“Stelle forever” di Leo Pari: un antidoto al linguaggio maschilista della trap
Avrebbe dovuto prendere il posto di Tommaso Paradiso nei TheGiornalisti, di sicuro ha un posto di rilievo nell’it-pop. La nostra intervista
Avevamo lasciato Leo Pari un paio di anni fa alle prese con i suoni sintetici e le melodie elettropop di Hotel Califano, a metà fra scommessa e divertissment.
In realtà l’operazione, forse più costruita che ispirata, poteva, sulla carta, fare il botto. A creare l’occasione c’erano il patrocinio, all’epoca ancora in pieno hype, della Foolica, il relativo exploit dell’album precedente Spazio (ricordate Bacia, brucia, ama usa?), la collaborazione con i TheGiornalisti. Tra gli ultimi scampoli di Roma Brucia, l’istituzionalizzazione dell’it pop e il brusco abbassamento dell’anagrafe portato dalla trap, il disco si è nel tempo posizionato come una sorta di spin off minore nella carriera del cantautore romano.
Nel nuovo lavoro, Stelle Forever, Leo abbandona testi calembour giovanilisti e cassa in quattro modaiola e sceglie invece la via del racconto sincero in prima persona, rivolto ad un’interlocutrice femminile.
Non aspettiamoci innovazioni dunque, ma la buona compagnia di un artigiano della musica, al quale si dovrebbe riconoscere esplicitamente il merito precoce di certe intuizioni di cantautorato italiano anni ’10, in tempi ancora non sospetti. Calcutta faceva il folk sghembo di Forse e i TheGiornalisti non avevano ancora trovato le indicazioni per finire velocemente Fuoricampo. Ascoltando il lessico familiare di Stelle Forever si ha lampante una conferma: la strada che da Battisti, passando per Rino Gaetano, Luca Carboni, i Tiromancino e Roma Brucia arriva fino agli ultimi Sanremo it-pop, passa anche per la paziente carriera di Leo Pari.
https://www.youtube.com/watch?v=IpoX3-Phpf8Le stelle che brillano per sempre sono le donne: possiamo definire Stelle Forever un concept album?
Più che altro direi un album dedica, un omaggio. Nasce dalla mia profonda stima per l’universo femminile. Ho voluto indagarne la complessità e, raccontandola agli altri, spiegarla un po’ anche a me stesso. Credo che ci sia ancora bisogno di parlare di donne, soprattutto in un periodo come questo, in cui l’identità femminile non è sempre adeguatamente rispettata.
Il linguaggio delle canzoni è molto delicato: è stata una scelta?
Si. Ho voluto contrappormi al maschilismo che a volte caratterizza linguaggi come rap e trap e che trovo francamente inaccettabile.
C’è molta poesia del quotidiano nel disco. Non temi la banalità?
C’è una differenza tra semplice e semplicistico. Se canto frasi come “a noi ci piace stare bene, ma anche stare male/ l’importante è che ci stiamo insieme”, queste parole potrebbero anche apparire banali, ma in realtà io credo siano soprattutto vere.
Come pensi di organizzare l’attività promozionale, viste le difficoltà del periodo?
Certamente potrebbe apparire il momento più sbagliato per pubblicare un album, ma se tutti temessimo questo, non uscirebbero più dischi. Qualcuno dovrà pure cominciare e io ho deciso di espormi. Vedremo cosa accadrà, ma la mia urgenza sinceramente è più espressiva che promozionale. L’importante è che queste canzoni abbiano visto la luce: non seguono una moda, quindi credo che non invecchieranno.
Come mai un disco così differente dai tuoi ultimi lavori, soprattutto da Hotel Califano?
Mi piace sempre ripartire da zero quando penso ad un nuovo album. Stelle Forever è un mondo che mi appartiene molto di più. Vedo Hotel Califano come un “disco in maschera”, il progetto di un alter ego. In questo nuovo album invece ci sono io.
Per certi versi ci vedo la stessa sincerità di Rèsina.
Esatto! Anche in quel caso cantavo in prima persona di ciò che sentivo, certo con pochi mezzi, ormai sono passati quasi dieci anni, ma con molta onestà. Per fortuna oggi sono una persona diversa da allora, molto più risolta sul piano sentimentale.
Sul piano professionale ti senti altrettanto soddisfatto?
Sono riuscito a realizzare tante cose come autore, produttore, interprete delle mie canzoni e mi auguro di continuare a mantenere aperte tutte queste direzioni, integrandole.
A proposito di strade parallele, gira ancora la voce di te nuovo front man dei TheGiornalisti?
È una voce fondata sul nulla, praticamente autogeneratasi, che continuo a smentire.
Beh, le affinità tra voi ci sono…
Lavorando insieme ci si influenza sempre a vicenda.
A proposito di influenze Milano Addio è un titolo che omaggia Ivan Graziani?
Assolutamente si!
E Piazza Bologna cita Dalla?
Sicuramente anche in questo caso c’è una citazione, anche solo nel titolo, per quanto la Piazza Bologna della canzone sia quella vicina alla Sapienza di Roma, dove si radunano gli universitari.
Accostando i due brani viene fuori una sequenza autobiografica di te ragazzo a Roma e di te maturo a Milano…
Vero! Piazza Bologna è un salto ai tempi da universitario, mentre Milano Addio è fatta praticamente di presente: è l’addio a una persona, non alla città. Milano, per motivi di lavoro, sta diventando una seconda casa, faccio sempre la spola Roma-Milano.
Da romano mi dici una cosa che ti piace dei “milanesi imbruttiti”?
Che a Milano i cocktail sono buoni dappertutto…
E da milanese adottivo cosa ti sembra troppo romano, ma gli vuoi bene lo stesso?
Il mio quartiere, la Garbatella, il più bello del mondo.
Cosa durerà per sempre?
L’amore: in casa durante un giorno di pioggia.
E quando non pioverà più e anche il lockdown sarà finito?
La vita di sempre. Una cenetta fuori, in una piccola enoteca. Nel mio quartiere.
Forever.
Piergiorgio Pardo