Ivan Granatino si è specchiato nella sua musica e ha trovato la sua famiglia: l’intervista
L’artista campano è reduce dalla pubblicazione del suo ultimo album “FAMIGLIA”. Un progetto autobiografico, molto diverso rispetto ai lavori passati
La famiglia può essere tante cose. C’è quella di sangue, che non ti puoi scegliere ma alla quale sei legato per forza di cose, e quella che ti costruisci vivendo. Gli amici, i colleghi di lavoro e, per un artista, i fan. Per Ivan Granatino la famiglia è un mondo nel quale specchiarsi e attraverso cui analizzare la propria vita. Il suo ultimo album, uscito lo scorso 31 maggio, è un disco diverso dal resto della sua discografia e lo si percepisce fin dalla prima traccia che dà il titolo al progetto. Un brano che affronta la disillusione nei confronti di un concetto di famiglia allargata che il più delle volte si scontra con la dura realtà.
FAMIGLIA è un disco cupo che spazia tra pop, neomelodico, rap ed elettronica, ma che offre anche degli sprazzi di luce come quelli che penetrano dal finestrino del passeggero dal quale si collega Ivan Granatino per l’intervista. «Stiamo andando a Mergellina per girare il videoclip di Core e core. È il brano un po’ più happy del disco, l’ultimo che abbiamo scritto con Silvia Uras. In un disco piuttosto personale e oscuro, volevo inserire un pezzo che fosse più estivo e spensierato». Ecco, dicevamo. Cosa c’è di meglio di un video ambientato sulla spiaggia libera per raccontare l’aspetto più colorato della famiglia?
Un capitolo luminoso è il penultimo della tracklist, Mari’, un featuring di matrice anni Settanta al quale Ivan tiene moltissimo. Il motivo è facilmente deducibile, dato che vede la presenza di suo padre Lino Granata: «Avrei potuto dedicargli una canzone e invece ho voluto proprio che cantasse con me in questo disco. Senza di lui non avrei mai fatto questo lavoro». Noi siamo partiti proprio dal concept del disco concepito durante la pandemia per poi spostarci sull’analisi del momento d’oro che sta vivendo il panorama musicale napoletano.
L’intervista a Ivan Granatino
Cos’è per te la famiglia?
Parte della risposta è nella prima traccia del disco. La famiglia è quella di sangue, il vero porto sicuro, ma anche quella dei fan e dei collaboratori. Io nella mia vita ho sempre costruito dei team, gruppi di persone con cui passo quasi più tempo rispetto a mia moglie e i miei figli. Specialmente in questo periodo il mio lavoro mi costringe a stare sempre in giro. Molta gente che ha lavorato con me è ancora parte della mia famiglia, come coloro che mi hanno aiutato in questo ultimo progetto. Altri, invece, mi hanno voltato le spalle ed è proprio di questo che parlo nella canzone che dà il titolo all’album. Ma poco importa, sono contento di fare il tour e di festeggiare i miei 40 anni insieme allo zoccolo duro del mio pubblico, che mi segue dal 2008, all’Arena Flegrea di Napoli il prossimo 14 settembre.
FAMIGLIA è album più cupo rispetto al passato, ma anche molto più organico. Parli molto di te, la pandemia ha influito?
Sì, probabile. Durante quel periodo ho deciso che avrei scritto un disco più personale in cui avrei raccontato la mia vita. Da quando sono partito dal nulla, fino alla famiglia che ho costruito nell’arco di tutti questi anni. Nel mezzo ci sono anche pezzi d’amore che potrebbero dare l’impressione di non azzeccarci nulla, ma anche quelli sono parte del mio vissuto. È stato anche un modo per rendermi conto di dove sono arrivato. Sono molto fortunato a poter vivere della mia passione.
È stato un album difficile da scrivere a livello emotivo?
Dipende dalle singole canzoni. Nei momenti più complicati la musica spesso mi ha salvato e anche qui è andata così. Per esempio, i primi versi di Bella comme ‘a te li ho scritti in ospedale mentre aspettavo che mia moglie uscisse dalla sala operatoria. Un’operazione di otto ore per risolvere un’ernia cervicale che le schiacciava il midollo. La cosa incredibile è che quel pezzo è diventato pure virale su TikTok. Non me l’aspettavo perché è forse uno dei più intimi del disco.
Oggi i social sono diventati fondamentali per gli artisti, che rapporto hai con essi?
Nel mio caso sono stati molto importanti. Considera che in sedici anni di carriera, questo è il primo in cui sto facendo concerti in tutta Italia. Una cosa impossibile se penso al 2012 o al 2013 dove ero molto conosciuto solo qui a Napoli. Questo traguardo l’ho raggiunto grazie ai social che funzionano molto più del passaparola.
Addo chiove è uno dei brani più autobiografici in cui ti rivolgi ai tuoi figli. Com’è nato?
Quella canzone per me è stata un modo per guardarmi allo specchio e fare i conti con la mia vita. Dove sono arrivato e cosa ho costruito? Io, partendo dal niente, sono riuscito a garantire ai miei figli una situazione di benessere priva del disagio che ho vissuto io. Nei loro confronti ho una responsabilità enorme: far capire loro che siamo fortunati e che nulla è dovuto. Noi viviamo in un Paese bellissimo, possiamo alzarci, andare al mare e godere del sole, mentre da qualche altra parte del mondo i bambini sono sotto le bombe. Per cui dico loro di guardare “addo chiove”, dove piove e la tempesta non si ferma mai.
Tuo figlio Francesco, tra l’altro, è già una star di Instagram ed è appassionato di musica.
Sì, è innamorato pazzo di Michael Jackson e lo imita costantemente. Quando gli altri bambini guardano i cartoni animati, lui passa il tempo a vedere i video musicali di Michael Jackson. Per qualche mese, dopo Sanremo, è stato “distratto” da Ghali e da Rich Ciolino, ma ora è già tornato sulla sua strada.
Tornando ad Addo chiove, la strumentale sembra rifarsi anche alle sonorità gospel. C’è di mezzo Kanye West?
Sì, Kanye è un artista che mi influenza tantissimo. Conosco tutti i suoi dischi e lo seguo fin dagli inizi. Lui ha sempre fatto la sua musica senza strizzare l’occhio a nessuno e creando una sua impronta.
La scena musicale di Napoli, negli ultimi anni ha conquistato le classifiche, soprattutto pensando al rap.
Sì, anche se la musica napoletana non è solo rap, ma ha tante sfaccettature. Grazie ad artisti come Geolier, che è riuscito a sfondare il muro del pregiudizio unendo melodia e tecnica, l’hip hop è arrivato a tutti. Invece, nei confronti del genere neomelodico, per esempio, c’è ancora diffidenza. Spesso il termine è accostato agli artisti in senso dispregiativo, quando in realtà le cose più interessanti a livello underground provengono proprio da lì. Se ci pensi, molti brani rap napoletani di successo oggi integrano delle sonorità neomelodiche.
Oggi anche chi non viene da quei luoghi prova a cantare o rappare in napoletano. Come ti fa sentire questa cosa?
La verità è che il napoletano ha fatto sempre tendenza. In Sicilia, per esempio, si è sempre cantato in dialetto napoletano. Negli ultimi anni questa cosa è tornata in auge, un po’ come tutti i generi che alternano alti e bassi. Anni fa ci furono Clementino, Rocco Hunt, poi Liberato e oggi di nuovo un’altra ondata.
Secondo te oggi è più facile per un artista napoletano emergere rispetto al passato?
Per me è un’arma a doppio taglio, un 50 e 50. Per i giovani è più facile iniziare e provare a emergere perché c’è un movimento consolidato e, come dicevamo prima, i social aiutano. Dall’altro lato però c’è una sovrabbondanza di artisti. Oggi veramente cantano e rappano tutti. Fino a qualche anno fa c’era il detto: “Ci sono più cantanti che canzoni neomelodiche”. Oggi potremmo dire che a Napoli si sfornano più rapper che pizze.