Young Slash «Con “Popular” tengo alto il nome del quartiere»
All’interno del nuovo album Popular sono presenti collaborazioni con Vegas Jones, Bresh e Vaz Tè. La nostra intervista a Young Slash
Young Slash (vero nome Andrea Coodye) ha 20 anni, origini mauriziane e un legame (molto) forte con la sua Genova, città in cui si è trasferito – dalla periferia di Milano, dove abitava con la sua famiglia – quando era molto piccolo. Domani, venerdì 19 giugno, esce Popular, il suo nuovo disco, arrivato dopo un anno di silenzio in cui ha viaggiato e si è confrontato con le scene musicali di altri paesi.
Nell’album – che vede collaborazioni con Vegas Jones, Bresh e Vaz Tè e che esce per Dogozilla Empire/Sony Music – si uniscono idealmente i quartieri periferici di Genova alle banlieue di Parigi. E ci si libera di alcuni cliché del genere.
Dove è stato concepito questo progetto?
L’ho scritto quest’anno. Sono stato fermo e non ho fatto uscire roba. Sono stato a lungo a Parigi. Ho preso molta ispirazione lì. Poi sono tornato in Italia, ho scritto le altre canzoni e le ho registrate a Milano.
Perché Popular?
Il concetto di Popular fa riferimento alle case popolari, ma non solo. Il disco si concentra molto sul concetto di quartiere. Sono venuto a Genova da piccolo da Milano perché mio fratello gemello ha una dermatite e ha bisogno dell’aria di mare. Abbiamo dormito nelle stazioni, siamo stati un po’ nella parrocchia nel mio quartiere. Per questo ho voluto parlare anche della chiesa nel disco. Genova, comunque, è la mia casa. Mare è sinonimo di ispirazione per me. Nel mio quartiere ci sono tanti problemi di degrado, di case popolari, ecc. Ma ci si arrangia: è la realtà.
Queste realtà tante volte spingono a dare di più…
Sì, in questo disco c’è un grande spirito di rivalsa. Nei confronti miei e pure della gente che mi ascolta, della gente del quartiere. Voglio portare in alto il quartiere ma facendolo con la mia musica. Nel disco ho parlato molto di ciò che vivo, di quello che faccio qui, di cosa immagino e di cosa vedo. Ma anche di come mi vede la gente. Dentro e fuori da qui.
Come vivi il parallelismo tra Young Slash e Andrea Coodye?
Ora bene. Nel nuovo singolo Dove si va ho voluto dare un immaginario diverso di me rispetto a quanto ho raccontato finora. Slash non è solo treccine, rasta e tatuaggi: è contenuto. È un’occasione per far rispecchiare le persone in qualcosa.
Da dove è nato il desiderio di mostrarti al cento per cento?
È arrivato tutto in questi due anni. Mi sono accorto che la mia musica stava cambiando e anche io dovevo maturare e crescere. Mi sono preso il mio tempo per viaggiare, trovare ispirazione e vivere nuove esperienze. La Francia mi ha trasformato. Mi ha fatto prendere un nuovo mood per scrivere cose nuove.
La trap francese è molto forte. Cosa ti ha ispirato di più della città di Parigi?
Non so se risponderti sinceramente perché mi sa che dovrei parlare di cose un po’ “crude” (ride, ndr).
Non ti preoccupare. Vai pure…
Ok. Beh, innanzitutto le banlieue. Ho molti amici in Francia. Lì ho beccato amici di questi rapper, i PNL, che sono fortissimi. Sono di un altro pianeta. Il concetto di quartiere, poi, lì non è proprio come da noi. C’è gente che magari non ti fa entrare in alcuni, perché lì comandano loro. Una volta sono entrato in un quartiere, c’erano i palazzi pieni di gente armata e sono riuscito a entrare solo perché ero con “le persone giuste”. Poi ci sarebbero altre cose da dire, ma mi fermo qui. In ogni caso lì trappano davvero pesante. Sono molto legati alla musica africana e questa cosa mi piace da morire.
Due anni fa hai collaborato con il trapper polacco Zabson per il brano Ios e hai avuto modo di conoscere da vicino realtà musicali diverse dalla nostra. Quali sono i paesi europei dove vedi più fermento se pensi alla scena di oggi?
Sicuramente l’esperienza con Zabson mi ha caratterizzato molto a livello di suono. Mi spiego: anche se sono ancora “piccolo” a livello italiano, mi ha dato una bella spinta nel capire cosa poter fare a livello europeo. A me piace la musica drill, che è nata a Chicago ma è molto forte in Inghilterra. Io ascolto molto la drill UK: mi ha proprio preso. Nei prossimi progetti mi concentrerò molto su quello. Il disco Popular, invece, è ispirato dalla drill di Chicago. È figo andare e non andare a tempo su un beat.
Torniamo in Italia. Prima mi parlavi del tuo rapporto con Genova. È una città super importante nella scena musicale di oggi. Come la vivi?
Sì, da Tedua a Izi, c’è un sacco di gente che esce di qui. È un luogo di punta nel rap italiano. Questa cosa chiede di essere responsabili. Noi rapper genovesi non dobbiamo sbagliare a far uscire le cose. È anche per questo che ci ho messo un po’ per fare uscire l’album. Bisogna tenere alta la reputazione di Genova. Qui c’è un bel mood, c’è un bel clima, anche per scrivere.
Nel brano 80 Fame con Vegas Jones, parli della voglia di riscatto.
Vado spesso a Cinisello in studio da lui. Abbiamo fatto una bella canzone. È puro spirito di rivalsa. La canzone dice: anche se cresciamo, noi abbiamo sempre fame. C’è molto contenuto in questo pezzo. Nel disco non parlo di soldi, sesso e soliti chiché. Sono felice del risultato.
E il tuo rapporto con Don Joe e con la sua Dogozilla come è nato?
Io gli avevo scritto su Instagram e lui mi aveva fatto i complimenti per Africano Freestyle. Da lì a poco ci sarebbe dovuta essere la serata di Vegas ai Magazzini Generali di Milano e avrebbe dovuto aprire Cromo. Don Joe mi ha chiesto se mi andava di aprire insieme a lui. Io ero chiaramente gasatissimo. Nemmeno un mese dopo è uscito Black Fury, il mio primo album mixtape. Poi ho lavorato sempre meglio alla mia musica insieme a lui e l’esperienza in Polonia l’abbiamo fatta insieme. Ci siamo portati a casa un bel live.