Nu Guinea, ovvero: Napoli is the new black
A fine aprile è uscito “Nuova Napoli” dei Nu Guinea, gioiellino di sette tracce impregnate del migliore sound à la Napoli Centrale
I Nu Guinea (Lucio e Massimo) lasciano Napoli quattro anni fa per trasferirsi nella fredda Berlino a cercare una scossa, aria fresca per il loro eccezionale mix di funk, afro e disco. La trovano, ricercandola anche nelle loro stesse radici partenopee. A fine aprile è uscito Nuova Napoli, gioiellino di sette tracce impregnate del migliore sound à la Napoli Centrale. Fresca di stampa invece Napoli Segreta, una compilation di perle rare di autori napoletani in collaborazione con DNApoli e Famiglia Discocristiana.
Qual è il primo ricordo musicale legato alla vostra città?
[Lucio] Quando ero molto piccolo ricordo che mia madre suonava la chitarra e cantava alcuni brani della canzone tradizionale napoletana.
[Massimo] I miei genitori mi facevano vedere delle videocassette di spettacoli teatrali di Eduardo de Filippo, nei quali recitava anche mio zio (e un paio di volte anche mio padre). L’arte e la musica napoletana sono sempre state presenti in famiglia, ma c’è voluto del tempo perché ne capissi il valore.
Parliamo del “Napoli Sound”: come lo descrivereste ad un ascoltatore che si approccia la prima volta all’ascolto?
In realtà è soltanto un hashtag che ci è stato affibbiato da un articolo di Mixmag UK dell’anno scorso per descrivere una nuova scena napoletana che sta nascendo e proliferando, di cui anche noi siamo parte. Il concetto in sé – quello di accorpare una serie di artisti che sposano una filosofia comune – non è sbagliato. Ma usando parole come queste è facile generare confusione: le parole chiave “Napoli” e “Sound” sono troppo generiche per definire una sola realtà musicale. La nostra è una ricerca nella musica del passato nel vasto mondo funk, disco, world, andando a ripescare delle sonorità che si discostano dai classici stereotipi di questi generi. Un’altra cosa che sicuramente ci accomuna è l’uso smodato di sintetizzatori e altri aggeggi elettronici.
Negli ultimi anni c’è una grande retromania verso il sound anni ’80. Possiamo considerare in questa corrente anche la riscoperta degli autori napoletani di quel periodo?
Negli anni abbiamo fatto un excursus musicale che ci ha portato a tornare sempre più indietro nel tempo, fino alle origini della musica da dancefloor. In questo lavoro si può ricostruire l’evoluzione musicale che ci ha portato qui oggi e demistificare un po’ quella fetta di musica da ballo odierna che segue sempre le stesse formule consolidate. Nelle giornate passate a spulciare dischi su dischi fra rigattieri e mercatini delle pulci, ci siamo imbattuti in una serie di artisti napoletani poco conosciuti, che finirono presto nel dimenticatoio. Ci sembrava doveroso condividere alcune di queste gemme “segrete” in una compilation che abbiamo preparato insieme a DNApoli e Famiglia Discocristiana.
State parlando di Napoli Segreta, il 25 giugno in uscita per Early Sound e NG Records. Qual è stato il lavoro dietro a questo disco?
Una compilation non è soltanto selezionare brani. Bisogna contattare gli artisti, prendere le dovute licenze… Ci è voluto più di un anno per portare a termine questo progetto ma è stato davvero stimolante entrare a contatto con tutti questi artisti.
La lingua, il suono, la storia stessa della musica napoletana sono un patrimonio unico: non state soffrendo per il fatto che stia diventando così popolare? Magari si ascolta per moda, non si comprende fino in fondo…
Siamo solo contenti se la musica napoletana e il suo dialetto diventino mainstream. È una lingua bellissima, piena di storia e soprattutto molto musicale. Se la moda può essere per il pubblico un’occasione per entrare a contatto con qualcosa che arricchisce è sempre un bene. Le mode di oggi purtroppo portano tutte verso il fare soldi, avere successo nella vita e dare un’immagine vincente di sé, contribuendo a un progressivo impoverimento culturale.
Napoli stessa, come città, sta vivendo un vero e proprio periodo di riscoperta.
È bello vedere la propria città rifiorire da un punto di vista artistico e culturale. E questo è principalmente merito dei napoletani più che delle istituzioni, anche se De Magistris ha dimostrato una notevole apertura nel concedere spazi pubblici per scopi artistici e culturali. Anche noi nel nostro piccolo, quando siamo all’estero per qualche data, abbiamo avvertito un crescente interesse per Napoli. E ne siamo felicissimi!
La vita di Napoli però è un ricordo lontano, dato che vivete da tempo a Berlino. Perché avete scelto la capitale tedesca come vostra base?
Circa quattro anni fa ci siamo trasferiti qui per un’esigenza di cambiare un po’ aria, sperimentare una realtà differente. Eravamo in un momento difficile della nostra carriera artistica e in quel momento avevamo bisogno di una bella scossa. E trasferirsi ad ottobre inoltrato con due metri di neve non ci ha aiutato di certo. Per non parlare del cibo…
Nuova Napoli è stato lavorato interamente a Berlino. Stare lontani vi ha permesso di guardare al disco in maniera più obiettiva?
Abbiamo concepito il disco a Berlino dopo due anni dal nostro trasferimento. La distanza e la nostalgia di casa sono stati fattori cruciali: senza quelli probabilmente non ci sarebbe stata la stessa carica emotiva che ci ha portato alla realizzazione dell’album. Una volta scritti i brani e realizzate delle bozze siamo tornati a Napoli dove ci siamo avvalsi dell’aiuto di talentuosi amici musicisti napoletani e della splendida voce di Fabiana Martone. Non ti neghiamo che ci sono stati anche momenti in cui pensavamo di abbandonare il progetto perché alcuni brani non riuscivano a trovare una quadra, come Ddoje Facce e Je Vulesse, che hanno vissuto varie metamorfosi.
Presentare un disco in dialetto all’estero: com’è stato accolto? Quali sono stati i commenti i commenti che avete raccolto?
All’estero hanno percepito l’album come un tutt’uno dove le parole diventano parte del ritmo e della melodia. Ne sono state colte ancora di più quelle altre influenze che provengono da altre parti del mondo. Inoltre molti credono che il dialetto napoletano sia turco o una lingua mediorientale!
Cosa vi manca di più della vostra città?
Forse fra tutte le cose ci manca l’interazione quotidiana alla quale eravamo abituati. In un mondo in cui si vive una vita sempre più isolata e legata all’uso del computer la vera socialità bisogna andarsela a cercare. Napoli è una città fatta di tanti piccoli incontri giornalieri, è facile ritrovarsi a fare due chiacchiere con chiunque, dal fruttivendolo sotto casa alla signora affacciata al balcone.