“Facile”, Boosta in versione strumentale: «Tutti abbiamo una colonna sonora nella vita, curiamola bene»
Noto al pubblico come tastierista dei Subsonica, Boosta è uscito con un nuovo lavoro solista: Facile, album di solo pianoforte
Nonostante gli esempi illustri a livello europeo (Nils Frahm, Ólafur Arnalds) e le pur valevoli produzioni made in Italy, quello del pianoforte contaminato da elementi elettronici è un filone che conta pochissimi adepti nel nostro paese. Eppure esistono già un pubblico e una scena. In ogni caso, è chiaro che non è in base a considerazioni di carattere meramente commerciale che Davide Dileo, meglio noto come Boosta, ha deciso di scrivere e pubblicare il suo nuovo lavoro solista.
Facile è un album di soli brani strumentali di pianoforte che si rifà alla grande tradizione minimalista e rimette al centro il gusto per la pura composizione, l’esecuzione, la cura del suono. È un tipo di ascolto che richiede attenzione e tempo: una dimensione a cui, nell’epoca della musica liquida e pervasiva, ci siamo disabituati, ma che gli artisti non dovrebbero perdere di vista perché, secondo Boosta, nella musica «si può fare tutto».
Un tema centrale delle cose che hai detto in conferenza stampa è quello dell’idea di musica come condivisione e incontro con gli altri. In che modo possiamo trovare questa dimensione in Facile?
La possiamo trovare nell’ottica di rimanere curiosi. In Facile c’è un po’ tutto il mio mondo. È un atto di fede che io faccio agli altri, perché altrimenti terrei la mia musica per me. È un racconto, e quando ti racconti devi avere per forza delle persone predisposte all’ascolto. Io ho sempre molto rispetto per il tempo che le persone dedicano all’ascoltare musica. È un regalo che ci facciamo.
Per te pubblicare un progetto di questo tipo è una questione di coraggio, di esigenza personale o cos’altro?
Credo che ci sia esigenza, naturalezza. È sempre un discorso “fisiologico”: me la sono sentita, avevo davvero voglia di farlo. Forse anche un po’ presuntuosamente… Ma la bellezza di questo disco è che non ha ansia da classifica o da radio: non ho nessun obbligo. Avevo tantissima voglia di suonare, di comporre, di lavorare ai colori dell’appunto scritto. Mi sono veramente perso nel suono e sono soddisfatto perché è molto onesto: questo sono proprio io.
Sei fra i pochi artisti italiani – fra quelli noti al grande pubblico, perlomeno – che pubblicano un album strumentale. Eppure in Italia il talento compositivo non manca. Perché secondo te così pochi artisti fanno progetti del genere, considerando il buon seguito che questo filone ha all’estero?
Mi fa sempre molto sorridere il fatto che produciamo e ascoltiamo tutto, ma poi quando facciamo appello al nostro background vengono fuori grandi musicisti. Tu puoi produrre l’ultimo pezzo dance pop veramente solo con la mano sinistra, però se ti chiedo quali sono le tue ispirazioni parti da lontano: Aphex Twin, Brian Eno… Detto questo, io adoro che la musica abbia una grande libertà. Noi siamo il frutto di tutto. Se io ascolto Last Christmas, ancora adesso mi metto a piangere. Però credo che ci voglia un po’ più di coraggio, non tanto nella scrittura quanto nell’esporsi. Dobbiamo avere il coraggio di pensare che nella musica ci sia veramente spazio per tutto. Non devi pensare: “Se faccio questo non me lo pubblicano, se faccio quest’altro non lo ascoltano… Intanto faccio il resto”. No: si può fare tutto, senza preoccuparsi di che fine farà quello che stai per scrivere.
Trovo Facile un lavoro dalla dimensione molto europea: è in sintonia con lo stile di artisti come Nils Frahm e Ólafur Arnalds. Nella composizione e nella produzione hai avuto qualche riferimento specifico fra questi contemporanei?
No, gioco con l’elettronica da talmente tanti anni… Loro mi piacciono molto, ma se devo pensare a un’ispirazione magari me la prendo più dalla lirica di Chilly Gonzales, dalla sperimentazione sul pianoforte di Hauschka, da quella al sassofono di Colin Stetson, che è un altro personaggio che io amo tantissimo… È più bello “tradurre” un altro suono nella tua “lingua” che non affidarsi a un elaborato copia e incolla di quello che hai sentito. Comunque uno dei concerti più belli che ho visto negli ultimi due anni è stato quello di Nils Frahm al Fabrique di Milano. Meraviglioso.
Hai definito Facile come “un disco per pianoforte ed elettronica”. La parte di elettronica mi sembra sviluppata in maniera molto discreta, non invadente. Con quale attitudine hai approcciato l’intreccio fra quelle due anime?
Rispetto all’elettronica spinta, essendo io passato anche da quella, ne avevo un po’ abbastanza. Più che l’elettronica in sé, l’idea era di trattare con un’attitudine elettronica il suono del pianoforte. Poi l’elettronica può continuare a rimanere analogica, perché tali sono i circuiti del Roland 501, per esempio, il delay anni ’80 che ho usato in Facile e che ne è diventato un piccolo marchio di fabbrica. Quindi l’elettronica è più un vestito, una carezza.
Hai raccontato che compilando la tracklist del disco ti sei accorto che continuavi a togliere i pezzi che erano più chiaramente canzoni, lasciando più spazio al suono. Che rapporto hai avuto con la forma-canzone?
Me ne sono reso conto a posteriori. Peraltro ho dei pezzi a cui tengo tantissimo, delle melodie che trovo molto belle e che ascolto ancora. Ma mentre compilavo il viaggio, mentre facevo il “cartografo” di questo disco, non trovavo un posto per quei pezzi. Penso che questo sia molto bello: il fatto di avere dei pezzi molto belli che però non senti a loro agio nel disco è un segno di grande maturità. Perché non è come scartare i pezzi più deboli e lasciare quelli più forti: è cercare di dare l’identità più precisa possibile al disco.
Hai anche detto una frase molto bella: «Ho immaginato e scritto la colonna sonora del silenzio di chi ascolta questo disco». Perché è importante che ciascuno di noi abbia la sua “colonna sonora”?
Le fotografie stampano un attimo della tua vita, ma è molto più facile ricordare attraverso la musica. La musica è un collante di memoria incredibile. Prima parlavo di Last Christmas perché su quella canzone ho dato il mio primo bacio, e mi ricordo molto meglio la musica che non la ragazza che mi diede il bacio! Tutti abbiamo una colonna sonora nella vita, e allora curiamola bene perché è fondamentale. Per quanto riguarda il silenzio, credo che la musica strumentale abbia il potere di essere partecipativa, a volte più delle canzoni. Perché il “testo” è il tuo: sono i pensieri e le immagini che ti scorrono per la testa mentre la stai ascoltando. Se la musica fa il suo mestiere, sollecita e pilota immagini. È un valore che continuo a trovare bellissimo.