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Alfa: «Altroché follower. Io punto a riempire i miei concerti»

La sua “Cin Cin” con Yanomi è una vera hit. Il primo concerto di Alfa sarà al Fabrique di Milano (già sold out) il 30 gennaio. Poi tour in tutta Italia

Autore Giovanni Ferrari
  • Il24 Gennaio 2020
Alfa: «Altroché follower. Io punto a riempire i miei concerti»

Gabriele di Martino

Ha dalla sua i numeri, che al giorno d’oggi contano molto (troppo?) nel mondo della musica. Ma ha anche una capacità non comune di entrare in grossa empatia con il suo pubblico tramite i social. E pure di raccontare la quotidianità di molti ragazzi, con testi semplici ma reali. Con un’intenzione sincera e contagiosa. Alfa è uno dei nuovi nomi della musica italiana.

Il suo singolo più famoso è Cin Cin (realizzato insieme al suo fidato produttore Yanomi), brano che ha conquistato il doppio disco di platino, con oltre 12 milioni di visualizzazioni per il suo videoclip ufficiale. Gran parte della spinta che ha ricevuto questo pezzo è arrivata da TikTok. Anche se Alfa non l’aveva ancora scaricato sul suo cellulare.

Il primo live ufficiale di Alfa sarà il 30 gennaio in un Fabrique già sold out da tempo. Una bella (e meritata) soddisfazione che anticipa la tournée Benvenuti a Wanderlust che passerà per tutto il nostro Paese (qui le date). Lo abbiamo incontrato.



Partiamo dai tuoi primi passi nel mondo della musica. Come è iniziato tutto?

Io sono del 2000 e vengo da Genova. Ho iniziato con la musica molto presto: le mie prime lezioni di chitarra e pianoforte risalgono a nove anni fa. Mi sono avvicinato al mondo della scrittura grazie al rap, anche perché ho iniziato a fare sei anni fa gare di freestyle in giro per Genova. Da lì ho iniziato a scrivere. Lo facevo per me. Scrivevo poesie, racconti e testi mai messi in musica. Tre anni fa ho deciso di mettermi in gioco e da questo punto di vista il web mi ha aiutato un sacco. Ho caricato un po’ di cose mie molto inconsapevolmente. Era una sorta di diario pubblico. Ho preso la cosa più seriamente un anno e mezzo fa, facendo un percorso di singoli. Uno di questi è esploso più che mai trainando gli altri. Ed eccomi qui.

L’ipotesi talent show non ti è mai venuta in mente?

Io in questo momento non andrei mai a un talent. A una manifestazione come Sanremo sì: lo guardo sin da piccolo, è un’istituzione della musica italiana. Mentre a X Factor o ad Amici non mi ci vedrei: se avessi iniziato con quel tipo di talent e mi avessero detto “Non vali” io avrei smesso. Pensa a tutta la tensione che ti mette un programma TV, tra giudici, luci, ecc. Il web mi ha permesso di fare anche schifo all’inizio. Di crescere senza sentirmi giudicato più di tanto.

E che ruolo ha avuto TikTok in questa tua crescita?

Io ce l’ho da un mesetto. In molte interviste mi chiedono qual è l’algoritmo di TikTok, come ho fatto, ecc. Ma partiamo da una sicurezza: molti miei pezzi – soprattutto Cin Cin – sono cresciuti radicalmente grazie a questa piattaforma e solo dopo hanno avuto una eco maggiore grazie alla TV, a Instagram e ai social in generale. Ma il fenomeno è nato da TikTok. Io non ho mai caricato l’audio originale di Cin Cin su TikTok se non 5 mesi dopo dall’uscita perché da TikTok mi dissero: «Guarda, la tua canzone è la quinta più usata al mondo. Magari metti l’audio originale!».

Ma allora come è stato possibile?

Un ragazzo ha caricato un audio velocizzato della canzone e da lì sono stati fatti milioni di video in Italia e all’estero su quel pezzo di Cin Cin. Ti dico: è un fenomeno quasi inspiegabile. Credo che al momento TikTok sia il sistema più forte per sponsorizzare delle canzoni. È molto giovane, lo stesso team di TikTok secondo me non ha ben capito come muoversi perché ha mille strade davanti. Io mi sono interessato a questa piattaforma solo un mese fa perché comunque vengo involontariamente da quello.

La cosa interessante è che non c’è stato quindi un ragionamento premeditato per spammare i tuoi brani…

Esatto, non c’è nulla di premeditato. Ora è chiaro che TikTok influirà soprattutto nel futuro. Guarda in America quanti indipendenti stanno riuscendo a emergere (penso a Arizona Zervas con Roxenne o a Trevor Daniel con Falling). È un sistema fortissimo. Più della radio, forse.



Ma per tutti coloro che nascono dal web, c’è sempre l’altra faccia della medaglia, ossia il riscontro “reale”. Mi sembra che tu ponga una grande attenzione al mondo intorno al tuo personaggio. Penso alla cura che stai mettendo per il merchandising o al fatto che sceglierai personalmente chi farà gli opening dei tuoi live. È così?

La sfida più grande per uno che viene dall’internet è concretizzare. Concretizzare 50 milioni di streaming non è facile. È per questo che riempire il Fabrique è una delle mie più grandi soddisfazioni. Più di ogni disco d’oro, di platino. Io non punto ad avere mezzo miliardo di follower: io punto a riempire i concerti. In questo periodo i numeri contano più che mai però il cantante così rischia di diventare un influencer, uno che detta moda. E secondo me non è giusto. Anche perché le mode passano mentre la musica deve restare. Ci dovrà pur essere un motivo per cui si fa musica.

A proposito del Fabrique, cosa stai preparando per questa importante data?

Mi sono ispirato a quello che ho visto al concerto di Post Malone a Roma. Mi è piaciuta l’impostazione hip-hop del live. Io faccio un genere completamente diverso ma vengo da lì. Mi sono detto: «È il mio primo live, rimaniamo minimal». Così ci saranno momenti con le basi e strumentali e momenti acustici dove io suonerò la chitarra e il mio produttore Yanomi il pianoforte.

Quindi questo è il tuo primo vero live…

Sì. È la prima volta che la gente paga un biglietto per venire a sentirmi.

Beh, allora sei partito decisamente bene…

Sì, a bomba. Poi facciamo più date, in giro per l’Italia dopo il Fabrique. L’obiettivo è San Siro (ride, ndr) o comunque un tour negli stadi.

Consideri Before Wanderlust (Wanderlust Society/Artist First) una sorta di prequel del tuo album di debutto. Cosa è stato per te pubblicare questo progetto?

Ti mentirei se ti dicessi: «L’ho fatto per i miei fan». L’ho fatto per me. Volevo avere qualcosa di concreto che rappresentasse la mia vita prima del grande salto che farà il disco che uscirà quest’anno. È un guardarsi indietro prima del salto. Ci sono pezzi che ho scritto tre o quattro anni fa.

Hai bisogno di fissare ciò che vivi in certi momenti?

Ho bisogno di certezze. Wanderlust è per me l’ideale, una speranza. È la volontà di evadere dalla realtà. Ma ciò implica la presenza di una casa da cui vuoi andare via. È una base. È crescere. Io parto da questo. Dentro ci sono pezzi che ho scritto quando nemmeno avevo l’idea di farne un album. Sta riscuotendo un grande successo. Mi rendo conto che non è “commerciale”: alla fine ci sono solo due pezzi inediti dentro. Eppure è piaciuta un sacco l’idea e ne sono molto contento.

Nei tuoi brani racconti cose di tutti i giorni, molto spesso per immagini… Pensi che ci sia il rischio di cadere in voli pindarici dimenticando la quotidianità?

Se un artista fa voli pindarici mi dimostra una grandissima cultura ma non la rende al servizio di tutti. Per me la musica è vox populi. È ciò che magari cambia la giornata a una persona. È il mezzo di comunicazione più forte inventato dall’uomo. E quindi per me parlare di cose semplici (magari facendolo con un altro punto di vista) è la chiave di quello che è il mio percorso. Io non voglio sfoggiare la cultura. La gente si deve immedesimare. E poi la mia stessa vita è fatta di cose semplici. Io di giorno non faccio filosofia, io vivo la vita. Faccio esperienze di vita.

Hai seguito la polemica su Junior Cally a Sanremo? Hai un’opinione a riguardo? È giusto censurare un artista per certe parole scritte?

Credo che la verità stia un po’ nel mezzo. Junior Cally non è uno dei miei rapper preferiti ma lo seguo. Ho sentito i pezzi incriminati. La sua non è violenza sulle donne o incitamento all’odio: quella è pura attitudine da rapper. Non è che lo faccia davvero e nemmeno invita i giovani a farlo. Mi rendo però conto che un luogo come quello di Sanremo – che è un’istituzione della musica italiana (la gente paga il canone per guardare il Festival) – possa rimanerne colpito. Ma ci sono miliardi di scandali. La trovo molto futile, come polemica.



Hai detto che scrivi perché ti fa stare bene. Ci sono stati dei pezzi che ti hanno letteralmente salvato?

Sì. E la maggior parte di questi non è uscita. Io ho un rapporto forte col pubblico perché sono molto sincero. Non dico «lo faccio per voi» o «mi sacrifico per voi». Io dico «lo faccio per me». Poi, se mi gira di pubblicarlo, lo faccio. Ma la scrittura di una canzone è per me. È un mio modo per sfogarmi, per raccontare gioie, esperienze di vita. È come parlare con il proprio migliore amico. Per me la musica è innanzitutto terapia. Penso di aver pubblicato il 40% delle canzoni che ho scritto. E quel 60% non è da pubblicare.

Quindi nel nuovo album non ci saranno canzoni di quel 60%…

Ce ne sarà solo una che ho ripescato. Ma per il nuovo disco sto scrivendo tutto da capo: non riprendo vecchie idee. “Before” è “Before”: il nuovo Andrea è diverso. Cambierà molto anche il genere musicale, il modo di suonare, il rapporto con la produzione e con gli arrangiamenti. Sarà qualcosa di più maturo, mi auguro. Però c’è un pezzo che avevo scritto molto tempo fa per una persona che non significa più nulla per me. E proprio per questo ho deciso di inserirlo nel prossimo disco.

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