Duran Duran: «”Future Past” è l’album che aspettavamo da anni, tra citazioni 80’s e i “tagli” di Graham Coxon»
La band inglese, da sempre amatissima nel nostro paese, è protagonista del numero di ottobre di Billboard Italia. Il direttore Tommaso Toma li ha incontrati in occasione dell’uscita del nuovo album Future Past: ecco un estratto della cover story
I Duran Duran si aggirano lungo la hall dell’hotel (stupenda villa sulle colline della Valpolicella che si è trasformata anche in un luogo d’arte contemporanea). Nick ha già cambiato due giacche sempre elegantissime in pochi minuti, Simon sfoggia prima un blazer a scacchi leggerissimi, poi arriva in bianco e nero. John è sempre il più rock, Roger rimane il più tranquillo… Li osservo da un angolo, da una seduta di Mendini, un po’ distratto dai colori splatter di un’opera di Damien Hirst. Ecco, il mistero di questi cambi è svelato, una fotografa tedesca li aspetta come noi, per questa intervista. Qui potete leggere un’anticipazione della nostra lunga cover story di ottobre.
Per un attimo ho pensato a quel periodo aureo della band (‘81-‘87) quando il mondo intero s’innamorò dei Duran Duran, per la loro musica e il loro look, un mix estetico che metteva dentro le geometrie degli abiti new wave, le bizzarrie da pirati glamour del movimento new romantic ma soprattutto le intuizioni del grande costumista e designer Anthony Price. E poi John era una pin up e Simon un ragazzone irresistibile.
Nonostante siano passati decenni da quell’arco temporale magico e la giovinezza sia svanita, la band di Birmingham ha continuato a incidere e a risorgere continuamente. Alcuni esempi? Nel 1993 in piena epoca grunge con due singoli favolosi, Ordinary World e Come Undone, nel 1997 tutti ballavano Electric Barbarella. E nel 2015 con l’album Paper Gods hanno venduto tanto e fatto tour sold out. Senza parlare del fatto che i loro album storici vengono di continuo saccheggiati da serie TV e film per teenager… Quindi mai dare per “finiti” i Duran Duran, anzi, con Future Past – il primo album per la BMG, arriva sei anni dopo Paper Gods – per la prima volta ritornano anche in maniera convincente al sound dei loro inizi. Sarà forse perché condizionati dalla recente celebrazione dei quarant’anni dal loro album d’esordio o perché finalmente hanno lavorato al fianco di un loro idolo di gioventù, Giorgio Moroder.
La nostra conversazione comincia con Nick Rhodes che si siede di fronte a me, alle spalle le geometrie pop di un’opera di Peter Halley (la potete vedere nella video-intervista). Parliamo di tutto tranne che di musica: di arte pittorica napoletana del Seicento, delle sedute di Mendini e di come il design italiano degli anni ’80 fosse importante anche per loro. Poco dopo arriva Simon, ed è da qui che inizia la nostra conversazione sul disco.
Permettetemi di partire con un personalissimo aneddoto. Ebbi la fortuna di conoscere Rio appena uscì: era l’estate del 1982 e la passai ascoltandovi ripetutamente su un walkman. Tornato a scuola cercai di condividere la mia passione per Rio ma la reazione dei miei compagni di classe su freddina. Risposero che non c’era niente di meglio dei cantautori italiani… Curioso, no?
Nick Rhodes (Sorride, ndr) Beh, sei stato allora davvero uno dei primi fan italiani. Noi nel 1982 stavamo andando molto bene in UK e poi in Australia e Giappone. Quando uscì Hungry Like a Wolf cominciammo a piacere negli USA. Ma in effetti in Italia non eravamo in classifica o richiesti, se non per qualche intervista sporadica… Ci accorgemmo che stavamo diventando un vero fenomeno a livello popolare nel 1984. Ed è una cosa divertente e strana perché poi davvero l’Italia è diventata uno dei Paesi più importanti come nostra fanbase. Voi scopriste noi Duran e noi ci innamorammo definitivamente di voi.
Io in particolare – che ho una fascinazione totale per l’arte – ricordo ancora l’emozione delle prime scoperte dal vivo delle meraviglie dell’architettura e della pittura italiana. Non saprei da dove partire. Ti direi adesso l’ammirazione che ho per la tradizione pittorica napoletana del XVII secolo, ma ogni volta che vengo qui scopro sempre qualcosa da studiare e ammirare. Per esempio adoro sempre visitare le vostre chiese, visitare la Sicilia…
Simon Le Bon A proposito di successo in Italia, di reazioni freddine e dei “cantautori” (parola che non ho tanto capito, poi mi spieghi cosa significa…), il primo artista pop italiano che mi piacque e mi colpì per il suo appeal più internazionale fu Zucchero. E infatti poi ci accorgemmo che piaceva anche fuori dal vostro Paese.
Avendo una stima enorme per Graham Coxon non posso che essere felice di vederlo presente nel vostro album. Non è solo il chitarrista ma anche compositore: in pratica è il quinto Duran Duran?
SLB Diciamo di sì… e speriamo che venga in tour con noi.
NR A noi tutti piace il suo lavoro da solista e con i Blur. Sai, noi abbiamo lavorato con tanti magnifici chitarristi, come John Frusciante, tanto per ricordare una collaborazione recente, ma non abbiamo seguito quell’iter oramai consueto di spedirci file a vicenda. In questo frangente sono stato io ad avere l’idea di coinvolgere Graham Coxon e alla fine lui è arrivato in studio, lavorando al nostro fianco, e ha portato una certa eccitazione intorno a noi e nella nostra musica. Come hai detto, lui ha scritto con noi anche alcune canzoni, per questo diciamo che è “uno della band”.
SLB Prendi Anniversary (accenna la linea melodica, ndr): ascoltandola, puoi capire come Graham si sia inserito perfettamente nel nostro sound, con un tocco innovativo. Lui è davvero interessante.
NR Graham Coxon ha avuto con noi la stessa attitudine che ha avuto nell’arte un Lucio Fontana – il vostro grande artista – con i suoi famosi tagli sulle tele bianche. Ha saputo rompere alcuni nostri confini che erano immacolati. Ha osato andare oltre, sai, contano non solo la presenza fisica, la bravura tecnica, le intuizioni… ma soprattutto la personalità, e Coxon ne ha da vendere.
Invece è inspiegabile come mai abbiate aspettato così tanto a collaborare con Giorgio Moroder! Lui è stato un esempio per voi all’inizio di carriera e lavorò per singoli indimenticabili negli anni ’80 con il vostro amico Limahl (Never Ending Story) o con un altro eroe dell’era new romantic come Philip Oakey degli Human League (Together in Electric Dreams).
SLB Senza alcun dubbio l’idea di fare qualcosa con Moroder all’epoca ci fu ma semplicemente non è successo.
NR Era nella nostra lista dei desideri sin dal primo giorno come Duran Duran! Lo abbiamo ritenuto sempre un supereroe. Cinque anni fa la mia compagna, tramite conoscenze italiane, è arrivata a contattare Giorgio a Los Angeles. Per farmi una sorpresa per il mio compleanno, mi portò a cena con lui. Ovviamente fu una bellissima occasione e mi ricordo che la prima cosa che ci siamo detti guardandoci negli occhi è stata: “Ma perché non abbiamo mai lavorato assieme? Dovrebbe essere una cosa praticamente inevitabile!”. E davvero quando ci siamo ritrovati a lavorare su Future Past l’impressione nostra è stata: “Wow, è come se conoscessimo Giorgio da sempre!”.
SLB Beautiful Lies è l’esempio perfetto di come dovrebbe essere una collaborazione con noi. Una sinergia perfettamente riuscita.
NR Questa è una delle mie canzoni preferite dell’album e Moroder qui si dimostra “il maestro”, ha il totale controllo e ha capacità di focalizzarsi su ogni piccolo dettaglio in una traccia, dandoci consigli dettagliati, quasi… “chirurgici”.
Secondo Marc Almond l’autentico spirito degli anni ’80 è durato solo cinque anni, l’esuberanza e l’ottimismo sparirono dopo il 1984. Che ne pensate voi, che per tutti gli anni ’80 siete stati delle icone globali?
NR L’inizio degli anni ’80 fu un momento magico per la musica e ciò che circolava attorno ad essa: l’universo fashion, l’editoria stessa, il design, ci fu la nascita dei videoclip… C’era una generazione nuova molto open minded, con l’intenzione di creare qualcosa di unico, con una forte individualità, e questa spinta creava un senso di libertà espressiva pazzesca…
SLB Alla fine degli anni ’70, per un breve periodo storico, noi e tanti altri musicisti eravamo stanchi di guardarci indietro. Volevamo fare qualcosa che non assomigliasse al rock anni ’50, ’60 o ’70… Con gli anni ’80 volevamo entrare in una nuova dimensione.
NR La ricchezza degli anni ’80 non è limitata solo a un breve periodo: pensa a band come The Smiths, The Cure, INXS, New Order, Eurythmics, Prince o Madonna! Ognuno aveva il suo sound per questo parlavo di “individualità”. Comunque non sono d’accordo con opinioni come quella di Almond, non ci sono date precise di scadenza.
Da poco avete celebrato i 40 anni dal vostro album d’esordio, ma permettetemi di pensare invece al vostro “difficult third album”, il bellissimo Seven and the Ragged Tiger. Di solito per le band l’album complicato è il secondo…
NR (Ridono entrambi, ndr) Ma sai, noi siamo stati davvero fortunati all’epoca di Rio: avevamo già pronte le canzoni praticamente subito dopo il nostro primo album. Non avevamo avuto il tempo di stare a pensare “oh, e adesso che facciamo, dopo che abbiamo avuto successo con il nostro primo disco?”. Davvero senza dubbi Seven and the Ragged Tiger è stato un lavoro complesso…
SLB All’epoca delle registrazioni eravamo molto “distratti”, era difficile per noi concentrarci nella realizzazione… Ma nonostante tutto era nostra intenzione andare avanti, eravamo degli stakanovisti nonostante la giovane età. Fu comunque un processo complesso, come i fan sanno anche dal punto di vista logistico… Pensa che quando avevamo deciso nell’ottobre del 1983 di far uscire il primo singolo, The Union of the Snake, non avevamo il B-side! Facemmo tutto in una notte e spedimmo al volo, all’ultimo momento, Secret Oktober.
Adoro quel brano… Avete visto il documentario Under the Volcano, dedicato agli Air Studios di Sir George Martin dove registraste il disco?
NR Non ancora, ma sono curioso, ovvio! E che ricordi mi evoca quel magnifico luogo esotico (Monserrat è un’isola caraibica, ndr), comprese le nottate intere chiusi in studio, per dare vita alle nuove canzoni con Alex Sadkin e Ian Little! (Sadkin, il compianto produttore e il co-producer Little, che aveva prodotto il singoloIs There Something I Should Know?, ndr)
Facciamo un giochino finale. Le vostre canzoni sono finite in un sacco di film e serie TV: c’è un’associazione tra la musica dei Duran Duran e una scena che ritenete pazzesca, la migliore?
SLB Senza alcun dubbio Layer Cake (The Pusher in Italia, del 2004, ndr). Il contrasto tra la scena dove c’è Ordinary World e il modo cruento con cui viene ammazzato in un bar un senzatetto è da non crederci!
L’intervista completa ai Duran Duran è disponibile sul numero di ottobre.