Cristina Donà: «Pretendiamo un mucchio di comodità senza preoccuparci del prezzo da pagare»
La cantautrice esce oggi con il nuovo album di inediti, deSidera: dieci brani che ne confermano l’approccio non convenzionale ai canoni della canzone d’autore
A trent’anni dal suo esordio in pubblico, Cristina Donà torna venerdì 3 dicembre con un album nuovo, deSidera: nono in una serie avviata nel febbraio 1997 da Tregua, disco di debutto grazie al quale si aggiudicò la Targa Tenco riservata alle opere prime. Si tratta di una decina di brani racchiusa in poco più di tre quarti d’ora che ne conferma l’approccio non convenzionale ai canoni della canzone d’autore: un lavoro materializzatosi al termine di una proficua campagna di crowdfunding. È lei stessa a raccontarci movente e senso dell’opera nell’intervista che leggerete integralmente sul numero di dicembre-gennaio di Billboard Italia.
L’album precedente, Così Vicini, è datato 2014: come mai ci sono voluti sette anni prima di dargli un successore?
Avevo la sensazione di dover cercare più a lungo gli argomenti dei quali parlare come artista: un percorso compiuto anche attraverso altre esperienze professionali, dal disco con Ginevra Di Marco ai vari spettacoli a soggetto, tipo Italia Numbers con Isabella Ragonese o Amore che vieni amore che vai, sulle donne nel repertorio di De André. Non avendo poi contratti da rispettare, non c’era alcuna fretta.
Le canzoni sono nate da piccoli nuclei fatti di parole, il distillato del materiale accumulato nel frattempo, intorno ai quali il mio produttore Saverio Lanza ha cercato di creare una dimensione sonora, senza porsi il problema di dove stessimo andando. L’unica indicazione che gli avevo dato riguardava il desiderio di mescolare la mia voce all’elettronica: la scelta è caduta su sonorità grezze ed elementari, da cui la definizione “elettronica preistorica” che ci piace usare per descriverle.
Il centro di gravità del disco sembra sia la questione ambientale. Un verso del brano iniziale, Distratti, dice: “Altro che aperitivo, ci siamo bevuti il pianeta!”. È così?
A essere sincera, me ne sono accorta a posteriori: non avevo un tema conduttore da sviluppare, ma mi è venuto spontaneo indagare sulle nostre responsabilità rispetto a come va il mondo negli ultimi anni. Abbiamo vissuto in modo frenetico, pretendendo un mucchio di comodità, senza preoccuparci del costo che tutto questo comporta: un impulso che ho sintetizzato nella parola “desiderio”.
A Desiderio corrisponde un’altra canzone intitolata Colpa: sono i poli del pendolo etico fra cui oscilla l’esistenza?
In quel caso lo spunto è un’osservazione banale della quotidianità. Se qualcosa non va, a chiunque viene facile attribuirne la colpa a qualcun altro, il classico capro espiatorio. È una scorciatoia che non richiede sforzo, una semplificazione che può diventare pericolosa: l’apparente funzionalità di una dittatura rispetto alla complessità della democrazia, ad esempio. E comunque sì, desiderio e colpa viaggiano insieme: mi viene da dire che in definitiva questo è un disco sulle nostre fragilità.
Accanto agli umani, nell’album agiscono gli alberi e la natura: l’ispirazione dipende dal luogo in cui vivi?
Trasferirmi qui è stata una fortuna e ringrazio Davide, il mio compagno, che da tempo si occupa di geopoetica, per avermi sensibilizzata sull’argomento. Poi – come molti – sono stata suggestionata dai libri di Stefano Mancuso. Cosicché gli alberi e la natura tornano spesso nelle mie canzoni, persino meno del solito in questo disco. Le piante sono elementi di grande forza evocatrice nel modo in cui dialogano silenziosamente con gli esseri umani. L’idea che tutto sia connesso non è una vecchia solfa da New Age o un’invenzione da figli dei fiori: esistono ormai prove scientifiche a riguardo.
A dispetto del titolo, Come Quando gli Alberi Si Parlano racconta però una tragedia umana…
È una storia realmente accaduta: due innamorati che decidono di togliersi la vita anziché separarsi, per rendere eterno il loro amore. Lei era studentessa al quarto anno dell’Accademia di Brera, che io avevo appena cominciato a frequentare. Perciò fui molto colpita dall’accaduto. Così, nella mia ricerca di personaggi e vicende che potessero rappresentare la fragilità, quel ricordo è riaffiorato in maniera prepotente. A farmi tornare la voglia di visitare la parte ombrosa di me stessa è stato un libriccino di racconti di Simona Vinci, In tutti i sensi come l’amore, da cui in particolare ha preso spunto Conto alla Rovescia.