima era politico perché la gente si sentiva vicina alla politica. Sentiva di poter intervenire davvero coni grandi movimenti. Oggi le cose sono cambiate, la politica non riguarda più le persone ma è totalmente fine a se stessa. E questo si riflette nel rap. Ci sono comunque album molto sociali, penso a Noi, Loro, Gli Altri. Quello è un disco che apre a un dibattito, a una riflessione, che ti dà modo di pensare e di confrontarti. Questa è la bellezza del rap».
ll confronto generazionale: Don Claudio sul rapporto coi genitori nei testi rap
Un confronto che diventa soprattutto generazionale. «Quello del rapporto con i genitori è un tema fondamentale», racconta Don Claudio, «è una cosa onnipresente nei testi dei ragazzi. Che denotano una mancanza della figura paterna e un’affettuosità quasi simbiotica con quella materna. Il problema oggi è l’adulto, come sta in rapporto con i figli. Passiamo da genitori iper-protettivi che impediscono ai ragazzi di essere se stessi a figli completamente abbandonati. Al Beccaria arrivano entrambe le situazioni, perché da qualche anno ci sono anche figli di famiglie benestanti. Bisogna trovare un equilibrio tra i due limiti».
Paola Zukar: «Oggi le donne sono competitive tanto quanto gli uomini»
Tra i rapporti del rap messi sotto la lente di ingrandimento – in particolare negli ultimi mesi – c’è anche quello con l’universo femminile, che presenta sicuramente delle controversie e su cui c’è ancora molto lavoro da fare. Esattamente come nella società in cui viviamo. «Il rap è una fotografia della realtà e gli artisti incanalano quello che c’è là fuori nei loro messaggi», dice Paola Zukar. «Di fatto viviamo in un momento storico che non ha trovato un equilibrio sano tra uomini e donne». E per quanto riguarda la rappresentanza nel genere: «Se pensi al rap pensi ad un ambito competitivo. E oggi anche le donne lo sono tanto quanto gli uomini, anche se con sfumature differenti. Penso ad Anna, Ele A, rapper che si difendono benissimo. Anche se c’è ancora tantissimo margine di miglioramento per una parità, credo che questo sia un buon momento per le donne ne rap».