Gio Evan: «“Glenn Miller” è il mio modo per ringraziare questa vita improvvisata»
Per non farsi mancare niente, il poliedrico cantautore è tornato da poco con un nuovo singolo, dedicato al grande jazzista degli anni ’30, e con un libro per bambini
Quella di Gio Evan è una delle figure più poliedriche (nel suo caso questo termine è davvero adeguato) del nuovo cantautorato italiano. Prima artista di strada e viaggiatore, poi prolifico scrittore e cantautore, Giovanni ha conquistato un pubblico trasversale con la sua arte, colta e accessibile a tutti al tempo stesso. Recentemente ha pubblicato un nuovo singolo: Glenn Miller, un elogio dell’idea di improvvisazione tipica del jazz, incarnato qui nella figura del leggendario musicista degli anni ’30. Ma è anche uscito da poco un suo libro per bambini, I ricordi preziosi di Noah Gingols. Ne abbiamo parlato con lui.
Glenn Miller suona come una sorta di celebrazione della leggerezza. Perché avevi bisogno di questa “liberazione”?
Non è una liberazione, è una gratitudine, è il mio modo di ringraziare questa vita improvvisata.
Al di là della dimensione metaforica, cosa rappresenta per te il Glenn Miller artista?
Sono jazz-dipendente. Glen Miller, come i suoi colleghi, partecipa al mio meraviglioso malanno. Oltre che le opere, di lui amo anche il viso: è vitreo, pallido, a un passo dall’essere nebbia alta. Ho scelto lui come archetipo anche per questo.
Nel brano si sente cantare un coro di bambini. Puoi dirci di più su questa scelta di produzione?
Penso fosse arrivato il momento dei bambini quest’anno. Lavoro molto con loro, sia in Ecuador che in Italia, ho molte amicizie neonate, sono padre vivace e felice, amo giocare, lavorare con le scuole. Quest’anno volevo renderli concreti, materia, nella mia vita artistica. Volevo che ci fossero anche qui e non solo nella mia vita nascosta.
Non è la prima volta che dedichi il titolo di un brano alla memoria di un grande artista, oltre ai numerosi riferimenti culturali sparsi nei testi delle tue canzoni. L’intento è anche quello di spingere l’ascoltatore a riscoprire i grandi di ieri e di oggi?
Sì, l’intento comunque è anche quello di contribuire a mantenere viva l’immortalità del passato. A me piace omaggiare i miei spiriti guida artistici: lo vedo un po’ come una cartolina di viaggio, come facevamo da giovani nelle nostre vacanze lontane dai nostri amichetti. Una lettera d’amore, un grazie. Glielo devo, ecco.
I ricordi preziosi di Noah Gingols intende rivolgersi sia ai bambini che agli adulti. Raccontaci quali sono i luoghi della propria coscienza che uno scrittore deve esplorare per realizzare un lavoro come questo.
Il libro nasce un po’ da quanto ho detto sopra: immergermi nella vita dei bambini anche artisticamente e non solo umanamente. Volevo scendere nel loro linguaggio, nella loro innocenza. Vivendo molto la gioventù, anche grazie a mio figlio, la scuola, e tutto il movimento che si crea negli ambiti fanciulleschi, sto imparando il sacro da loro. Dopo tre anni di India e tre di Amazzonia, loro in Italia non mi fanno sentire sbagliato.
Cosa ci puoi raccontare sulla tua iniziativa “La Pedalata di Natale”?
Collaboro da anni con un orfanotrofio in Ecuador, si chiama Cristo de la Calle. Avevamo organizzato da due annetti questa pedalata di beneficienza (poi rimandata per motivi a voi noti) per aiutare e sostenere il loro progetto immortale ma fragile, grandioso ma minuscolo. Ora riproviamo a farla. Facciamo da Milano a Brindisi in bici. Faremo una raccolta di beneficienza e cercheremo di essere presenti di fronte a questa vita delicata.
Com’è nata la tua grande passione per la bicicletta? C’è stato un momento, un episodio significativo che ha fatto scattare in te la scintilla?
Ho vissuto otto anni fuori in pieno pellegrinaggio, in massima povertà. La bicicletta è un alleato, un guru, ti salva la vita spesso. Per me è un allungamento perfetto del nostro corpo: è il passo più lungo che non conduce a tragedie. Se fossero più piccole le metterei sul mio tempio.