Tutti i lati della “Mellow Moon” di Alfie Templeman. L’intervista
Ad appena 19 anni il cantautore è già una continua sorpresa. Un estratto dell’intervista sul prossimo numero del magazine in occasione dell’uscita del suo nuovo album
Alfie Templeman è una continua sorpresa. Talentuoso cantautore di appena 19 anni, ha all’attivo due album e un EP, ma anche altri due LP sotto il nome di Ariel Days, dove può “sperimentare di più”.
Alfie è in primis un fan della musica, con influenze e conoscenze tutt’altro che scontate. Basti pensare che parlando del suo nuovo lavoro, Mellow Moon, uscito ieri, di chiara matrice indie, siamo arrivati a discutere di un side project del primo chitarrista dei Genesis. Che poi, devo ammettere, The Geese & The Ghost è davvero una perla e se mai parlerò di nuovo con lui dovrò ringraziarlo.
«Ho prodotto l’album quasi interamente da solo, mi piace lavorare per i fatti miei» racconta Alfie Templeman durante la nostra intervista. «Certo, ci vuole di più, ma ho il controllo totale, non posso essere giudicato e posso fare qualsiasi cosa voglio. Se collaboro con qualcuno, di solito lo faccio arrivare più tardi, quando il lavoro è già impostato».
Ecco un estratto della nostra intervista ad Alfie Templeman che potrete trovare nel prossimo numero di Billboard Italia.
La nostra intervista ad Alfie Templeman
Partiamo dal titolo dell’album, Mellow Moon. Come mai la Luna, che importanza ha per te?
Ho cominciato a lavora all’album mentre ero chiuso in casa (durante il lockdown, ndr.) e già così mi sembra di essere su un altro pianeta. È stato decisamente intenso e la luna era l’unica cosa che mi dava serenità durante la pandemia. Eravamo io e lei, mentre stavo pensando ai testi e cominciando a capire ciò che provavo. E poi lo spazio in generale mi ha sempre intrigato: è così vasto e c’è così tanto che non conosciamo ancora. Proprio come le nostre menti, nelle quali c’è moltissimo di cui non ci rendiamo conto. Ho trovato dei punti di contatto tra lo spazio e la salute mentale.
Infatti questa è la prima volta che ti apri così tanto su certi temi comei tuoi problemi di depressione e ansia.
L’ansia ha influenzato in diversi modi la mia musica. Ero abituato ad usarla come via fuga, scrivevo canzoni in modo da ignorare le mie problematiche che rendevano la vita di tutti i giorni difficile. Cercavo di allontanare tutto il resto, concentrandomi sulla musica, che è quello che amo fare. Questa volta sono stato un po’ più onesto, mi sono nascosto meno di quanto non facessi prima. In generale, questo disco è molto personale.
Per affrontare queste problematiche, ad un certo punto hai assunto degli anti-depressivi.
Sì, per circa un anno, ho smesso recentemente. Ero in tour e sapevo che ci sarebbero state serate in cui avrei bevuto più del dovuto, quindi non potevo continuare, ma sto giusto pensando di tornare a prenderli. È una cosa che va a momenti. Ho molti amici che passano dallo stare bene a tornare a prendere antidepressivi nel giro di giorni. Ma conoscere persone nella mia situazione aiuta, perché ne possiamo parlare insieme.
Ti hanno causato problemi, per esempio con il processo creativo?
Beh, all’inizio fanno peggio che meglio. Ho pensato “è proprio quello che mi serviva” (ride, ndr.). E la depressione fa sì che tu non riesca a scrivere comunque. Ma dopo un po’ è stato meglio, mi hanno aiutato a bilanciare gli stati d’animo. Quindi sono stati d’aiuto, sul lungo periodo.
So che tu suoni qualcosa come dieci strumenti
Si, ma solo due bene (mi interrompe lui ridendo, ndr.).
Beh, so che ora ti stai dedicando al flauto. Conoscendo le tue influenze, mi sono chiesto se non stessi pensando a qualcosa alla Jethro Tull.
Beh, nel mio progetto parallelo Ariel Days (di recente è uscito Ariel Days 2, ndr.), c’è un po’ di flauto. Ma non è come il flauto di Lizzo, è più come i primi Genesis. Selling England By The Pound, The Lamb Lies Down On Broadway, Nursery Cryme… Adoro quegli album, quindi ho cercato di ricreare quell’atmosfera. Il problema è che soffro d’asma, quindi non è venuto proprio quello che volevo.
Parlando delle tue influenze, voglio saperne di più su Todd Rundgren. È sicuramente un grande artista, ma decisamente non fra i più conosciuti. Come sei arrivato alla sua musica, e come mai è una così grande influenza per te?
Ho scoperto Todd Rundgren quando avevo 13 anni, con l’album The Ballad Of Todd Rundgren: Runt… Poi ho ascoltato Something/Anything e ho pensato “ wow, questo è davvero intelligente”. Primo perché ogni canzone suona così bene, ma anche perché ogni brano è diverso dall’altro. Quindi ho deciso di provare la stessa cosa, cercare di fare tutto diverso.
Ho esplorato la musica pop, ma so già che nel prossimo lavoro farò qualcosa di totalmente diverso. E questo perché Todd mi ha fatto vedere che è una cosa che puoi fare, e che non importa. Se vai a vedere i suoi album più recenti come A Wizard a True Star o cose come Healing, è tutto così assurdo, e suona tutto benissimo, i suoi synth sono spettacolari. Mi ha spinto a comprare un Moog, cavolo (esclama, inquadrando un Grandmother circondato da mille cavi, ndr.). Penso che sia una leggenda.
Tu hai cominciato a fare musica molto presto. È una cosa che ti dà sicurezza, per esempio di avere tutto il tempo di esplorare i vari stili che ti interessano? Oppure aggiunge stress l’idea di riuscire a mantenere una certa costanza, pensare alla carriera?
La parte dell’essere costanti è forse la più difficile, ma seguo sempre quello Todd. Fai quello che vuoi, e il resto non conta. Cerco di pensare troppo alla carriera, perché mi sembra che finisca per frenarmi dal fare ciò che voglio, essendo così indeciso su dove voglio portare la mia musica. Se invece semplicemente mi sveglio e dico “voglio creare una canzone”, funziona, non importa che genere è. Un giorno faccio un pezzo rock, il giorno dopo uno pop. Non mi metto paletti per ora.