Il nuovo Enrico Nigiotti tra Pasolini e Pirandello
“Nigio” è il titolo del progetto di Enrico Nigiotti (in gara a Sanremo 2020 con “Baciami Adesso”) in uscita il giorno di San Valentino. La nostra intervista
Lo scorso anno ha partecipato al Festival di Sanremo con Nonno Hollywood, un brano riflessivo ed emozionante dedicato a suo nonno. Ora Enrico Nigiotti torna sul palco dell’Ariston con Baciami Adesso. Il tutto dopo un anno di teatri e date estive piene di gente. Piene della sua gente.
Sì, perché Enrico Nigiotti ha ormai conquistato un posto tutto suo nel panorama musicale italiano. Grazie alla sua firma piena di sogno e di immagini quotidiane. E grazie al suo timbro, così profondo e pure rassicurante. Il 14 febbraio tutti gli innamorati (ma pure coloro che sono orgogliosamente single, dai) potranno festeggiare con Nigio, il nuovo disco del cantautore livornese. Il progetto (in uscita per Sony Music Italy) comprende il brano di Sanremo, ma pure altri 6 inediti, tra i quali una bella collaborazione con Giorgio Panariello. Il disco – prodotto e arrangiato da Paolo e Celso Valli – anticipa una nuova tournée teatrale di Nigiotti, che prenderà il via il 2 maggio da Bologna. Qui tutte le informazioni sull’acquisto dei biglietti.
Come è nata l’idea di tornare al Festival?
Per me è un palco importante che porta a una grande promozione. Mi piacerebbe confermare quello che ho vissuto lo scorso anno. Penso di avere la canzone giusta per farlo. Quello che vedo io è il mio pubblico. Il mio obiettivo principale è quello di confermare il mio pubblico; io so da chi è composto. Sono quelli che per tutto quest’anno hanno pagato un biglietto per venirmi a vedere dal vivo…
Come definiresti Baciami Adesso?
È l’unica canzone d’amore del disco: volevo portare un altro aspetto di me rispetto a quello più nostalgico e riflessivo dell’anno scorso. Ma non è solo una canzone d’amore. È molto introversa: è un dialogo con me stesso. Quest’anno, poi, ci saranno elementi nuovi: mi esibirò con la chitarra, farò un assolo. Sono stra felice. Quando canto Baciami Adesso sto bene.
Nella serata dedicata alle cover invece canterai Ti Regalerò Una Rosa con Simone Cristicchi. Perché?
Volevo portare una canzone che fosse diversa da quella con cui sono in gara. È la canzone che paradossalmente si avvicinava di più a quella che ho portato l’anno scorso. La vedo molto simile a Nonno Hollywood, soprattutto per l’emozione che riesce a dare. Mi piace l’idea di poter avere due vestiti differenti ma che comunque facciano sempre parte di me. L’ho pensata così. Non è una tattica, ma una scelta.
Il tuo nuovo album si chiama Nigio. C’è stato un momento preciso in cui hai deciso di chiamarlo così?
No, non c’è stato un momento in cui l’ho scelto. Non ci ho pensato due volte. Ne ero sicuro anche perché è un disco sul quale ho lavorato tanto. Ho lavorato molto sulle parole ma è nato tutto in maniera spontanea (c’è anche la mia presenza come musicista) e quindi mi sono detto “Lo chiamo come vengo chiamato io da sempre”. Sono io a 360 gradi. A Livorno mi chiamano così da quando sono piccino. È il mio vero nome, “Nigio”. A Livorno non esistono “Enri” o “Enrico”. Io sono “Nigio”.
In questo tuo nuovo progetto ci sono tanti riferimenti. Il primo che mi piacerebbe approfondire è quello a Pier Paolo Pasolini, al quale dedichi il titolo di un brano. Come mai?
Guarda, io sono affascinato dagli intellettuali del Novecento. Al di là dei musicisti (vedi cantautori come De André o Tenco), io sono molto appassionato dei poeti, degli attori. Sono in fissa con Alda Merini, Carmelo Bene e Pier Paolo Pasolini. Ma non perché ho letto tutto di suo. Anzi, io essendo molto pigro leggo poco. Però mi piace ascoltare e capire. È per questo che sono malato di interviste su YouTube. Così ho beccato questa intervista di Pasolini, in un programma che non ricordo ma che mostrava una televisione diversa. L’intervistatrice faceva domande di un’intelligenza incredibile. Era un’altra epoca con un’altra idea di TV…
E cosa dell’intervista a Pasolini ti ha colpito?
Quello che diceva lui, come fosse Nostradamus. Parlava di una società che si stava evolvendo in un certo modo. Guardandoci bene è quella di oggi. La mia canzone è una sorta di dedica non tanto a Pasolini come persona, ma a quello che diceva. È il tentativo di accorgersi di alcune cose. Un aprire agli occhi. Così come mi sembra che vivesse ad occhi aperti Pasolini. Io sono una persona che cerca di vivere col sorriso tutto, anche in maniera leggera a volte. Ma c’è una grossa differenza tra vivere leggeri e distratti.
Ossia?
È sottile ma è importante. Si può essere leggeri con intelligenza. Si è leggeri consapevolmente. Quando si è distratti, invece, non si è consapevoli. Si diventa fuori dalla realtà.
Non è la prima volta che leggi autori del passato per cercare di capire il presente. Penso anche al brano che l’anno scorso hai dedicato ad Alda Merini…
Sì, bisogna avere una conoscenza del passato. Sennò saremmo come animali, solo con istinto, credibili come una giraffa laureata in psicologia (ride, ndr). Bisogna nutrirsi di ciò che c’è. Andare a conoscere, dico. Non tanto leggere, anche perché ognuno conosce le cose nel modo che più gli appartiene. C’è chi preferisce leggere e chi preferisce ascoltare o guardare. Qualsiasi persona che ha cambiato qualcosa nel mondo è una persona da conoscere, a cui guardare e da cui imparare. Queste sono persone che mi hanno cambiato anche solo per un momento. È scoprire per scoprirti e capirti. Per avere una posizione. Per non farsi andare bene tutto, come capita spesso oggi. Oggi va tutto di merda per questo motivo…
Un altro riferimento è nel brano Vito, nel quale ti ispiri alla novella di Pirandello Il Treno Ha Fischiato. Perché proprio questa storia?
Questa canzone è basata sulla realtà. Parlo di quelle persone che vedi stese nelle piazze, ferme ai semafori. Penso al classico barbone che incontri, ubriaco. Di fronte a queste persone c’è sempre qualcuno che commenta, o che ha paura, o che prende per il culo. Quelle persone subiscono tutti i giorni dei giudizi. Io ho cercato di ridare la loro dignità. La novella di Pirandello parla di quest’uomo che fa un lavoro di ufficio che lo opprime, è mite mite, subisce di continuo tutto ciò che gli capita e un giorno parte di cervello, si rompe e smatta. Diventa libero. La morale è quella che dico nel ritornello: «Ti capita mai di fare i conti col tuo diavolo?». Cioè: chi è che non ha mai esagerato? Chi è che non si è mai esasperato? La domanda è: è più pazzo lui o siamo meno liberi noi?
E invece come è nata la collaborazione con Giorgio Panariello su L’Ora dei Tramonti?
Nel brano non parlo di amore ma di passioni. Io credo che in amore non si possa essere possessivi; si può esserlo quando si vive una passione. Queste sono due emozioni fortissime ma molto spesso vengono fraintese e soprattutto scambiate. Il brano parla di una forte passione con una donna che se ne va e, quindi, del tentativo dell’uomo di placare il dolore in un bar, con l’alcol. Volevo terminare la canzone – che è un po’ alla francese, alla Brassens, molto cantautorale – con una specie di monologo che ho scritto. Ma volevo farlo recitare a un attore, anche perché io sono un po’ un cane a recitare (ride, ndr). Per non sciupare questa bellissima idea ho scelto Panariello che tutti conoscono come un bravissimo comico ma che è anche un grande attore. Ha recitato in maniera sublime.
Mi sembra che il brano con lui abbia delle immagini forti, quasi cinematografiche…
Sì, assolutamente. Sembra un po’ un racconto di Bukowski. Ho cercato di mettere quell’ambiente lì. Il marciume. È una canzone da due di notte, non da giorno…
Questa cosa torna spesso nelle tue canzoni. C’è spesso ben poco di patinato nelle storie che ami raccontare, no?
Le canzoni sono lo specchio di te stesso. È un mettere a nudo alcune parti tue. Alcune di queste parti possono essere un attimo ferme lì, a riposo. Ma sai cosa? Io non credo nel cambiamento delle persone. Credo che a volte riesci a mettere a dormire alcuni diavoli che hai dentro. Però sono sempre lì, sulla spalla, che ti bussano. A volte si ha la fortuna che non li senti e vai avanti. Altre volte, invece, li senti forti e magari apri anche la porta. E ricapita. Ma ognuno ha i suoi demoni. Il fatto di scriverli nelle canzoni è come essere dallo psichiatra, ti sfoghi apertamente e diventano storie. Quando scrivi una canzone non è più tua, ma di tutti.
Un’ultima curiosità. Tornerai a esibirti in un tour teatrale. Cosa ti aspetti?
Vorrei riconfermare tutto quello che è successo l’anno scorso, con un tour pienissimo, con teatri pieni di gente che cantava tutte le canzoni. Io vorrei questo: la conferma di quello che è successo l’anno scorso. Mi piacerebbe tanto un’annata così. Io penso spesso ai live. Il disco è stato scritto pensando al live. Nigio lo vedo più libero rispetto al precedente album che era forse più pensato in camera. Questo album, invece, è stato pensato già sul palco. Musicalmente è meno intimo: è più forte. Il disco precedente era un ragazzo piccino. Questo va già alle medie.