CRLN, il malessere come terapia: intervista per l’uscita di “Precipitazioni”
Lei è l’unica voce femminile della Macro Beats e aveva già raccolto il plauso degli addetti ai lavori con il suo EP d’esordio “Caroline” del 2016: CRLN ha pubblicato il 16 marzo il suo primo lavoro full-length, intitolato “Precipitazioni”
Lei è l’unica voce femminile della Macro Beats e aveva già raccolto il plauso degli addetti ai lavori con il suo EP d’esordio Caroline del 2016: CRLN ha pubblicato il 16 marzo il suo primo lavoro full-length, intitolato Precipitazioni. L’album contiene dieci brani, scritti anche in collaborazione con il polistrumentista Alberto Brutti, in cui dolci ma sofisticate melodie vocali poggiano su basi strumentali di chitarra acustica e sample elettronici. Anche in virtù della straordinaria coerenza interna dell’album, quasi un piccolo concept, per molti aspetti CRLN è un’artista unica nel panorama indipendente italiano, riuscendo a fondere un’essenziale identità itpop con suggestioni sonore di ampio respiro internazionale.
In Fragile dici: “Stare male è una terapia inevitabile”. Sembra un po’ la cifra emotiva dell’album, che si muove spesso in atmosfere malinconiche (“Ho scelto di non essere più quello che dovrei essere”, Da Capo; “C’è sempre un buon motivo per stare uno schifo quando tutto il resto del mondo sta bene”, Precipitazioni). Che tipo di storia volevi raccontare con questo disco?
Sicuramente voglio raccontare la mia storia, che può essere la storia di chiunque ma vista tramite il mio filtro di negatività. Il mio punto di vista è sempre quello scomodo di una persona scettica che vede le cose più tristi e incurabili di quello che sono.
Comunque l’album si chiude con una nota positiva (Ritorno a Casa): “Goccia dopo goccia / Passo dopo passo / Ce la farò / A tornare a casa / Come una formica / Che porta la rugiada dentro / Il nido / E mi ricorderò il sentiero / Quando me ne andrò”. Una sorta di lieto fine?
Diciamo di sì. È una presa di coscienza della situazione. L’album non è solo un piangersi addosso tutti i problemi, ma è anche un farsi forza per conoscere meglio se stessi. Affrontare i problemi ti dà la possibilità di riconoscere i tuoi limiti. L’album è stato questo per me. È stato come uno specchio su cui trascrivere i miei pensieri. Oltre le scritte e il vetro scheggiato però, mentre ci guardavo dentro, c’era anche il mio riflesso e non posso nascondere che a volte quell’immagine di me mi è parsa molto più forte di quello che credevo. Questo è il mio lieto fine.
Da Capo vede la collaborazione di Dutch Nazari. Ci dici una cosa che ti piace e una che non ti piace dell’attuale scena hip hop italiana?
Mi piace quella scena dell’hip hop che si è avvicinata all’indie per fondersi nell’itpop in quanto noto un significante miglioramento delle parti strumentali che vengono utilizzate nei pezzi. Il soul, il funky e la black music in gran parte dei casi sono passate di moda, non sentiamo più i sample di James Brown fortunatamente. Ora noto più libertà, più ricerca e più interesse verso il lato elettronico della musica ma non so quanto durerà prima che anche questo genere si chiuda in se stesso. Non mi piace, invece, quella scena hip hop che ha virato verso la trap. Non mi piacciono gran parte degli atteggiamenti e degli insegnamenti che si prendono carico di divulgare gli esponenti trap.
Alla chitarra acustica e a linee vocali molto melodiche si legano parti elettroniche sempre usate con grande parsimonia. Quali sono i tuoi punti di riferimento di area electro internazionale?
Le strumentali ovviamente sono merito di Alberto (Alberto Brutti, ndr) che ha seguito la scrittura dell’album con me. Ci siamo ascoltati molta musica elettronica, per due anni siamo andati insieme al Club to Club. Ci siamo divorati gli album di Bonobo, Shlohmo, SOHN, Jamie xx, Shigeto, Lapalux, Nosaj Thing, Nicholas Jaar e Chet Faker. Il DJ set di Arca è stato qualcosa di assurdo e il progetto elettronico di Thom Yorke è molto emozionante per me. Non mi ispiro a nessuno ma li trovo tutti profondamente importanti per la mia crescita come ascoltatrice. Ho imparato ad ascoltare attentamente le tracce grazie a loro.
E Björk ha avuto qualche influenza sulla formazione del tuo gusto?
Il primo album che ho sentito di Björk è stato Homogenic. Avevo 15 anni. Ero sconvolta dall’avanguardia dei suoi video. Mi ricordo che ero estremamente attratta da Pluto. Lei era così confusionaria ma allo stesso tempo trovavo un suo caratteristico ordine. Le linee melodiche facevano cose strane e le trovavo uniche al mondo. Probabilmente mi è sempre rimasta dentro la potenza di Björk ma in modo del tutto inconsapevole perché poi negli anni l’ho persa un po’ di vista. L’ultimo album prodotto da Arca non mi è dispiaciuto. Forse un po’ troppo “fiabesco” per i miei gusti attuali ma l’utilizzo dei fiati è di bell’impatto. È un disco che mi capita di ascoltare ultimamente.
Trovo che uno degli aspetti più interessanti del tuo stile siano le scansioni ritmiche che seguono le parti vocali: sorprendenti e mai banali. Che tipo di lavoro fai sulla metrica dei tuoi brani?
Di base ascolto la strumentale qualche centinaio di volte minimo, poi inizio a fare dei vocalizzi random. Li registro tutti e riascolto il risultato un altro centinaio di volte. Dai vocalizzi inizio poi a buttare giù dei testi sul momento. Il processo di scrittura e di ideazione delle linee in verità è semplicissimo. Perdo solo molto tempo ad ascoltare le tracce e poi alla fine di tutto cerco un modo per dare al testo e alle linee vocali lo stesso peso e valore simbolico. Non voglio che uno sia più importante dell’altro, in questo modo testi e linee si amalgamano e viene fuori un qualcosa di compatto.
Sei l’unica voce femminile della Macro Beats e un’artista piuttosto diversa dalla media del panorama indie pop italiano. Vantaggio o svantaggio?
Questo solo il tempo ce lo saprà dire. La mia amica Giorgia dei Giorgieness qualche giorno fa mi ha fatto i complimenti per l’album, in particolar modo per la coerenza ricordandomi che è una qualità che paga nel tempo e non nell’immediato. Ma va benissimo così. L’importante non è essere uguale o diversa dal resto del panorama, la cosa davvero significativa per me è fare quello che mi piace, esserne soddisfatta in modo da poter portare sul palco qualcosa di credibile per me. Scimmiottare generi che non mi piacciono non avrebbe senso e non avrei mai il coraggio di metterci la faccia. Se sono diversa è perché sono realmente fatta così!