“La Mia Bici Acustica”: Max Casacci racconta i segreti della musica rumoristica
Non tutti sanno che il chitarrista dei Subsonica ha spesso esplorato le possibilità espressive della musica creata a partire da suoni e rumori. Come nel caso del suo ultimo progetto, realizzato in collaborazione con il campione di ciclocross Marco Aurelio Fontana
Com’è noto, oltre all’attività con i suoi Subsonica e gli altri progetti che lo vedono coinvolto artisticamente (come i Deproducers), Max Casacci è anche poliedrico produttore e tecnico del suono. La sua curiosità a tutto tondo per le possibilità espressive della musica registrata – stando ora al di là, ora al di qua del mixer – l’ha anche portato spesso ad avventurarsi in un terreno già battuto da illustri antecedenti ma molto poco convenzionale: quello rumoristico. L’ultima manifestazione di ciò è La Mia Bici Acustica, progetto realizzato in collaborazione con il ciclocrossista Marco Aurelio Fontana in cui Casacci ha trasformato in musica i suoni della bicicletta del campione. Ma presto arriveranno anche altri lavori realizzati a partire dai rumori, specie quelli naturali. Abbiamo indagato con lui questo filone così affascinante delle sue produzioni.
Prima la roccia con Ta’Cenc, poi l’acqua con Watermemories, ora i suoni di una bicicletta con La Mia Bici Acustica… Non è la prima volta che ti misuri con un approccio di tipo avanguardistico, ma da dove viene questa sensibilità schiettamente rumoristica, quasi alla John Cage, che hai mostrato con questi ultimi lavori?
Le origini risalgono al 2011. Per la Biennale di Venezia mi capitò di misurarmi con la musica attraverso rumori e suoni d’ambiente per una mostra d’arte contemporanea in vetro. Ero presente mentre un curatore la illustrava, parlando con alcuni designer. Così, un po’ imprudentemente, gli chiesi se non avesse pensato alla musica. Quel lavoro, Glasstress, uscì poi anche su CD.
Continuando a fare lavori simili a quello, mi sono avventurato in suoni non tradizionali. Il mio ambiente di riferimento è sempre stato lo scenario urbano – che si trattasse di rumori di lavoro, come una fornace, o dei mezzi di trasporto. Poi per caso sono “inciampato” nei suoni della natura mentre ero in vacanza sull’isola di Gozo, dove ho scoperto queste pietre già usate in antichità per produrre suoni, magicamente intonate fra loro. Creano intervalli armonici, come una sorta di orchestra preistorica. Michelangelo Pistoletto venne a conoscenza di quel lavoro e mi chiese se si potesse fare qualcosa di simile con l’acqua di Biella per un’installazione.
Con La Mia Bici Acustica, la bicicletta è a metà fra i due scenari, quello urbano e quello naturale, perché è un mezzo meccanico che lega l’uomo alla natura. Mi è stato chiesto di sonorizzare una bicicletta perché in precedenza l’avevo fatto con una vettura di Formula 1, la Toro Rosso, trasformandola in una specie di brano trap-futurista.
Ma si tratta di una sorta di “fuga” dalla musica suonata, di bisogno di rientrare in contatto con la concretezza delle cose?
Si tratta di intraprendere vie che in qualche modo ti lasciano un po’ spaesato. Quando ti trovi senza riferimenti, è lì che stai maturando esperienza. Musicalmente, questo tipo di processo creativo ti tiene sempre “un passo indietro”: innanzitutto devi capire cosa stai raccontando. Ma non si tratta tanto di musica concettuale: sono suoni che, una volta catturati, ti spingono da qualche parte, ti suggeriscono concatenazioni.
In quel processo un musicista tira fuori davvero se stesso, perché non cadi neanche nella tentazione di riprodurre – anche inconsapevolmente – qualcosa che hai immagazzinato. È anche un modo per integrare il lavoro del musicista con quello del tecnico del suono, del produttore di suoni, che è una cosa che fa parte della mia anima.
Arriviamo dunque a La Mia Bici Acustica. Come hai realizzato concretamente il brano a livello di produzione? Mi spieghi brevemente il lavoro di campionamento dei suoni che è stato fatto?
La prima cosa sta nell’incontrare e conoscere la persona. A Marco Aurelio piace molto il contatto umano, ed è importante anche per capire in che tipo di mondo ti stai avventurando: ne La Mia Bici Acustica io non stavo raccontando la mia storia. Lo “strumento” era quello, e ho cercato di suonarlo concentrandomi sulle fonti “melodiche”, su tutto ciò che potesse produrre qualche nota.
Portato a casa tutto il bagaglio di suoni, gli ho chiesto che tipo di mood preferisse. Lui mi ha parlato di jazz: è una chiave che io non avrei necessariamente scelto, però ci stava perché non era il brano di un album ma il commento di un video. Come principio, per la ritmica mi baso sulla fisionomia del rock: per esempio vado a cercare il suono della grancassa, che abbiamo ottenuto battendo gli pneumatici per terra. Molto più istintiva è stata invece la ripresa degli elementi meccanici della bicicletta: freni, cambio, valvole, catena… Facendolo da tanti anni, quello dei suoni percussivi è anche l’aspetto più semplice.
La cosa che mi sono un po’ inventato sul momento è stata cercare di produrre una “sezione di fiati” a partire dal suono di una frenata. Ho dato molta importanza alla velocità, perché i tempi erano abbastanza stretti inizialmente. L’idea era di procedere in parallelo: io non avrei avuto le immagini come riferimento. Per cui ho calibrato la velocità del pezzo su un andante, cioè una velocità molto umana. Ho impostato La Mia Bici Acustica come un pezzo latin jazz, fondamentalmente.
Hai una passione per la bicicletta tu stesso?
Assolutamente. Da bambino era un prolungamento del mio organismo, la mia astronave, il mio aereo da combattimento. Sono sempre stato spericolato ma con biciclette molto basiche. All’inizio avevo una Graziella, poi uno zio mi regalò una bici da cross (erano gli anni ’70), poi ebbi diverse biciclette usate. C’era un ciclista che viveva nel portone di fianco. Sulla soglia della pensione mi aveva preso in simpatia: mi customizzava sempre le bici. Una volta con la Graziella ho fatto una cosa assurda: sono andato fino a Superga, dove i ciclisti ci vanno, ma con le bici serie!
Verrà pubblicato un intero album di questo tipo?
Devo ancora capire cosa significa fare un album in questo momento. C’è un po’ di smarrimento all’idea di concepire un insieme di brani in forma di album. Ma sto lavorando su una serie di brani realizzati con i suoni della natura, questo sì.
Per esempio il progetto Ocean Breath, giusto?
Sì, è un brano che presenterò in anteprima il 22 ottobre. È realizzato in collaborazione con la onlus WorldRise, che lavora sulla tutela degli oceani. Durante il lockdown, tutto ciò che era ispirazione legata ai Subsonica o alla mia attività di produttore era completamente bloccato. Erano fermi la città, la pulsazione urbana, le relazioni, le persone.
Invece ho trovato un grandissimo stimolo a lavorare sui suoni che WorldRise mi ha fornito, provenienti da tutti gli oceani del mondo. Ho scoperto cose pazzesche: che i pesci cantano in coro, che i capodogli usano il suono per “accarezzarsi”… Tutto questo mi ha stimolato a creare una sorta di sinfonia degli oceani, che si conclude con un “campanello d’allarme”, cioè la rottura dei ghiacciai.
Dalle pietre di Gozo a Michelangelo Pistoletto che mi chiede di far suonare un fiume fino agli oceani, sono entrato per la prima volta in stretto contatto con la natura (io artisticamente e umanamente ho sempre vissuto in uno scenario urbano, pur supportando le cause ambientali). L’unico modo che ho trovato per entrare in questo intimo contatto è quello che in realtà ho utilizzato per tutte le altre cose che ho fatto, cioè attraverso la musica.