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Irama: «Ci ho messo tanto a scrivere l’album, ma me ne sono fregato dei tempi discografici»

Il cantautore ci racconta cosa c’è dietro a “Antologia della Vita e della Morte”, il suo nuovo disco in uscita oggi (venerdì 17 ottobre)

  • Il17 Ottobre 2025
Irama: «Ci ho messo tanto a scrivere l’album, ma me ne sono fregato dei tempi discografici»

«Mi piace il concetto di dualismo vita e morte che ci accompagna da sempre», puntualizza Irama per sottolineare la dicotomia che è presente (anche) in ognuno di noi. Il suo nuovo album Antologia della Vita e della Morte, in uscita oggi, 17 ottobre, rappresenta tutto questo. Il disco è una raccolta di 14 brani in cui il cantautore ha indagato i vari aspetti della vita umana, irrimediabilmente mortale, e dove ha deciso anche di sperimentare con nuovi approcci e nuovi sound. Filippo Maria Fanti (alias Irama) porta avanti per tutto il corso del suo nuovo progetto il tema del dualismo, delle due facce della medaglia che, come richiama il titolo stesso, sono la vita e la morte, come ci racconta nella nostra intervista.

Non c’è un brano che dà il titolo all’album di Irama proprio perché, come ci racconta lui stesso nel corso dell’intervista, si tratta di una raccolta. All’interno dell’album sono presenti quattro brani che erano già usciti nel corso di questi tre anni di lavoro al progetto. Si tratta infatti di Galassie, Tu no, Lentamente (presentata al festival di Sanremo 2025) e di EX featuring Elodie. Oltre a questo feat, nell’album ci sono anche le collaborazioni con Achille Lauro in Arizona e con Giorgia in Buio.

Irama ci ha portato dentro alla sua “casa”, che sia metaforicamente che fisicamente ha già messo in scena anche al concerto all’Arena di Verona. La prossima “abitazione” sarà quella di San Siro, in programma per l’11 giugno 2026.

L’intervista a Irama

In Antologia della Vita e della Morte non c’è nessuna traccia che dà il titolo all’album.

Antologia perché per me questo disco è un insieme di racconti. Della Vita e della Morte appunto tratta di temi legati a ciò che è luce, a ciò che è buio, ciò che viene inciso un po’ nella vita e nella morte di una persona.

Mi piace il concetto di dualismo vita e morte che ci accompagna da sempre, cioè se pensi lo Yin e lo Yang, la Biga Alata: qualsiasi cosa si ripete all’infinito come un loop e anche in questo disco per me c’era quella visione in tanti pezzi che li accomuna a ciò che era vita e a ciò che era morte.

I brani si possono dividere in Vita e Morte?

Sì, 100%. Ad esempio Senz’anima racconta di vita, ma anche 48 ore. Giulia è una sfumatura della vita. Nei mondi della morte metterei Mi mancherai moltissimo, Circo, Il giorno stesso è come se fosse in bilico tra le due parti, secondo me sta un po’ nel mezzo, quindi è proprio un po’ un trascinarsi.

L’ordine non è trascinato, quindi non è vita e morte, devo dirti la verità. Ci ho pensato se farlo, però poi non l’ho voluto fare perché ho preferito dare un ordine musicale piuttosto che un ordine concettuale al disco. Non volevo dividere vita da una parte e morte dall’altra. È un ordine che è un flusso naturale, però dentro contiene vita e morte.

Quando ha preso forma il tuo progetto?

Tre anni fa il disco ha iniziato a nascere. Dopo che ho scritto Il giorno in cui ho smesso di pensare ho iniziato a lavorare il disco, appunto l’album successivo. Ci ho messo tanto. O meglio, secondo me è poco, però per i tempi discografici di oggi è tanto, perché abbiamo una velocità  diversa e a volte non ti permette, secondo me, di studiare, di ricercare. Me ne sono un po’ fregato, devo dire la verità, ma non fregato per mancare di rispetto alle persone che mi seguono, ma perché avevo bisogno di fare un lavoro per dargli qualcosa a cui tenevo.

Poi non ho nascosto il fatto che avessi insicurezze e avessi paura anche perché la perfezione è utopica, quindi è impossibile raggiungerla, però ho cercato a un certo punto di prendere coscienza e di far sì che questo lavoro di anni arrivasse alle persone così come fosse.

Paura di cosa?

Tutte le volte che parlo di musica non penso al business. È un mio difetto. Ma penso alle persone. Ho paura di deludere le persone che mi seguono.

Arizona ha un suono inaspettato che ondeggia tra il country-pop e il country-rock. È comunque un sound lontano da quella che magari potrebbe essere la tua zona di comfort. Raccontaci meglio.

Beh, la canzone innanzitutto nacque quando ero a Los Angeles, quindi sicuramente c’è dell’ispirazione. E poi è molto sessuale come canzone, molto cruda e con Achille Lauro mi sono divertito. È stata proprio una bella intesa e abbiamo sigillato quasi un patto, no? Una canzone che fosse giusta, che fosse cruda, cioè che arrivasse dritta al punto. È stato bello, è stato facile. Naturale.

Come sound ricorda quasi alla lontana FourFiveSeconds di Rihanna, Kanye West e Paul McCartney, no?

Figo. Il mondo a cui mi sono ispirato di più forse è il mondo di Lenny Kravitz nel riff del ritornello. Lui mi è sempre piaciuto molto a livello estetico e per estetico intendo anche in come suonava alcuni punti. Poi invece il giro è figlio tanto del country, tantissimo. È proprio un genere, come dire un bolero, quindi va diretta con le scale, ci entra direttamente. Poi l’approccio è veramente strano in quel pezzo perché è un raccontato, è un parlato quasi. È un bel quadro secondo me, stiloso. Nel live deve essere fiamme totali.

E un tipo di esperimento che per i sospiri avevi portato nel joint album No stress con Rkomi in Sexy ft. Guè?

È vero, sì. Ha sicuramente delle cose, ero sempre io, è un approccio diverso, ma ha delle cose, sono d’accordo.

In Senz’anima dici “Il dolore è femmina”. Spiegaci meglio.

In quel momento davo un’identità a quel dolore. La canzone inizia con “ti ho guardato farmi pezzi per poi non parlarmi più/masticare i miei difetti per non buttarli giù”. Racconta di questo amore un po’ tossico forse. Una situazione che ti consuma e che in quel momento aveva quel volto, aveva quelle mani, aveva quelle parole.

Il concetto di “il dolore è femmina” mi piaceva perché il dolore  l’ho sempre associato forse  al mondo femminile per più motivi. Uno perché si dice che sono le donne quelle che sopportano meglio il dolore; due perché il dolore è qualcosa che fa parte di noi, è qualcosa di dolce, ma allo stesso tempo terrificante e anche indispensabile. Se gli dovessi dare un volto, mi immaginavo un volto femminile, soprattutto in quella canzone.

La donna dà vita.

Anche il concetto del partorire, del dolore, è un concetto di vita, capito? La donna prova dolore quando dà la vita.

Dall’altra parte in Buio (featuring Giorgia), dite “ho toccato il fondo è così buio”. Ti è mai successo?

Sì, ed è fondamentale. È un po’ come riempire di benzina il serbatoio, secondo me, cioè è una cosa che serve anche se a volte è sbagliata e a volte si ricerca. Quando cresci nel mondo della musica, secondo me, e io un po’ ci sono cresciuto perché ho iniziato che ero veramente piccolo quando sono entrato a far parte realmente del mondo. Cioè, ne faccio parte da sempre però quando ho iniziato veramente avevo 17 anni. Quando cresci in questo mondo tendi a viverlo e a riempirti anche la testa di cose a volte inutili, di farti patinare da tutto quello che hai intorno finchè non ti accorgi che a volte perdi la tua vera essenza e quindi fai di tutto un po’ per ricercarla.

Quindi se da una parte a volte avviene naturalmente, quindi da quello che è il tuo processo di crescita da quando sei bambino, poi arrivi a un certo punto dove sei dentro un mondo un artefatto e la ricerchi. Non voglio dire che è una cosa che le persone debbano fare, però secondo me è un po’ una benzina per chi fa arte per trovare quello che si prova veramente. Ci sono aspetti sia positivi che negativi però come la vita e la morte. Puoi anche rimanerci nel fondo.

In Polvere affronti il tema della solitudine. Tu come la vivi?

Male. Ho un rapporto pessimo con la solitudine perché quando sto da solo mi logoro e divento troppo introspettivo. Quando ero bambino ho sofferto tanto di attacchi di panico e con ciò piano piano ho imparato a conviverci. Sicuramente ho un rapporto migliore  con la solitudine di quando ero un bambino o un ragazzino, però non l’ho mai vissuta bene. Sono ancora in conflitto con la solitudine, sto ancora imparando ad addomesticarla ed è una cosa importante perché a un certo punto il letto ce lo rifaremo completamente da soli, no?

Arriverà un momento della vita che ti potrebbe capitare ed è naturale. Non è facile, è un processo che ci vogliono tanti anni secondo me per metabolizzarlo. Ci sono persone che ci riescono e ci convivono da dio e persone che invece fanno fatica. La vittoria è nel non imparare a distrarti mentre stai da solo perché altrimenti sarebbe un escamotage.

Giulia e Il Giorno sono brani quasi speculari per il fatto che si tratta di due lettere. Può essere una chiave di lettura?

Sì, sicuramente. Il concetto di lettera l’ho esplorato tanto anche nel disco. Ho scritto lettere pure alle persone che mi seguono, ho lasciato lettere all’Arena e mi sono fatto inviare un sacco di lettere. Il concetto della lettera si ripropone tantissimo nell’album. L’album stesso è rappresentato da francobolli e da lettere spedite. Le lettere fanno parte dell’album quindi sì, è una bella visione ed è inerente con quello che è il disco.

Cosa ti piace della lettera?

Il tempo di scriverla. La lettera non è come scrivere un messaggio, no? La lettera hai bisogno di pensarla.  A volte mi rompo le scatole a leggere pure le lettere, non che mi annoio nel leggere quello che mi scrivono, ma nel senso che mi accorgo che sono abituato talmente tanto a vivere in maniera frenetica che mi sembra che ci sto impiegando troppo tempo. In verità è terapeutica, è una cosa importante. Quel tempo lì dovrebbe essere la normalità e non lo è. Ha un peso che non esiste più.

Circo è la favola di una ballerina. Il tamburo tipo marcia nel sound ho trovato desse forza al pezzo. Ci racconti un aneddoto dietro a questo brano?

È una storia che ho inventato ispirato dai miti greci-ellenistici. Mi piace quello che racconta, cioè la storia di questa ballerina che viene cacciata dagli dèi per invidia e poi nonostante lei riesca a innamorarsi nella sua vita mortale gli viene portato via anche quello.

Mi piace il concetto che c’è dietro alla perfezione utopica. Non tanto della gelosia, che è il primo strato, ma del fatto che non esiste una vita perfetta. Anche quando vediamo qualcuno che ai nostri occhi sembra che sia la perfezione e noi cerchiamo di smascherarlo, non so perché abbiamo questa cattiva abitudine, secondo me, un po’ tutte le persone ce l’hanno.

Magari non tutte, magari mi sbaglio. Quando però ti rendi conto che non esiste la perfezione, le crepe esistono in tutti quanti, anche nella cosa più perfetta c’è qualcosa che viene portato via e che viene rovinato. Mi piaceva addentrarmi dentro questa umanità, che ti fa capire che anche nel più bello dei fiori ci sarà per sempre una macchia, un qualcosa che è fuori posto che non è perfetto.

Mi mancherai moltissimo è un brano molto intenso dove ti sei immedesimato in una persona che vuole togliersi la vita. Come è nato?

La canzone ho cercato di trattarla proprio con i guanti perché è un tema troppo delicato e troppo più grande di tutti. È comunque un tema che esiste da sempre e per sempre nell’essere umano e non solo. Ho cercato con tutto il rispetto nel mondo di raccontare questo aspetto della morte. Mi ci sono addentrato tanto.

È la mia canzone preferita, quella a cui tengo di più. È la canzone per me più importante del disco sia musicalmente che per quello che racconta. La parte finale mi emoziona, l’ho fatta con Davide Rossi. È qualcosa che fa click, cioè  ha qualcosa che riconosco come anche in Ovunque sarai, che mi emoziona in particolare.

Alcune tracce del nuovo album le hai portate live all’Arena di Verona. È stato un primo assaggio, ma la risposta è stata buona. Che messaggio vuoi portare con questo album?

Sì, sì, erano gasati. Volevo far entrare le persone un po’ nella mia casa e cercare, non soltanto a livello musicale, di farle entrare nella mia intimità. Anche a livello visivo e non solo metaforico. Volevo che le persone entrassero nella mia casa anche a livello personale.

Il tema della casa e della stanza è tanto presente nell’album.

Totalmente. Il disco verte intorno proprio a quello che è la casa, al concetto di casa, all’intimità che può avere una casa. Un luogo in cui tu puoi spogliarti, diciamo, e dove dovresti essere solo in teoria, ma in questo caso no. 48 ore cita anche dei passaggi in casa, più leggero, però racconta di una storia vera e quotidiana della casa.

Cosa rappresenta per te la casa?

La casa è sacra, è dove ospiti gli ospiti e dove sei solo con i tuoi pensieri. La casa è il tuo corpo ed è la casa della tua anima. È il luogo più sacro che abbiamo ed è l’unica cosa che pensiamo di possedere, secondo me.

Invece la prossima casa sarà San Siro. Cosa puoi anticiparci?

Non vedo l’ora e sto già pensando allo show, a cosa fare e a come farlo. Sto pensando a tutte le cose che non posso fare perché mi diranno che non posso fare niente probabilmente, però io cercherò di fare cose più assurde possibili (ride, ndr). Secondo me è importante portare uno show che sia un vero e proprio show dove spero di emozionare e di regalare un ricordo indimenticabile.

Ascolta Antologia della Vita e della Morte

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