Piotta: «In ogni brano di “Suburra” rendo il conflitto dei personaggi»
Oggi esce il video di È ora di andare all’interno della colonna sonora della serie TV e dedicato a Spadino. La nostra intervista al Piotta
La terza e ultima stagione di Suburra, tra le serie italiane più apprezzate del XXI secolo, è stata distribuita in oltre 190 paesi. Un dato da sottolineare, perché la stessa fortunata sorte è toccata a Suburra – Final Season, l’album che Piotta ha realizzato appositamente come colonna sonora per l’atto finale della creatura di Netflix. Un evento senza precedenti per il pioniere della scena hip hop romana, che ha visto le proprie rime catapultate in giro per il mondo assieme alle vicissitudini di Aureliano, Spadino, Manfredi, Samurai e il resto dei protagonisti. Proprio a ciascuno di loro è dedicato un capo musicale che Piotta ha confezionato su misura.
Le strade di Piotta e Suburra si sono già incrociate in passato (era il 2017), ma l’uscita del videoclip ufficiale dell’estratto È ora di andare (con il maestro Francesco Santalucia) ha offerto il pretesto ideale per scavare ancora più a fondo nella collaborazione. Tra serie di culto, metafore ippiche e costanti che attraversano la storia di Roma, Piotta ci ha riservato al telefono un bilancio di questo incontro professionale. Con un occhio (e un orecchio) a quello che verrà.
L’intervista a Piotta
Facciamo un passo indietro. Che 2020 hai passato?
Un anno che ha inaspettatamente compensato l’annullamento del tour estivo, con un’uscita che fino a febbraio scorso non era nemmeno prevista. Stavo iniziando timidamente a lavorare al mio album, ma ad un certo punto è arrivata questa proposta. Che, non ti nego, mi ha fatto particolarmente piacere. Non mi era mai successo di dover realizzare una colonna sonora dall’inizio alla fine. È un’esperienza che ha messo insieme cose che avevo fatto in precedenza, dando loro un’organicità e sostituendo la mancanza di tour, prove… È stato stimolante anche misurarsi con uno standard internazionale. Roma non è certo l’ultima città del mondo, ma dal punto di vista musicale non è nemmeno la capitale.
A proposito, qual è lo stato di salute della pancia musicale romana?
Secondo me Roma sta dimostrando ormai da anni di trovarsi in uno stato di grazia a livello creativo. Stanno uscendo tanti nomi che appartengono a percorsi, generi e sottogeneri differenti. Questo dà l’idea di una prosperità generale. Si dice spesso che tanto è il benessere creativo quanto è il malessere quotidiano. Al di là del male contingente della pandemia, noi veniamo già da anni belli duri. Per assurdo, dopo questo lockdown Roma sembra un po’ meglio rispetto a prima. Ma non tanto per meriti gestionali, quanto per sfortuna altrui.
Tornando al 2020, come l’hai vissuto a livello personale?
Per quanto le cose vadano bene al singolo, viverle in un contesto malinconico e teso non ti fa godere appieno del tuo risultato. Ma paradossalmente il clima surreale del lockdown, sospeso tra malinconia e l’oscurità, unito anche alla voglia di trasformare tutto ciò in qualcosa di positivo, ha creato in me il giusto clima a livello emotivo per raccontare Suburra. Sarebbe stato complicato entrare in quel mondo buio tra positività e feste. Costretto a questa idea claustrofobica tra strade deserte e rituali (quasi tribali) dei balconi, sono stato aiutato molto a livello di scrittura.
Guarda il videoclip di Piotta “È ora di andare”
Piotta & Suburra
Qual è stata la vera sorpresa di questa collaborazione tra Piotta e Suburra?
Quest’idea di fare più sigle, una per ogni personaggio, in modo tale che ognuno avesse un suo inno, una sua storia che ne raccontasse le gesta criminali. Ho cercato soprattutto di spiegare cosa li ha portati a fare quel che fanno, mostrando quello che sono. Sembrano tutti dei vincenti, ma in realtà sono degli sconfitti. Infatti in È ora di andare c’è questa idea di sconfitta interiore e pubblica.
Il personaggio più faticoso da raccontare?
Forse Manfredi… Vedi, il mondo gitano ha due personaggi principali, Manfredi e Spadino. Per quanto riguarda il secondo ho pensato di raccontare questa mancata accettazione di se stesso, un conflitto interiore continuo. Quindi ne ho tratto un testo ed un arrangiamento introspettivo, crepuscolare, con un piano che evocasse una sorta di passeggiata notturna con se stessi. Invece, per quanto riguarda Manfredi, volevo raccogliere quell’animo musicale più gitano, con degli elementi folk. Però non volevo fare la copia di 7 Vizi Capitale, che ha gli stessi elementi, fatti però in bassa battuta. Quindi ho optato per un brano veloce, La Giostra, per cercare di raccontare il personaggio tramite una festa notturna delle loro, con carne di cavallo, fiumi di alcol e quant’altro. Chiaramente il rischio del brano veloce è di uscire dal seminato, facendo risultare il tutto più divertente di quanto non debba essere. È come avere un cavallo che tira sotto come un dannato, e tu devi comunque tirare le briglie per far sì che faccia il suo percorso di dressage e non di galoppo.
Il bene contro il male: un decorso
Perché si tende ancora oggi a definire diseducativi dei prodotti filmici che rappresentano il male senza intenti prescrittivi?
Posso dirti una cosa che ho notato quando ero più piccolo. La piovra, con Michele Placido, è stata una serie seguitissima. Si partiva con il bene che lottava contro il male. Il poliziotto o il giudice contro il crimine, la mafia siciliana. Poi c’è stata una fase intermedia dove bene e male interagivano alla pari, e penso a Romanzo Criminale, al personaggio di Scialoja, che è molto presente. Se arriviamo a Suburra, la fase 3, non c’è più la polizia. È un colore, un contraltare che sfuma. Siamo passati dal bene, assoluto protagonista, al crimine che prende il suo posto. Mi fa pensare che ci sia stato un cambiamento nel gusto del pubblico. Si fa ancora fatica a far digerire delle serie crime così dure. Sarebbero diseducative. Ma si fa questo ragionamento come se fosse un lavoro che volesse assurgere ad essere un film neorealista. Di partenza, però, è chiaramente una fiction. Se qualcuno pensa di poter emulare è una persona disturbata, che si parli di Suburra, Gomorra o Breaking Bad. Stesso discorso per i videogame, come se GTA ti spingesse ad uscire di casa e sparare. La trovo molto più che una forzatura.
Non sei il solo…
C’è una fascinazione del male rispetto al bene, ma questa cosa è sempre esistita. Preferiamo Baudelaire ad un poeta classico e pulito che non disturba, o Mozart ad un altro compositore… tutti artisti che hanno mostrato il loro lato oscuro, che tutti noi abbiamo. Quella debolezza spesso mascherata invece con un’aggressività che va oltre la soglia del comportamento comune. Sta accadendo sempre di più, ma trovo banale la contestazione. Preferisco semmai scavare nel lato oscuro. Che poi, queste serie lo fanno spesso meno di altre. Sette criminali che girano per Roma a commettere crimini di ogni tipo dalla mattina alla sera… non è nemmeno così credibile. Rende il tutto molto più fumettistico di un biopic, come potrebbe essere Zodiac.
Piotta tra Roma e il nuovo album
In Scivola via canti: «Se solo potessi, fermare ogni scena/ Ripetere ancora la stessa battuta/ La migliore di sempre, quella che rivedresti/ Ogni volta che pensi al nostro copione». Quale passaggio del disco riascolteresti all’infinito?
A me piace davvero tutto quanto, anche a livello strumentale, ma credo che È ora di andare sia una canzone che sarebbe potuta essere anche dentro Interno 7. Racconta bene il mio percorso musicale fin qui, grazie ad un mix di rap degli esordi in chiave più adulta con i cantautori che ho sempre ascoltato.
Qual è la sfumatura di Roma che Suburra ha colto in maniera più originale rispetto a quello che l’ha preceduta?
C’è un elemento che torna in tantissimi libri e film su Roma: la capacità di mescolare alto e basso, sacro e profano. Riuscire a fare un mix pazzesco di percorsi molto differenti che convergono su un obiettivo comune. Un viaggio in una direzione di potere, pur arrivando da situazioni lontanissime. Non è una sfumatura nuova, ma per assurdo è talmente vecchia che ti stupisce che non sia mai passata. Il succo del controllo del potere, anche a costo di allearsi con il peggior nemico, si crea ogni volta. A livello musicale credo che l’originalità sia nella title track. Il rap che ho scritto è molto moderno. Quello di Cuore nero è molto classico, in stile romano golden age, con batterie old school, un rap bello aggressivo. Invece quello della seconda traccia è molto più sincopato, moderno… le terzinature della batteria potrebbero ricordare qualcosa di trap. Ma di colpo questo tessuto moderno viene squarciato dalla chitarra acustica che entra e dà questo canto a cappella molto de core, trasteverino. Racconta una compenetrazione tra vecchio e nuovo che a Roma c’è, e dà nuova linfa alle cose più tradizionali.
Quanto manca al nuovo album di Piotta?
Me la sto prendendo molto molto comoda. Voglio fare qualcosa che mi soddisfi al 100%, è una sfida con me stesso. Vorrei stupirmi di nuovo da solo, come feci con Interno 7.