Alvaro Soler: «Sicuro delle mie insicurezze»
Nella cover story del nostro numero di luglio/agosto Alvaro Soler si racconta a trecentosessanta gradi. Ecco cosa ci ha svelato
Ha un background musicale e geografico di ampio respiro. Alvaro Soler è nato a Barcellona da padre tedesco e madre per metà spagnola e per metà belga. Ha vissuto a Tokyo per sette anni e, dopo essersi laureato in Design Industriale a Barcellona, si è trasferito a Berlino.
In tutto questo andirivieni, Soler ha approfondito sempre di più la sua passione per la musica. E con il brano El Mismo Sol è di fatto diventato uno degli artisti internazionali più amati nel nostro Paese.
Con questa canzone e con i suoi successi Sofia, Libre e Yo Contigo, Tú Conmigo è arrivato a guadagnarsi in Italia sedici dischi di platino. Il suo nuovo singolo La Cintura è uno dei brani più trasmessi dalle radio italiane.
Facciamo un viaggio nel tempo e torniamo all’inizio di tutto. Da dove è nata la tua voglia di scrivere, cantare e suonare?
Ho iniziato a fare musica per me stesso, così come capita con gli hobby che nascono un po’ per caso. È sempre stata una cosa che mi rendeva felice. A casa di mia nonna c’era un pianoforte, ho imparato molto velocemente a suonare: mi piaceva molto. Poi mi sono trasferito insieme alla mia famiglia a Tokyo. Lì mi hanno regalato un pianoforte elettrico che tenevo nella mia camera. Non avevo studiato e ogni tanto mi divertivo a suonarlo. Lo facevo quando avevo voglia di farlo. Per me questa cosa è molto importante: non ho mai avuto la sensazione di dover fare la musica per obbligo.
E poi? Cosa è successo?
A un certo punto nella scuola tedesca in cui studiavo, a Tokyo, uno dei nostri professori ci ha proposto di scrivere una canzone tutti insieme, in classe. Io mi sono subito caricato. Il professore aveva questo programma (che io ancora non conoscevo) che permetteva di lavorare sulle canzoni. Mi sono molto emozionato a vedere nascere quel processo creativo con tutta la mia classe.
Era molto bello farlo insieme. Però non avevamo concluso il brano e io sono andato dal professore a dirgli: «Dobbiamo finirlo! Lo voglio conservare sul mio telefono!». Volevo riascoltarmelo a casa. Così ci siamo ritrovati e abbiamo registrato tutte le voci che mancavano. Quel momento è stato molto importante per me.
Mi sono accorto lì di avere una grande passione per la musica e volevo essere il più creativo possibile. Ho intravisto come farlo e ho capito quali potevano essere gli strumenti con i quali avrei potuto essere chi volevo essere. Poi a scuola ho cantato in un sacco di band e ho scritto tanto. Poi – con i miei primi soldi – mi sono comprato un MacBook e ci ho collegato il piano: con questa cosa mi si è aperta una porta enorme. Il cambio più grande dei miei sedici anni? Meno Playstation e più Logic.
Oggi riesci a mantenere questo atteggiamento nei confronti della tua musica?
Tendenzialmente sì. Ma dipende molto da quanto sei preso da ciò che fai. Soprattutto quando fai canzoni e promo in giro per molti paesi. Io attualmente ho tre cose che vanno insieme: i live, la scrittura e la promozione. Sono tre ambiti diversi del mio lavoro. Se faccio molta promo come in questo momento, poi capita che ho bisogno di staccare e tornare a scrivere. E viceversa. Insomma: ho bisogno di variare per vivere con serenità il mio lavoro. Se fai una cosa equilibrata, riesci a gestirtela bene.
Come funziona il processo di scrittura dei tuoi brani? Hai dei momenti che dedichi esclusivamente a questo oppure capita spontaneamente mentre fai altre cose?
Capita spesso che le canzoni arrivino da situazioni inaspettate. Un giorno sono andato a comprare dell’acqua al supermercato insieme a mio fratello e al mio chitarrista Javi. In quei giorni stavamo scrivendo una canzone.
Io ho preso la cassa d’acqua e, mentre stavamo camminando verso lo studio, mi sono accorto che le bottiglie facevano un suono molto figo, molto “reggaetonero”. Così abbiamo deciso di registrarlo ed è stato il primo step di una nuova canzone (che sarà contenuta nel mio nuovo disco).
A volte capitano cose strane come questa. Altre volte, invece, mi metto lì con la chitarra e scrivo un paio di melodie. Io lavoro insieme a due ragazzi tedeschi e scrivo con loro: ci confrontiamo molto. Abbiamo un Dropbox dove infiliamo tutto il materiale che ci viene in mente e poi selezioniamo insieme su cosa lavorare e cosa, invece, lasciar perdere.
Come è arrivata La Cintura? Ci racconti qualcosa di questa tua nuova hit?
Innanzitutto voglio specificare che la traduzione corretta del titolo è “la vita”: non intendo l’accessorio e nemmeno la cintura della macchina. Mi fa ridere il fatto che tante persone mi scrivono in direct su Instagram dicendomi: «Bravo! Grazie per ricordarci di mettere la cintura alla guida!».
È una cosa molto divertente il fatto che alcuni mi abbiano preso per un testimonial della guida sicura (ride, ndr). In ogni caso questo è un brano molto autobiografico: canto del fatto che non so ballare molto bene. O comunque del fatto che ho una grande insicurezza nel ballare davanti ad altre persone in discoteca, perché penso di non saperlo fare. È una storia che volevo condividere.
Oggi il bullismo è un fenomeno duro e ci sono tante persone che purtroppo si fanno dire tante cose e accettano tutto, severi con se stessi. Nel mio caso, andare a ballare è una cosa molto “happy”, una cosa che mi rende felice. Non è giusto che io ci rinunci solo perché la gente mi dice che non ne sono capace. È per questo che ho voluto fare una canzone che parlasse delle cose che non so fare, piuttosto che fare uno dei soliti elenchi di ciò che so fare alla perfezione. È così noioso dire quanto siamo bravi. Per me è proprio un bel cambio, questo.
Quindi dai molta importanza all’autoironia.
Assolutamente sì. Penso che l’autoironia sia la chiave per la felicità. La persona più autoironica che conosco è Fedez. È incredibile ed è pazzesco vedere una persona così sicura delle sue insicurezze. Questo ti rende molto forte: è una bella strategia. Un processo psicologico molto importante.
È sempre possibile avere un rapporto personale con gli artisti con i quali collabori? È una cosa a cui aspiri?
A volte è difficile. Ad esempio, se sei in promozione e hai solo un giorno per girare un videoclip, non è facile. Prima di collaborare con Jennifer Lopez non ho avuto molto tempo per conoscerla per bene. Ma sai cosa ho notato? In questo mondo si è tutti più aperti come persone. Forse anche perché si ha la consapevolezza che capita poche volte di poter approfondire a fondo la conoscenza dell’altro. E quindi ci si apre più facilmente.
Tutti siamo abbastanza dinamici. Quando capita di incontrare un artista che invece tende a chiudersi in se stesso, allora sì che è difficile. Detto questo, quando devi scrivere una canzone con qualcuno, è di fatto obbligatorio cercare di capirsi con profondità, per quanto mi riguarda.
Ascolta qui Mar de Colores, il nuovo album di Alvaro Soler
Sei stato giudice a X Factor nel nostro Paese e quindi hai vissuto da vicino il panorama musicale italiano. Come lo vedi?
Non penso di essere la persona più giusta per dirti come funziona nel dettaglio in Italia. So che ora in Italia – come nel resto del mondo – sta andando un sacco la trap. Anzi, trap-pop. Tutto questo è molto legato a Spotify e al concetto di playlist. Si sta facendo un cambio importante nella musica che è sempre più evidente. La gente che ascolta la radio non è la stessa che, invece, consuma musica su Spotify. Oggi è importante avere la possibilità di scegliere cosa ascoltare. E questo è molto figo, non solo nella musica ma in tutti gli ambiti tecnologici.
Io sono convinto che sia la combinazione di tanti fattori. Ma anche iTunes è importante in Italia, forse più che in altri paesi. Quello della musica è un mondo dinamico e veloce. La gente consuma musica come se fosse una caramella. Ecco perché J Balvin ha ogni settimana una canzone pronta per te (ride, ndr).
Io in ogni caso sono ancora legato all’idea di album, alla storia che racconti attraverso le canzoni della tracklist. Con le playlist si sta perdendo questo concetto. E mi dispiace.
La video intervista di Billboard Italia ad Alvaro Soler
La musica latina sta funzionando molto in Italia. Come te lo spieghi?
Senza dubbio ora si sta lavorando molto a livello discografico per posizionare per bene chi propone musica di questo tipo. L’Italia, ad esempio, ha bisogno della presenza vicina di un artista. Questa è una cosa importante. La gente si affeziona di più se torni più volte anche fisicamente in un paese. Ogni volta bisogna fare qualcosa di nuovo. Sono contento che stia andando bene.
Forse anche il concetto di tormentone estivo – collegato al mondo latino – è ormai superato. Basta pensare a Despacito di Luis Fonsi che non è rimasto in classifica solo in estate.
Certo. La cosa tipica se fai musica in spagnolo (e se ti proponi in un paese dove non si parla questa lingua) è sempre stata quella di fare una canzone per l’estate. Forse perché è più facile. C’è sempre stato un legame molto forte, anche psicologico, da questo punto di vista.
Molte canzoni latine sono positive e anche per questo si prestano bene per il periodo dell’estate, in cui la gente ha voglia di leggerezza e spensieratezza. Però non dobbiamo essere positivi solo durante l’estate ma anche in tutto l’anno. La musica ritmica che ti fa ballare è positiva a prescindere. Ma dipende dai paesi: in Spagna, ad esempio, El Mismo Sol è arrivata prima in classifica a dicembre.
Hai duettato con Jennifer Lopez. Come riesci a gestire il tuo successo? Non è scontato riuscire a farcela.
Per fortuna io ho iniziato a fare musica molto prima di cantare con Jennifer Lopez. Vengo da una gavetta di dieci anni e so benissimo cosa vuol dire quando vuoi cantare una canzone e nessuno vuole ascoltarla. Ho passato anche momenti meno gratificanti, ecco.
La questione è: sei preparato a fare un salto così grande? Nessuno ti può preparare per cantare con Jennifer Lopez sul palco. Io mi sono detto: «Spero solo di essere un minimo all’altezza di questo palcoscenico e di non fare figuracce!». Ma tutta la fatica che ho fatto prima di questo momento mi sta aiutando a godermi al meglio quello che sta succedendo ora.
Hai vissuto per molto tempo in Giappone. Ti è rimasto qualcosa a livello artistico del tuo impatto con la loro cultura?
È difficile risponderti. Al momento credo di no. O meglio: il Giappone lo porto dentro di me. Quando vivi lì, vedi un sacco di cose belle. Come il taiko, un gruppo di tamburi enormi che fanno un gran casino. L’altro giorno stavo pensando che sarebbe fantastico portare qualcosa di simile nel live. Quindi, vedi, qualcosa è rimasto. Anche se forse a volte non ne sono così cosciente.
Senti il bisogno di raccontarti tramite i tuoi brani?
Sì, canto cose mie e spero sempre che il pubblico possa capire e possa immedesimarsi nelle mie parole. Con La Cintura, ad esempio, volevo lanciare un messaggio: “Non è un problema se non potete fare qualcosa. Se vi va di farlo, andate avanti!”.
È una cosa che ti sei detto anche a te stesso quando hai girato il videoclip del brano?
Certo. Per me è stata una bella sfida. Io volevo fare il video con i ballerini e volevo una coreografia super carina. Ma ancora una volta non pensavo di esserne all’altezza. Volevo un ballo che non fosse né La Macarena né le Las Ketchup: volevo una combinazione di entrambe le cose. Volevo una cosa facile da imparare ma allo stesso tempo divertente.
Il coreografo che mi ha aiutato per il videoclip mi ha detto: «I passi non sono un problema. Dipende tutto dall’attitudine che ci metti mentre lo fai». E ha ragione: ci vuole l’intenzione giusta!
A proposito, il videoclip de La Cintura è stato girato a Cuba. Cosa ti trasmette questo luogo?
Sarò sincero. Abbiamo dovuto girare il video tra febbraio e marzo e non potevamo farlo né in Italia né in Spagna. Sarebbe stato bellissimo, ma c’era bisogno di un sole caldo. Dovevamo andare in America Latina a farlo e abbiamo improvvisato un po’. Abbiamo pensato a Cuba e abbiamo deciso di fare un video differente da quello che avevamo in mente. Sicuramente non sarebbe stato lo stesso senza l’energia della gente che balla nel video. Ora conosciamo bene Cuba.
Nel Making Of si vede che tutti ballano La Cintura: anche i cameraman! È stato un bel momento. Cuba è un posto molto strano. Tante persone che abitano lì, nonostante le condizioni di difficoltà, hanno un sorriso stampato in faccia. Io mi sono detto: “Cavolo, perché noi che apparentemente abbiamo tutto non riusciamo a essere felici come loro che materialmente hanno molto meno di noi?”. È inevitabile chiederselo. Ma questo è un altro tema. L’energia di Cuba mi piace davvero tanto.
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Intervista pubblicata nel numero di Billboard Italia di luglio/agosto