Shade: «La mia lotta contro i Voldemort della musica»
Shade ci parla degli esordi con Ensi e Fred De Palma e del suo nuovo singolo “Allora Ciao”. Ma anche del brano di Elettra Lamborghini a Sanremo 2020…
Allora Ciao. Come a voler accettare che non tutto va come abbiamo in mente. Con questo suo nuovo singolo appena uscito Shade torna a cantare da solo. Nessun featuring, nessun artista con cui dividere oneri e onori di una potenziale hit radiofonica. Il motivo? «È il brano più personale che abbia mai scritto», ci racconta.
Questa canzone era stata presentata per una ipotetica partecipazione dell’hitmaker alla settantesima edizione di Sanremo, ma non è stato selezionato da Amadeus. Quello che può sembrare un brutto colpo per chi ha come unico interesse l’esposizione, è invece un’opportunità per Shade (o Vito, come preferite chiamarlo). Sì, un’opportunità di essere comunque se stesso. Mettendo da parte le maschere che, volenti o nolenti, indossiamo tutti almeno in un momento della nostra vita.
Allora Ciao parla di una storia d’amore finita. Come mai?
Più che finita è compromessa. “Finita” è sempre una parola grande da dire. Racconta quello che capita quando non c’è più quel sentimento che c’era un tempo (magari non è nemmeno finita ma si crea spesso una sorta di dislivello). L’ho scritta pensando a quanto possa essere brutto essere innamorato di una persona che non c’è più. Non perché sia morta o perché sia sparita, ma perché è uguale solo esteticamente a quella che si conosceva. In realtà le persone cambiano tanto dentro di loro. Quindi, si può finire a innamorarsi di un ricordo.
È qualcosa che hai vissuto? O meglio: riesci a cantare cose che non hai mai provato sulla tua pelle?
Generalmente scrivo e racconto cose che vivo. O che ho vissuto. Il mio non è mai un guardare agli altri e ispirarmi. C’è sempre il mio, dentro le canzoni. A volte non sono cose che vivo sul momento, ma cose che ho vissuto anni prima ma che quella particolare melodia mi ha riportato alla mente.
La cover del singolo contiene una bussola con due mani. Perché?
La presenza della bussola verrà spiegata nel video. Ma ti posso dare questa anticipazione: la bussola non indica il Nord. È una bussola che indica realmente cosa vuoi di più dalla vita. Nel video si vedrà che è un viaggio attraverso momenti e attimi di quella storia. La bussola è il mezzo per riuscire a capire cosa vuoi: spesso e volentieri non è facile capirlo. E quando ce ne rendiamo conto, potrebbe essere troppo tardi.
Qual è la tua bussola ora?
La mia bussola al momento è impazzita. Anzi, gira da una parte all’altra (ride, ndr).
Questo singolo non ha featuring. Come mai questa scelta? E come avviene di solito la scelta di aprire un brano a una collaborazione?
Per certe canzoni del passato, è semplice: certi ritornelli non li avrei retti da solo. Insomma: non li avrei cantati bene. Non li avevo scritti nell’ottica di cantarli io. Questo, invece, è mio. E anche a livello di messaggio, contiene il testo più personale che abbia mai scritto. Ci sarebbe anche stato un feat nel ritornello ma non sarebbe stato coerente con tutto quello che c’è dietro al pezzo.
Il brano è stato anticipato da una clip molto simpatica ispirata a Ritorno al Futuro che mette in contrapposizione lo Shade degli inizi a quello di oggi. E sembra che, ironizzando su questo aspetto, tu voglia definitivamente chiudere il dibattito su questo confronto. È così? Come vivi le critiche di chi ti dice che non sei lo stesso degli inizi?
Il “sei meglio prima” è una cosa che affligge più o meno tutti gli artisti (ride, ndr). Quando ho fatto MTV Spit tutti scrivevano: “Che schifo Spit, rivogliamo il Tecniche Perfette”. A distanza di quasi dieci anni, ora tutti scrivono “Rivogliamo Spit”. Capisci? È il paradosso della dietrologia, come diceva Fabri Fibra.
Perché avviene questa cosa secondo te?
Non saprei. Perché quello che c’era prima sembra sempre più bello. Eravamo più giovani e forse, per questo, sembra tutto più bello. Ma non è tutto così. Io con questo video dico proprio questa cosa. E sai cosa? C’è stata un’ottima risposta. Mi aspettavo che tutti scrivessero: “Vedi? Era meglio quello vecchio”. Invece, tanti hanno appoggiato “lo Shade nuovo”. Anche perché forse ha la consapevolezza e l’attitudine di quello vecchio, ma pure una maturità diversa. Oggettivamente sono migliorato tanto rispetto a qualche anno fa.
È celebre il video che ti vede, ormai qualche anno fa, con Fred De Palma ed Ensi alle Lavanderie Ramone. Quel freestyle continua a macinare visualizzazioni. Dei tre, però, solo Ensi ha proseguito una carriera prettamente incentrata sull’hip hop. Tu ti sei aperto al mondo pop, Fred al reggaeton. Cosa racconta questa cosa? Ci sono regole troppo ferree per restare nel panorama hip hop?
Negli anni sono nati un sacco di sottogeneri. Penso all’indie, alla trap, ecc. Di conseguenza è anche difficile restare fedeli all’hip hop nella sua accezione più pura (non a caso li chiamano i “puristi”, quelli dell’hip hop). Quindi è difficile. Ensi ci è riuscito alla grande secondo me, perché è come se fosse nato per fare questa cosa. Lui ha veramente una capacità di trovare flow incredibili. Fred De Palma ha altre attitudini e nel reggaeton sta da Dio: è stato bravo a crederci quando invece non lo faceva nessuno in Italia. E anche io ho trovato la mia strada. È come se i tre alle Lavanderie Ramone fossero tre bambini. Poi ognuno prende un indirizzo diverso, a scuola. Ma si rimane amici. Noi siamo rimasti molto molto uniti.
Sei uno dei re dell’estate musicale, con tormentoni ascoltatissimi dal grande pubblico. Come vivi questa cosa? Come ci si sente quando le proprie canzoni sono ovunque?
Lo vivo bene. Mi fa tanto piacere. Non sono uno di quelli che – se viene fermato per strada – sbuffa. Anzi. Tante volte sono veramente in un mood negativo in cui non vorrei vedere nessuno, e incontrare persone per strada mi tira su il morale. Quindi, veramente, la vivo bene. Devo dire che per aver fatto tutti i tormentoni che ho fatto, credo che sia arrivata forse prima la mia musica che il mio personaggio.
Cioè?
Vorrei riuscire a impormi un po’ di più, mediaticamente parlando. Anche come personaggio. Pensa a Fedez: anche la nonna che stira sa chi è. Io quello step non l’ho ancora fatto e non so se lo farò. Però è la cosa che penso mi manchi ancora. A livello di canzoni sono stra-contento di come sta andando.
Ti piacerebbe questo rafforzamento dell’immagine del tuo personaggio?
Sarebbe più facile (ride, ndr). Io impazzisco ogni volta che esce una mia canzone perché, per carità, sono seguito sui social ma essere mediaticamente conosciuto ti dà uno step in più perché ti dà radio in più, hai un riconoscimento più grande. Insomma: aiuta. Quando invece esco io con un brano, chiaramente mi devo inventare il freestyle di Ritorno al Futuro, mi devo inventare ogni cosa, per riuscire a creare attenzione sul brano. Poi fortunatamente quasi sempre mi va bene. Però c’è una fatica molto grande dietro. Mi piacerebbe un giorno farne un po’ meno.
Però questo ti rende un po’ più libero…
Ah beh, certo. Eccome.
Penso alla vita privata, alla morbosità mediatica su certi personaggi…
Sì, dai. Più o meno. Se vado al cinema so che dovrò fare foto. Se esco con un amico a fare due passi so che non dobbiamo prendere vie troppo piene di gente sennò non riesco a chiacchierare con lui. Quello un po’ dispiace, ma è l’altra faccia della medaglia. Non si può avere tutto.
Hai momenti particolari in cui scrivi? Sei uno di quelli che appena ha illuminazioni usa i memo vocali del telefono per salvarseli oppure ti chiudi in studio?
Tutte le cose che hai detto. Dipende dal momento. Allora Ciao, ad esempio, è nata in studio: in un’ora ho scritto il testo. È stata scritta di getto. Invece per quanto riguarda le note vocali, le uso più per le melodie che per le rime. Se mi mandano una base che mi piace e non sono in studio, metto la base e registro col telefono. E così mi registro la melodia. Le mie note sono un flusso di coscienza. A volte quando mi trovo a scrivere, vado a riascoltarmele.
Come giudichi la tua partecipazione con Federica Carta a Sanremo 2019? Hai notato un cambiamento del tuo pubblico dopo quell’esperienza?
C’è stato sicuramente un grandissimo allargamento del pubblico. Me ne sono accorto quest’estate quando ho fatto il tour estivo, ma anche agli instore del repack dell’album. C’erano anche persone adulte. Poco fa ero in radio a fare un’intervista e sono arrivati messaggi vocali di tre adulti: “Ciao sono Alfonso, ho 40 anni, sono di Bologna e ascolto Shade”. E io ho pensato “Cavolo! Che storia”. Secondo me tutto questo arriva da Sanremo.
Il tuo pubblico prima era molto giovane…
Esatto. Magari tante persone più adulte – grazie al Festival – non mi ascoltano più col pregiudizio che mi seguano solo i ragazzini. Per quanto riguarda il Festival, mi sento di dirti che noi abbiamo fatto il nostro, abbiamo fatto delle buone performance. Da un punto di vista di classifica dentro Sanremo secondo me potevano darci qualcosina in più visto che eravamo il terzo brano più venduto di quella settimana. Però capisco anche che loro facciano le loro scelte. Noi sapevamo tutto questo. E siamo andati lì per divertirci e per aprirci una vetrina, appunto, per ampliare il nostro pubblico. La nostra personale classifica va bene così.
Allora Ciao era stata presentata per questa edizione di Sanremo?
Sì, in realtà questo brano è stato presentato al Festival. Io non avevo molto interesse a tornare a Sanremo. Soprattutto non avevo così voglia di farmi due anni di fila. Però è un brano effettivamente “molto sanremese” che alla commissione è piaciuto moltissimo. Alla fine hanno fatto altre scelte, ma ti dico la verità: se doveva andare così, è meglio che sia andata così. Io onestamente non avrei pregato per rifare Sanremo per il secondo anno di fila. Va bene così.
Hai già sentito dei pezzi di tuoi colleghi in gara?
No, ma mi è arrivata voce che quello di Elettra è molto bello… [momento di silenzio] Ok, sì. Quello di Elettra l’ho sentito tramite una mia amica. È una hit incredibile. So chi l’ha scritta: è uno che scrive sempre hit.
Stai portando ancora avanti la tua carriera come doppiatore? Cosa ti affascina di quel mondo? Ho letto che hai prestato la tua voce a film, serie TV, cartoni, reality e audio libri. Cosa preferisci tra questi?
Io leggo tanto, ma con tutto il bene del mondo fare un audio libro è molto impegnativo (ride, ndr). Ed è anche stressante perché tante volte magari sbagli una cosa e su 800 pagine di libro devi andare a ripescarla, correggerla e rifarla con la stessa tonalità di come l’avevi fatta al tempo. Un disastro, insomma. Infatti me ne hanno proposto uno di recente e ho detto di no. L’ultimo audio libro che ho registrato è stato Cuore. Un mattone gigante. Da lì mi sono detto “Ok, a meno che non stia morendo di fame, non farò più audiolibri” (ride, ndr). La cosa che preferisco fare sono le serie TV perché è bello vedere un personaggio, la sua evoluzione, vedere come cresce.
Cosa hai fatto recentemente?
L’ultima serie che ho fatto è per Rai 4 e si chiama Halt and Catch Fire: parla della nascita dei computer. Ho doppiato un personaggio che ha avuto una grande evoluzione e mi è piaciuta tanto questa cosa. È questo quello che mi affascina: riuscire a entrare dentro ai personaggi. Passi dall’essere un programmatore di computer a un paperotto, o un assassino. Guarda, tante volte mi commuovo.
Addirittura?
Sì, credo che questo, da un certo punto di vista, sia un fattore di forza. Dall’altra parte, è anche un punto debole perché devo riuscire a recitare alcune scene senza piangere. E a volte è difficile. Specialmente quando – come nel mio caso – già sei sensibile di tuo. Ti faccio un esempio. Di recente ho fatto una serie che si chiama Mary Kills People, va in onda su TIMvision. C’è questa infermiera che pratica l’eutanasia ad alcuni pazienti che vogliono morire. Ovviamente questo è illegale, quindi lo fa di nascosto. Questo ragazzo di vent’anni malato di tumore al cervello è in difficoltà con una ragazza, ma è praticamente al capolinea. Solo che non ha mai fatto sesso e vorrebbe farlo con lei. Poi seguono scene molto drammatiche. È stato struggente. Veramente struggente. Dovevo uscire ogni dieci minuti per asciugarmi le lacrime.
Questo dimostra il possibile utilizzo della voce come strumento. Ed è molto interessante che un cantante porti avanti anche questo percorso… C’è stato qualcosa del doppiaggio che ti ha aiutato nella musica? L’idea di saper entrare in una storia, magari…
Sì, tantissimo. Più che altro la preparazione. Quando ho fatto la scuola di doppiaggio ho fatto tanto teatro. E quello ti fa entrare nell’ottica di prendere un ruolo e farlo tuo. Anche nel video di Ritorno al Futuro il ragazzo che ha interpretato Doc è un doppiatore molto bravo. Anche lui ha fatto un sacco di serie e imita perfettamente Ferruccio Amendola che ha doppiato Doc. Io ho cercato di tenermi alto, un po’ come McFly, e riprendere Sandro Acerbo (che adesso è la voce di Will Smith, Brad Pitt. Insomma… non proprio due attori da nulla). Tutto questo ti aiuta tanto. Pure negli extrabeat, per scandire le parole. Fare dizione ti aiuta in generale nella vita. Nella scuola di doppiaggio con me c’erano anche dei dirigenti, per dire: erano lì per imparare a esporsi bene e parlare in pubblico.
È un bel lavorone…
La dizione è abbastanza facile da imparare (se l’ho imparata io, la può veramente imparare chiunque). Il doppiaggio, invece, è difficilissimo.
Il tuo ultimo disco uscito nel 2018 si chiama Truman. Hai raccontato che hai scelto quel nome perché ti sentivi uno dei pochi “veri” in un mondo pieno di falsità. Ti senti ancora in questa situazione? Hai trovato un modo per vivere serenamente in questo contesto?
Sono sempre un po’ il Truman della situazione. Sono sempre io. Più che i “falsi” io accuso chi è caricatura di se stesso. Magari anche io quando divento Shade è come se mettessi la maschera di The Mask. Quando la indossa Jim Carrey diventa un pazzo, simpaticone, scatenato. Perde la timidezza e diventa estroverso. Se lo mette una persona cattiva (così come succede nel film), diventa ancora più cattiva. E quindi credo che la differenza tra Vito e Shade rimanga sempre lì: nella maschera. Quando sono Vito sono chiaramente un po’ più timidino; quando sono Shade sono una versione un po’ più estroversa di quella di Vito, ma sono sempre io. Quindi… cambiano i film, ma rimane Jim Carrey come riferimento (ride, ndr).
Sei un appassionato del mondo di Harry Potter. Riesci a trovarmi una corrispondenza tra un personaggio dei film e uno dei tuoi colleghi?
Bella domanda. Mi viene in mente Cedric Diggory, il belloccio della scuola, interpretato da Robert Pattinson. Tutte le ragazze vogliono andare al ballo con lui. Il suo corrispettivo nella musica potrebbe essere Fred De Palma. Bellino e fighetto. Poi vabbè, visto che Diggory muore, non auguriamo lo stesso a Fred (ride, ndr). Ma è molto caruccio, ci potrebbe stare.
A questo punto il parallelismo tra te e Harry Potter viene spontaneo…
Sì, dai. Io potrei essere Harry. È un bel complimento. Tra l’altro ricordiamoci che lui muore ma ritorna in vita. O meglio: muore la parte di Voldemort che è dentro di lui.
Ah, a proposito… ci sono dei Voldemort nel mondo della discografia? Chi sono?
Voldemort non è identificabile in una sola persona. Ma all’interno di contesti. Ad esempio il contesto in cui ti viene detto che “questa cosa non è abbastanza”, che “tu non sei abbastanza”, che “questa cosa non va”. Ogni contaminazione negativa sul tuo lavoro e sulla tua musica è un po’ Voldemort per noi. Non dico boicottaggi, ma quando vieni messo da parte perché “non fai questo” o “non fai quello”. Io vedo tutto questo come “colui che non può essere nominato”. Una cosa alla quale io non mi piegherò mai. Io rimango fedele al mio. E poi sai cosa? Alla fine Harry Potter vince. Quindi, meglio così.