Italiana

Cinque album per amare Franco Battiato

Da Clic fino all’Imboscata passando per Come un cammello in una grondaia, abbiamo selezionato 5 dischi di Battiato per riscoprirne l’arte

Autore Tommaso Toma
  • Il18 Maggio 2021
Cinque album per amare Franco Battiato

Franco Battiato, fonte: Instagram

Stamane il nostro storico collaboratore Federico Guglielmi mi ricordava che Franco Battiato, scomparso questa mattina all’età di 76 anni, «si è sempre nutrito nelle sue conversazioni dalla filosofia all’arte, dalla musica stessa alla letteratura, dall’antropologia alle religioni e tutto seguendo una naturalezza spiazzante e offrendo sempre lo spazio per ulteriori spunti». Ecco, anche questi cinque album sono proprio così, ed è il momento di riscoprirli ancora.

Il Battiato più sperimentale: Clic (1974)

Pubblicato in Italia dalla Bla Bla di Pino Massara nel luglio del 1974 dopo Sulle corde di Aries, non entrò mai in classifica. È il suo quarto album, prodotto dallo stesso Massara, con Franco Battiato voce solista, VCS3, mandola, cristalli e metalli, Gianni Mocchetti basso e chitarra. E ancora, Gianfranco D’Adda alle percussioni, Juri Camisasca e Pietro Pizzamiglio agli effetti vocali, quartetto ensemble del conservatorio di milano diretto da Luciano Bianco. Venne registrato al Regson di Milano.


L’album fu pubblicato anche in Inghilterra su Island. Ma tale edizione, identica dal punto di vista grafico, differisce da quella italiana nella scaletta. I cancelli della memoria fu tradotto come Gates of memory, e sulla seconda facciata c’è Revolution in the air (traduzione inglese di Aria di rivoluzione precedentemente uscito sull’album Sulle corde di Aries).

La lezione di John Cage

Lavoro di importanza enorme nella evoluzione del musicista e considerato come uno dei pilastri fondanti della musica di Battiato, sposta i temi mistico temporal-filosofici del precedente album su un binario più scientifico, basato sul rigore e sulla sperimentazione, memore della lezione di John Cage. In Clic la sperimentazione di matrice classico contemporanea inizia a farsi sentire in maniera preponderante. L’attenzione si sposta sui collages sonori di studio, con estratti, citazioni, rielaborazioni e una attenzione a livello di liriche sempre più concentrata sul lavoro di Gurdjieff. Dedicato a Karl Heinz Stockhausen, sarà l’ultimo album in cui, anche se trasfigurata, sopravviverà una certa attitudine vicina al rock.


Dal successivo lavoro, infatti, la ricerca di Battiato diverrà sempre più estrema e celebrale. Fino al 1979, anno che vedrà l’uscita de L’era del cinghiale bianco ed un nuovo cambiamento di rotte radicale. Nel 1974 Battiato affrontò un nuovo tour inglese, questa volta in compagnia di Magma ed Ash Ra Temple. I concerti suscitarono l’attenzione della Island, che pubblicò una versione inglese di Clic, facendo di questo lp la prima opera del ”progressive” italiano a vedere la luce in terra d’ Albione.

Esiste anche una bella ristampa della statunitense Superior Viaduct con copertina cartonata apribile, pressoché identica alla prima molto rara tiratura, e corredata dell’originario introvabile libretto di 8 pagine con foto, note e testi.

Il primo disco pop: L’era del cinghiale bianco (1979)

Arriva il cambiamento, forse inaspettato, ovvero l’apertura verso il pop. Straordinario lavoro che nel 2019 aveva compiuto 40 anni di vita, e per l’occasione è stata anche pubblicata una versione in vinile rimasterizzata con copertina apribile e grafica parzialmente rinnovata. In particolare, è visibile sul fronte il volto dell’artista, assente nell’originaria copertina.

Pubblicato in Italia dalla EMI nel settembre di quell’anno, L’era del cinghiale bianco fu prodotto da Angelo Carrara, registrato con Giusto Pio, Roberto Colombo, Antonio Ballista, Alberto Radius, Julius Farmer, Tullio De Piscopo, Danilo Lorenzini, Michele Fedrigotti.


Questo è davvero un album straordinario. Le sue alchimie sonore a base di misticismo, con quelle influenze che giungono indifferentemente da Oriente ed Occidente, i suoi testi colti e autoironici in un caleidoscopio originalissimo e geniale, sono stati modello per le generazioni future dei cantanti italiani. Il merito del disco è peraltro quello di scardinare quel bipolarismo tipico della musica Italiana anni ’70: cantautoriale-melodica.

Il miracolo popolare: La voce del padrone (1981)

Per molti musicisti c’è un pre e un post La voce del padrone, perché apre davvero la mente di molti verso lidi nuovi del pop. Si può osare anche perché questo album venderà ben un milione di copie, e fu il primo disco italiano a raggiungere questo obbiettivo. Sono già state scritte pagine infinite su questo album perfetto, che filtra tutto quello che stava accedendo intorno musicalmente. L’uso massiccio dei synth, una linearità e asciuttezza sonora molto anglosassone e inedita per lui. Ironizza su questo suo geniale processo di sintesi, inventandosi anche delle liriche fulminanti ed entrate nel lessico generale. Come, ad esempio, Non sopporto i cori russi la musica finto-rock la new wave italiana il free jazz punk inglese/ neanche la nera africana. Oppure: A Beethoven e Sinatra preferisco l’insalata/ A Vivaldi l’uva passa che mi dà più calorie).

Ricordiamo però alcuni dei protagonisti in studio: Giusto Pio agli arrangiamenti assieme allo stesso Franco Battiato, l’Art Direction a cura di Francesco Messina, al basso Paolo Donnarummai. Alla batteria Alfredo Golino, alle chitarre Alberto Radius, alle tastiere Phil Destrie e infine i cori dei Madrigalisti Di Milano.

In concomitanza del 76esimo compleanno di Battiato, questo marzo sono state pubblicate una serie di chicche. Nell’ordine: un remix dell’album in versione deluxe vinile colorato più CD, a tiratura limitata di 1981copie. Il vinile colorato del remix (tiratura limitata di 500 copie). La ristampa della versione originale rimasterizzata a partire dai nastri originali (tiratura limitata di 500 copie). Una ristampa del 45 giri estratto dall’album, con Bandiera bianca e Summer On a Solitary Beach (tiratura limitata di 300 copie). Il tutto con grafiche rinnovate a cura di Francesco Messina e foto inedite dalle sessioni originarie fornite da Roberto Masotti.


Il capolavoro sospeso tra Oriente e Occidente: Come un cammelo in una grondaia (1991)

Pubblicato in Italia nel settembre del 1991 (all’epoca dalla EMI) dopo Giubbe rosse, questo è il suo diciannovesimo album. Registrato da Benedict Tobias Fenner agli Abbey Road Studios di Londra, prodotto da Enrico Maghenzani, fu registrato con la Astarete Orchestra of London diretta da Giusto Pio e Antonio Ballista. Figurano Gavyn Wright al violino, Roger Chase alla viola, Anthony Pleeth al violoncello. E ancora, Antonio Ballista al pianoforte e Filippo Destrieri alle tastiere e computer, il Coro dell’Ambrosian Singers of London diretto da John McCarthy.

Contiene otto brani magnifici, intensi. Nella prima facciata ci sono quattro composizioni di Battiato: Povera patria, Le sacre sinfonie del tempo, Come un cammello in una grondaia, L’ombra della luce. Nella seconda troviamo quattro rielaborazioni di celeberrimi lieder di Richard Wagner (Shmerzen), Johann Paul Aegidius Martin (Plaisir d’amour), Johannes Brahms (Gestillte Sensucht), Ludwig Van Beethoven (Oh sweet were the hours).

Un album potentissimo. Uno dei vertici creativi assoluti della musica italiana ed il simbolo stesso della piena maturità artistica di Franco Battiato, che a 18 anni da Sulle corde di aries, riesce nell’impresa di rinnovare un’altra volta dalle radici la moderna musica della Penisola.

L’amicizia creativa con Mario Sgalambro: L’imboscata (1996)

Bellissimo l’artwork curato da Flora, che gioca su un bellissimo dipinto di Antoine-Jean Gros dove viene rappresentato Napoleone Bonaparte. L’album, registrato a Parigi e mixato a Capri, vede come protagonisti Battiato alle musiche e Mario Sgalambro ai testi (eccetto Di passaggio e La cura che sono co-scritti con Franco). Spiccano anche le collaborazioni con Giovanni Lindo Ferretti, Antonella Ruggero e la presenza di David Rhodes, che vanta al suo attivo collaborazioni con artisti del calibro di Peter Gabriel. L’affiatamento con il filosofo Sgalambro è ai suoi massimi livelli. Si respira musicalmente anche quell’aurea rock che pervadeva la scena italiana in quel periodo storico.


L’album parte altissimo con alcuni passi in greco di Eraclito. Ma nel disco si canta anche in tedesco, e addirittura in portoghese. L’imboscata contiene una delle più perfette canzoni d’amore della musica popolare italiana: La cura. Ed è il caso di salutare il Maestro con un magnifico passaggio lirico da questa composizione:

Supererò le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare […]Perché sei un essere speciale, ed io avrò cura di te.

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