Briga a Sanremo: «Un po’ come la vita. Con quei trenta secondi in più»
Briga è in gara al Festival di Sanremo con il brano “Un Po’ Come La Vita” insieme a Patty Pravo. Lo abbiamo incontrato a poche ore dalla Finale
Prima del debutto di Sanremo 2019 c’era molta attesa sui brani in gara, sulla resa live delle canzoni e sull’alchimia che si sarebbe potuta creare tra chi condivideva il palco con altri artisti. Fin dal momento dell’annuncio del cast della sessantanovesima edizione del Festival della Canzone italiana, molti si sono interrogati sul feat tra Briga e Patty Pravo, Un Po’ Come la Vita. E si sono chiesti come si sarebbe strutturato questo duetto tra due mondi apparentemente lontani.
In realtà, come hanno avuto modo di dimostrare in queste serate, non esistono mondi lontani se alla base c’è il rispetto e una simile concezione di musica. Intesa come condivisione, arricchimento reciproco e libertà di espressione. Briga e Patty Pravo hanno convinto anche i più critici. La Pravo, con la sua presenza scenica di classe, ci ha riportato indietro di qualche anno. Briga, da parte sua, ha dimostrato di essere un artista a trecentosessanta gradi. In grado di unire differenti impronte musicali, presentandosi come un cantautore dal timbro rassicurante e dalla firma mai scontata.
Ieri, venerdì 8 febbraio, è uscito il suo nuovo progetto Il Rumore dei Sogni (Honiro Label/Sony Music), che contiene ventuno brani di cui tre inediti.
Abbiamo incontrato Briga in hotel, poche ore prima della Finale della kermesse.
Partiamo con un bilancio di questi giorni… Sei felice di come sta andando?
Sono molto felice di come ho vissuto il Festival. Non ho fatto nemmeno una cazzata finora: questo per me è un traguardo importante (ride, ndr). Sono molto felice anche a livello di gestione di tutto quello che c’è intorno al semplice cantare una canzone. Anche la convivenza con i fan e con la stampa: è andata bene.
Quindi non c’è più un rapporto “conflittuale” tra Briga e i giornalisti? Nel passato girava questa voce…
Secondo me questa voce non è vera. Parliamoci chiaro: spesso i giornali non parlano di musica. Tanti giornalisti vogliono sapere della vita privata degli artisti. A me non va di divulgare determinate cose della mia vita privata. Voglio proteggere certe cose. Nel rispetto di quella che è la mia volontà, e dei miei principi etici, io gradirei che anche i giornalisti accettassero quando io non amo parlare di certe cose. Secondo me è una voce di corridoio che gira il fatto che io non abbia un rapporto “idilliaco” con la stampa. Qualche anno fa ho mandato a quel paese alcuni giornalisti, ma forse se lo meritavano… A me piace parlare. Amo confrontarmi con i giornalisti, anche con quelli che mi criticano.
Nella prima serata del Festival tu e Patty Pravo siete stati protagonisti di un piccolo inconveniente, causato dall’assenza del pianista. Cosa hai pensato in quel momento?
Stavo aspettando fiducioso che risolvessero il problema. In un certo senso ho anche goduto perché quei minuti mi sono serviti per sbollire un po’ la tensione. Poi ho pensato: “Siamo al Festival di Sanremo, su Rai1, in diretta, ti pare che ora non riescano a risolvere il problema?”. Subito dopo ho anche pensato: “Però capitano tutte a me!” (ride, ndr).
Ti ha emozionato il duetto con Giovanni Caccamo?
È andato molto bene. Era difficile trovare un’unione così precisa di tre registri vocali così differenti tra loro. Per me è stata un’emozione speciale perché ho avuto il privilegio di esibirmi in quei trenta secondi introduttivi con un prologo scritto da me. Trenta secondi in quattro puntate possono contare molto. La vita è fatta di ultimi metri e di trenta secondi in più. Te li devi sempre prendere.
È uscito il tuo nuovo progetto Il Rumore dei Sogni. Hai detto che è la chiusura di un cerchio e l’avvio di un nuovo inizio. Cosa lasci alle tue spalle pubblicando questo progetto? E cosa invece esplori di nuovo?
Lascio alle spalle il passato. Io pubblico questo disco perché c’è Sanremo che mi aprirà porte nuove. Io posso sembrare presuntuoso e arrogante ma sono molto bilanciato e, soprattutto, sono poco indulgente con me stesso. Secondo me ho fatto un bel Sanremo, contando anche il fatto che mi sono trovato in una delle situazioni più difficili di tutte. Senza dubbio.
Però hai accettato di farla. E direi che è andata molto bene.
Sì, perché sono uno dei pochi che può fare una cosa del genere.
Come è stato il confronto con Patty Pravo?
Lei mi ha voluto bene e io mi sono fatto voler bene. Non mi era mai capitato di arrivare a voler bene così tanto a una persona in pochissimo tempo. La sento vicina, come se fosse una di famiglia.
In occasione dell’uscita del tuo disco precedente mi avevi detto, parlando dell’artwork dell’album, che «una piscina vuota, senza acqua, è inutile. Così come è inutile un corpo senza anima. Oggi si punta tutto sull’estetica e non va bene». Come hai vissuto questa cosa in un contesto così “colorato” come quello di Sanremo?
Esteticamente non ho nulla da invidiare a nessun altro cantante. Certo, con Justin Bieber perderei subito (ride, ndr). Ma ora che è passata questa etichetta di Amici, di “quello che ha fatto il talent”, chi vuole ascoltare la mia musica non lo fa perché mi reputa bello. Ma perché ama ciò che dico e magari ci si rivede. Quindi mi va bene così.
Sei felice di esserti tolto questa etichetta?
Sì: tutto quello che ho fatto l’ho voluto.
Sul palcoscenico si riesce a pensare a qualcosa? Magari alle suggestioni che arrivano dal brano…
All’Ariston non ho pensato a nulla, se non a cantare bene. Però ci sono delle volte che mi capita di pensare ai cazzi miei, mentre canto. In un duetto, poi, devi stare molto attento anche all’altra persona. Ogni tanto, durante i miei concerti, mi capita di pensare al motivo per cui ho scritto quei pezzi.
Come vive un artista l’attesa tra un progetto e l’altro? Di cosa è fatta la vita quotidiana di un cantante che lavora aspettando il momento giusto per tornare?
È la prima volta che io ho due uscite così ravvicinate. Nel nuovo disco ci sono tre inediti. Quando termino la promozione di un disco, è come se non avessi più nulla da dire in quel momento. Se tu ora mi dai una base, io in dieci minuti posso scriverti una canzone. Ma non è il mio modo di approcciarmi alla musica. Io devo vivere delle situazioni. Devo avere il tempo di incazzarmi, di soffrire, di godere, di fare tardi la notte, di prendermi la colpa e di scaricarla. Devo immagazzinare emotività.