Musica

Finalmente un libro dedicato a Yoko Ono che rende giustizia all’artista

Per molti è solo “la moglie di John Lennon”, ma fu molto di più. Nelle librerie è disponibile è volume “Yoko Ono – Brucia questo libro dopo averlo letto”

Autore Tommaso Toma
  • Il22 Marzo 2025
Finalmente un libro dedicato a Yoko Ono che rende giustizia all’artista

Yoko Ono (fonte: ufficio stampa)

Yoko Ono non è mai stata tanto attenzionata dagli appassionati di musica – nonostante sia stata anche una prolifica autrice. Ma ora esce per Shake Edizioni Yoko Ono – Brucia questo libro dopo averlo letto, scritto a quattro mani da Francesca Alfano Miglietti (FAM) e Daniele Miglietti. Il volume aiuterà i più curiosi a entrare meglio nel meraviglioso mondo artistico della performer giapponese.

Per tanti appassionati di musica Yoko Ono è stata semplicemente la moglie di John Lennon e la presunta causa della fine dei Beatles. Ma è molto di più, ovviamente. Così l’autrice e critica d’arte Francesca Alfano Miglietti ci ricorda nell’introduzione di questo prezioso libro di ricerca su Yoko Ono, scritto a quattro mani con il figlio Daniele: “Ha realizzato numerosi lavori che hanno lasciato un segno indelebile nella storia dell’arte, riaffermando anche l’importanza dell’arte come veicolo di cambiamento sociale, continuando a ispirare artisti e attivisti a livello globale”.

Yoko Ono – Brucia questo libro dopo averlo letto è un ottimo nuovo lavoro sull’artista, diviso in due grandi aree artistiche. Una è squisitamente legata all’arte performativa e l’altra è legata alla musica e ovviamente al rapporto con John Lennon. Speriamo che questo lavoro contribuisca soprattutto a far cambiare opinione su un’artista che è sempre riuscita a ritagliarsi il suo posto nel mondo, conservando la propria identità e autonomia.

In esclusiva vi presentiamo un estratto del libro su Yoko Ono.

copertina Yoko Ono
La copertina di Yoko Ono – Brucia questo libro dopo averlo letto

L’estratto da Yoko Ono – Brucia questo libro dopo averlo letto

Il 1966 fu un anno di svolta nella vita di Yoko Ono. Dopo essersi distinta nei circoli avant-garde di metropoli quali Tokyo e New York la trentatreenne artista giapponese divenne ben presto una figura centrale – e spesso fraintesa – di una terza capitale globale della cultura. Dai primissimi anni Sessanta, Londra si impose come epicentro di una nuova cultura giovanile volta alla ribellione, all’impudenza e all’edonismo.

Barry Miles, scrittore e agitatore culturale, figura centrale dell’underground britannico e testimone per eccellenza della controcultura britannica, descrisse così il preludio degli sconvolgimenti socio-culturali che avrebbero di lì a poco attraversato l’Inghilterra: “Adesso avevamo le caffetterie che servivano caffè espresso, le piante d’appartamento, lo skiffle, i jeans, la piena occupazione, i jukebox, le interminabili pubblicità di detersivi su un nuovo canale televisivo commerciale, i giochi a premi in televisione, i Goon Show, i cinema con lo schermo panoramico, i fumetti dell’orrore, il rock’n’roll, i satelliti artificiali che facevano bip in cielo. Il cambiamento era nell’aria ed era tempo di muoversi e costruire una nuova società. […] Il decennio successivo sarebbe diventato famoso come il decennio dell’amore”.

Durante gli irripetibili anni Sessanta la gioventù britannica sfidò l’austera e noiosa moda britannica accogliendo con fragore la scandalosa minigonna proposta dalla stilista Mary Quant. Orde di giovani in acido divennero habitué delle full immersion sensoriali proposte in locali underground come il leggendario Ufo Club. Si lasciavano sedurre dalle suite lisergiche di band come i Pink Floyd di Syd Barrett o i Soft Machine (che presero nome dall’omonimo libro di William Burroughs). Spesso in accoppiamento agli psichedelici light show dell’artista scozzese Marc Boyle, vero e proprio alchimista di luci, solito posizionare su un proiettore sostanze liquide – tra le quali anche secrezioni umane come urina, sperma, muco, eccetera – le quali, riscaldandosi al contatto della lampada, iniziavano a espandersi e muoversi, dando vita a ipnotiche proiezioni in policromia.

Furono i tempi in cui i giovani iniziarono ad appuntare sui propri sgargianti vestiti la spilletta della Campaign for Nuclear Disarmament. Il logo divenne ben presto il simbolo internazionale della pace, creato dalla matita del designer londinese Gerald Holtom utilizzando le lettere N e D (Nuclear Disarmament) del sistema di segnalazione a mano con bandierine usato dalla Marina britannica.

Questa generazione ebbe la fortuna di entrare presto in contatto con il linguaggio sovversivo di poeti e performer quali, tra i tanti, Allen Ginsberg, Lawrence Ferlinghetti, Alexander Trocchi, Michael Horowitz, John Esam, Adrian Mitchell, Gregory Corso e Dan Richter (che avrebbe vissuto e lavorato con Lennon e Ono dal 1969 al 1973 e, per amor d’aneddotica, va ricordato anche per la sua interpretazione di una delle scimmie in 2001: Odissea nello spazio). Erano tutti riuniti in un reading poetico senza precedenti tenutosi l’11 giugno 1965 alla Royal Albert Hall e dal titolo International Poetry Incarnation.

Londra era il centro del mondo, qui tutto era possibile. In una sua canzone Donovan avvertì che dalle parti di Cromwell Road potevi facilmente imbatterti in Jean-Paul Belmondo e Mary Quant a dir poco strafatti o in un Allen Ginsberg rimasto a secco (se di quattrini, droghe o partner sessuali è lasciato alla libera interpretazione dell’ascoltatore). Nella Swinging London animata da un tale febbrile senso di libertà, sesso e glamour – peraltro egregiamente rappresentata nel film cult Blow Up del regista Michelangelo Antonioni – fece il suo ingresso quasi per caso anche Yoko Ono. Era invitata a partecipare al Destruction in Art Symposium organizzato dall’artista Gustav Metzger.

Gustav Metzger, fu il fondatore del Movimento dell’arte autodistruttiva del quale tra il 1959 e il 1964 pubblicò cinque manifesti. In questi scritti dichiarò anche: “L’uomo di Regent Street è autodistruttivo. I razzi e le armi nucleari sono autodistruttivi. Arte autodistruttiva. Il lancio delle bombe H. Disinteressata alle rovine (il suggestivo), l’Arte autodistruttiva rievoca l’ossessione per la distruzione, il martellare incessante a cui sono soggetti gli individui e le masse”.

Metzger decise di organizzare a Londra un festival dell’arte autodistruttiva e ideò così il Destruction in Art Symposium (DIAS). Era un evento internazionale sul tema della distruzione nell’arte che si tenne a Londra nel settembre 1966. Fu il suo amico Mario Amaya a consigliargli che nel Symposium avrebbe dovuto assolutamente coinvolgere anche un’artista giapponese di stanza negli USA dal nome Yoko Ono.

“Nell’estate del 1966 Mario Amaya visitò New York e incontrò Yoko Ono nel suo famoso loft rimanendone a bocca aperta”, ricordò Metzger. “Al suo ritorno ci disse: dovete portarla al DIAS. Ono, Anthony Cox (suo marito e collaboratore), e la loro figlioletta arrivarono il terzo giorno del Symposium”. Mario Amaya fu senza dubbio lungimirante nel consigliare a Metzger il coinvolgimento di Yoko Ono. Il suo bizzarro linguaggio poetico era ben pertinente con lo spirito del DIAS. Tuttavia, è certo che il critico statunitense fosse ignaro che il suo consiglio avrebbe influenzato le sorti della cultura pop della seconda metà del Novecento.

Fu infatti grazie all’arrivo di Yoko Ono a Londra che Lennon poté conoscere la sua futura partner. Il primo settembre del 1966, Yoko Ono salpò da New York alla volta di Southampton dove avrebbe preso un treno in direzione di Londra per unirsi – unica donna insieme alla ballerina Barbara Gladstone – al DIAS.

I contributi di Ono per il Symposium si tennero il 28 e il 29 di settembre presso l’Africa Center. La videro proporre azioni quali Bag Piece e Cut Piece. In quest’ultima la performer invitava il pubblico a tagliare i suoi vestiti con una forbice. Ogni sforbiciata veniva inoltre amplificata per mezzo di microfoni. Metzger, preoccupato che il pubblico del Cut Piece potesse approfittare del potere conferitogli dalla performer e che quindi la situazione potesse degenerare, predispose una presenza protettiva di cinque o sei uomini pronti a intervenire nel caso in cui Yoko Ono subisse aggressioni.

Tuttavia, come riferì egli stesso, non vi fu alcun incidente. “Si percepiva che il pubblico era a supporto di quella figura solitaria che stava affrontando… la morte. Nel modo più estremo. Stava affrontando un certo rischio”.

La stampa elogiò a tal punto il debutto di Yoko Ono in Gran Bretagna che la performance del giorno successivo registrò il tutto esaurito. Yoko Ono e Anthony Cox avevano in mente di far ritorno a New York non appena il Symposium fosse giunto al termine. Ma la loro permanenza a Londra continuò per via di un invito dell’Indica Gallery che offrì a Ono l’opportunità di una mostra personale. Quella di Ono sarebbe stata una delle prime esposizioni d’arte concettuale a tenersi in una galleria del Regno Unito, cosa che al tempo avevano già iniziato a fare galleristi italiani e tedeschi.

La Indica Gallery di Londra – il cui nome era stato scelto come tributo a una varietà di marijuana – nacque nel novembre 1965 e divenne sin da subito uno dei poli centrali della cultura underground britannica essendo al contempo negozio di libri, dotato di un prezioso catalogo di pubblicazioni controculturali, e galleria d’arte d’avanguardia.

Barry Miles, che aveva da poco abbandonato la libreria in cui lavorava, era intenzionato ad aprire un proprio negozio. Quando il poeta americano Paolo Lionni, amico di Gregory Corso, gli presentò John Dunbar, che aveva invece in mente di aprire una galleria d’arte, i due unirono le forze. Nel progetto dell’Indica venne sin da subito coinvolto anche Peter Asher, un musicista amico di Dunbar.

Barry Miles: “L’Indica aveva stretti legami con il rock’n’roll. Oltre al ruolo di Peter [Asher] nel duo Peter and Gordon, John [Dunbar] all’epoca era sposato con Marianne Faithfull [cantante protagonista della c.d. British Invasion e che alcuni anni dopo sarebbe convolata a nozze con Mick Jagger, ndr]. Ma il legame di maggiore interesse per la stampa era il coinvolgimento di Paul McCartney”.

La sorella di Peter Asher, Jane, all’epoca era infatti la compagna del celeberrimo bassista dei Beatles. Paul McCartney prese veramente a cuore il progetto della galleria. Una volta che Miles e compagni firmarono il contratto di locazione, si rimboccò le maniche aiutandoli persino nella tinteggiatura delle pareti.

C’è da dire che, apparentemente, Yoko Ono presentava più punti in comune con Paul McCartney che con Lennon. Era infatti McCartney il Beatles ad avere una profonda passione per l’arte contemporanea e per la musica sperimentale. Il suo attivo coinvolgimento al progetto dell’Indica Gallery è solo uno dei tanti esempi che si potrebbero fare. Barry Miles: “Prestavo a Paul altre riviste e libri. In quel periodo Paul era quello legato all’avanguardia. Mentre John Lennon se ne stava a casa nei sobborghi di Londra, Paul e Jane andavano alle anteprime e alle serate di inaugurazione. Nel mio appartamento, Paul ascoltava dischi della Blue Beat e Indeterminacy di John Cage – una serie di testi letti ad alta voce da Cage in due minuti”.

Del trait d’union tra Yoko Ono e Paul McCartney ne scrisse anche David Brackett: “Paul McCartney era il Beatles con cui, sulla carta, [Yoko Ono] aveva più cose in comune. […] Ci sono stati a lungo dibattiti tra gli appassionati dei Beatles su quale dei famosi partner di songwriting, Lennon e McCartney, fosse il compositore all’avanguardia e colui che si assumeva rischi culturali. In verità, non vi è alcuna competizione. Entrambi avevano il loro genio, ma solo uno era veramente a suo agio nell’essere un genio, e quello era Paul. Nel corso degli anni è stato ingiustamente etichettato come un ‘sellout’ commerciale grazie alla scintillante perfezione delle sue canzoni pop. Questa reputazione ha oscurato il suo lato sperimentale, sempre più forte e sicuro di quello di Lennon.

E ancora: “Entrambi i musicisti erano noti per i loro esperimenti con i loop di nastro e con la musique concrete. Ma le innovazioni di maggior successo, tra cui l’impetuosa inversione del nastro su Rain, le chitarre traballanti su Taxman, i loop su Tomorrow Never Knows e, naturalmente, le escursioni di Sgt. Pepper, per citarne solo alcune, sono state tutte generate dall’aperta fiducia di McCartney, non dalle famigerate insicurezze del suo brillante ma torturato partner. Fu anche McCartney a conoscere e ad amare le nuove composizioni musicali di due dei mentori creativi di Ono, John Cage e Karlheinz Stockhausen. Conosceva paesaggi sonori per i quali nessun altro Beatles nutriva il più blando interesse”.

Abituati al faccino pulito di McCartney, autore di spensierate canzoni come Ob-La-Di, Ob-La-Da, i più farebbero fatica a immaginare che a metà degli anni Sessanta Andy Warhol improvvisò una proiezione di Chelsea Girl con due proiettori fuori sincrono proprio a casa di Paul. Ancor più creerebbe stupore scoprire che durante la composizione di uno dei capolavori di McCartney, Eleonor Rigby, presente in studio con lui vi era un affascinato William Burroughs.

Il cantore tossicomane della beat generation e McCartney avevano infatti uno stretto legame ed erano soliti intraprendere lunghe discussioni sulla tecnica del cut-up. Fu McCartney a scegliere di far comparire l’autore del Pasto Nudo sulla storica copertina di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band. A McCartney va anche riconosciuto il pregio di aver contribuito alla sperimentale sezione ritmica di Vegetables, brano dei Beach Boys contenuto in Smiley Smile. Da quest’album, secondo Enrico Monacelli, ebbe origine l’estetica musicale del lo-fi. In questo brano, McCartney accompagna ritmicamente la melodia… masticando dei gambi di sedano.

L’inaugurazione della prima personale londinese di Yoko Ono venne stabilita per l’8 novembre 1966 con il titolo Unfinished Paintings and Objects. Andrew Wilson scrisse: “Tutti i suoi lavori [di Ono, ndr] erano esposti come incompiuti, per essere completati dagli spettatori/partecipanti. Anche se questo processo poteva cessare, non si poteva arrestare in maniera definitiva. In sostanza, l’intenzione di Ono era di costringere l’immaginazione dello spettatore a relazionarsi con questi oggetti, dipinti e idee al fine di riequilibrarsi e completare il proprio senso di sé e di presenza nel mondo. Tali lavori creano un dialogo tra azione, responsabilità e fiducia. Dimostravano al pubblico che può fare qualcosa – per quanto il gesto possa risultare banale – e che questo qualcosa può avere un effetto”.

Tra le altre, all’Indica fu esposta l’iconica scultura Apple, ovvero una semplice mela posizionata su una lunga colonna di plexiglass. Ono spiegò: “C’è l’eccitazione per la mela che si decompone, e poi la decisione se sostituirla o semplicemente pensare alla bellezza della mela dopo che non c’è più”.

Opera altrettanto iconica fu l’antimilitarista White Chess Set, una scacchiera in cui sia le caselle che i pezzi di entrambi gli schieramenti sono interamente bianchi. Il gioco arrivava sempre a un punto nel quale era impossibile distinguere i propri pezzi da quelli dell’avversario in un memorandum pacifista dell’appartenenza al medesimo genere umano tra gli eserciti e le diverse fazioni.

Quest’opera entusiasmò a tal punto il regista Roman Polanski che, dopo aver visitato la mostra, tornò a più riprese insieme alla compagna Sharon Tate per giocare delle partite sulla scacchiera di Ono. C’era anche Yes Painting – noto anche come Ceiling Painting – ovvero un dipinto appeso al soffitto con sopra la parola “yes” vergata in minuscoli caratteri. Per leggerla lo spettatore doveva issarsi su una scala posizionata e fare uso della lente d’ingrandimento che pendeva da una catenella fissata al soffitto.

Un visitatore capitato in galleria il giorno prima dell’inaugurazione ricordò: “Il posto non era veramente aperto. John Dunbar, il proprietario svolazzava in giro come un matto. Allora, guardo questa roba. Ci sono un paio di chiodi su una scatola di plastica. Poi guardo ancora e vedo una mela su un piedistallo: una mela fresca su un supporto con una targhetta che dice “mela”. Ho pensato… dev’essere uno scherzo, piuttosto divertente. Chie-si: ‘Quanto costa la mela? Duecento sterline? Sul serio?’. Allora ho visto questa scala che portava a un dipinto e a una lente d’ingrandimento appesi al soffitto… Salii sulla scala e c’era una piccola scritta. Dovevi davvero stare in piedi sulla cima della scala… guardavi attraverso [la lente d’ingrandimento, Ndr] e leggevi ‘YES’”.

Il medesimo visitatore, che nient’altri era che John Lennon, affermò in un’altra sede: “Mi sono sentito sollevato. È un grande sollievo quando sali sulla scala e guardi attraverso la lente d’ingrandimento e non ti viene detto ‘no’ oppure ‘vaffanculo’. Ti dice ‘sì’”. Il senso di accoglienza provato da Lennon rispecchiava in effetti l’obiettivo di Yoko Ono, la quale affermò: “Ero emarginata nell’avant-garde perché questa cercava di respingere il pubblico. Io invece stavo provando a comunicare care. Cercavo di dire parole come ‘love’, ‘peace’ e ‘yes’”. A detta di Lennon, “fu quella parola, YES, a farmi rimanere”, e stando al giornalista Jonathan Cott “quel sì in cima alla scala fu senza dubbio la più felice visione della sua vita. Quella che gli cambiò l’esistenza”.

Vale qui la pena riportare brevemente ciò che avvenne durante il primo incontro tra John Lennon e Yoko Ono, quantomeno in virtù del fatto che in quegli istanti venne ricalcolato l’intero percorso della pop culture del secolo. Lennon sbagliò giorno e si presentò alla galleria il giorno prima dell’inaugurazione e Dunbar accettò comunque di fargli visitare l’esposizione.

Ono era impegnata negli ultimi preparativi relativi all’allestimento e non riconobbe il Beatles. Lamentandosi con Dunbar perché stava introducendo visitatori prima dell’apertura, questi cercò di persuaderla dicendole che Lennon era un milionario e che c’era speranza che comprasse qualcosa. Alquanto contrariata, la performer si presentò comunque all’abbiente visitatore consegnandogli, a mo’ di biglietto da visita, un cartoncino con su scritto “Breathe” (respira).

Lennon, piuttosto sorpreso, fece un lungo respiro, chiedendo all’artista se intendesse questo. Lei confermò. Il Beatles ricordò: “Ho capito l’umorismo, forse non ne ho colto la profondità ma ne ho tratto una sensazione calda e ho pensato: ‘Cazzo, posso farlo anch’io. Anch’io posso mettere una mela su un supporto, voglio di più”.

Lennon si accostò a Painting to Hammer a Nail, uno degli instruction painting di Ono e che consisteva in una tela bianca sulla quale i visitatori avrebbero potuto piantare un chiodo grazie a un martello posizionato lì di fianco. Chiese se poteva seguire le istruzioni, ma Ono era restia perché voleva che il dipinto rimanesse integro fino all’inaugurazione.

Ancora una volta Dunbar le ricordò il prestigio del visitatore. La performer consentì quindi a Lennon di piantare un chiodo al prezzo di cinque scellini. Lui ribatté che le avrebbe dato cinque scellini immaginari e che avrebbe piantato un chiodo immaginario. Lennon aveva iniziato a comprendere l’estetica tipica dell’atto immaginoso di Ono.

“Fu allora che ci incontrammo davvero. È stato allora che ci siamo guardati negli occhi e lei ha capito e io ho capito e basta”, ricordò. Ma come già accennato, fu solo dopo essersi issato sulla scala dello Yes Painting che Lennon venne violentemente travolto dalla tipica meraviglia (wonderment) prodotta dai lavori di Ono.

Dopo essere stato il primo a firmare il libro dei visitatori, il Beatles lasciò la mostra visibilmente colpito. Alcuni degli studenti presenti in galleria per aiutare Yoko nell’allestimento la informarono che quella persona che se n’era appena andata era John Lennon, uno dei Beatles.

Ono: “Ero una persona dell’underground e un’artista piuttosto snob. Ovviamente avevo sentito parlare dei Beatles, ma non me ne sono mai interessata”. Yoko Ono non associò il nome John Lennon alla band di Liverpool, “infatti l’unico Beatles di cui ricordava il nome era Ringo, perché ringo significa mela in giapponese”. Nonostante non avesse riconosciuto il Beatles, il suo primo incontro con John Lennon fu comunque un vero e proprio “colpo di fulmine”.

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