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“Memento Mori”, l’emozione di sperimentare con i Depeche Mode. Il racconto della producer Marta Salogni

In esclusiva per Billboard Italia, un intenso diario dell’esperienza della producer e ingegnere del suono con Dave Gahan, Martin Gore (e James Ford), in occasione del nuovo album dei Depeche Mode in uscita nei prossimi giorni

Autore Tommaso Toma
  • Il15 Marzo 2023
“Memento Mori”, l’emozione di sperimentare con i Depeche Mode. Il racconto della producer Marta Salogni

Marta Salogni

Abbiamo sentito il nuovo album dei Depeche Mode. Non possiamo adesso scrivere molto su Memento Mori che uscirà ufficialmente il 24 marzo, ma possiamo dirvi che è un grande lavoro. Personalmente lo ritengo il migliore dai tempi di Exciter.

Nonostante sia ancora fresco il trauma della perdita di Andrew Fletcher, il duo Gahan/Gore, con la complicità di James Ford e Marta Salogni sfodera un sound post punk, new wave che però viene arrangiato con stile finemente contemporaneo.


Non potevamo non chiedere a Marta Salogni una protagonista delle produzioni internazionali di scrivere per noi una sorta di diario istantaneo di quest’esperienza con Martin Gore e Dave Gahan, a maggior ragione che stiamo uscendo con un numero del nostro magazine dedicato alle eccellenze italiane all’estero. E Marta ne fa parte con grande merito ed è un orgoglio per noi tutti.

La telefonata di James Ford, produttore dei Depeche Mode

Nella primavera 2022 ho ricevuto una mail da James Ford, produttore del penultimo e ultimo disco dei Depeche Mode. C’era scritto: “Posso chiamarti? So che ora ti occupi principalmente di produzione e mixaggi, ma volevo chiederti se fossi interessata a fare da ingegnere per le registrazioni del nuovo disco dei Depeche Mode”.


Io sono stata ingegnere per molti anni, è stata la professione che mi ha fatto innamorare del mondo della musica e della sperimentazione. È ciò che mi ha spinto a trasferirmi a Londra a vent’anni e proseguire nella mia carriera da fonica da palco a ingegnere da studio. Ho risposto che sì, sarebbe stato un onore.

Avevo incontrato Dave attraverso i suoi dischi con i Soulsavers, per i quali avevo fatto da assistente di mixaggio quasi dieci anni prima (Angels & Ghosts) e poi da mixer (Imposter) del 2020. Conosco bene la sua voce: certo, da ascoltatrice, ma soprattutto da professionista, avendo avuto la possibilità di lavorarci per due dischi. È una materia prima unica al mondo, di come ce ne sono poche, iconica e riconoscibile fin dal primo istante, potente ma che sa esprimere fragilità attraverso le sue sfumature tonali e dinamiche. L’ho conosciuta ed esplorata tra equalizzazioni, compressioni, saturazioni ed effetti, e ora mi sento in sintonia con i suoi movimenti e capace di anticipare le sue esigenze.

Depeche Mode, l’amore musicale di una vita

Sono altresì cresciuta con la musica dei Depeche. Ancora ho impressi gli echi di Violator, Music for the Masses, Songs of Faith and Devotion dalle radio durante gli anni ’90. In un modo o nell’altro, sono parte del tessuto della mia vita come lo sono per la vita di molte altre persone. Non ce ne sono molti di gruppi che accomunano una e più generazioni così come lo fanno loro, da così tanto tempo.

Verso il 2014, il mio primo studio a Londra era nella sede della Mute Records, storica etichetta che ha accompagnato i Depeche Mode al successo. Daniel Miller, boss della Mute, è diventato per me un role model e un caro amico, una persona che ammiro e con la quale condivido gusti musicali, opinioni e che rispetto moltissimo per la sua integrità nel condurre una delle case discografiche in prima linea dell’avanguardia musicale dal 1978 ad oggi.


Esser stata parte del nuovo disco dei Depeche, responsabile della sua gestazione sonica come ingegnere di registrazione e di mixaggio, a fianco di questo gruppo di persone per le quali nutro un grande rispetto, mi è sembrata una combinazione di eventi perfetta. Un’ode a un gruppo e alla sua eredità che non è mai datata ma invece consapevole di se stessa ed è sempre pronta a mettersi in gioco e definirsi protagonista dell’evoluzione della musica. Anche affrontando situazioni estreme come la morte di Andy Fletcher.

La notizia della morte di Andy Fletcher

L’ho saputo al telefono dalla mia manager Charlotte, alla fine di maggio scorso. A meno di un mese io e James saremmo andati a Santa Barbara per la sessione con i Depeche. Subito ho pensato al dolore della famiglia e di Dave, Martin, Daniel Miller e di James, che aveva prodotto il disco precedente con loro. Per un po’ di tempo non ero più sicura se la sessione si tenesse o no, ero pronta per un’altra telefonata e per sentirmi dire che purtroppo si sarebbe messo tutto in standby. E avrei perfettamente capito. Ma invece no.

Martin e Dave avevano deciso di andare avanti – «È ciò che avrebbe voluto Andy» – e hanno così continuato con il nuovo disco. Ero arrivata in California per la prima metà della sessione e avevo incontrato Martin per la prima volta che, oltre a essere una leggenda creativa nel campo musicale, è una persona squisita, gentilissima e aperta.

Abbiamo parlato di Andy, di come la sua mancanza fosse così strana: «Sarebbe stato seduto qui sul divano con noi, ora», mi ha sussurrato Martin. Avevo compreso il messaggio, anche io non sono estranea a quel tipo di sofferenza. Il giorno dopo è giunto anche James. Insieme abbiamo iniziato a lavorare sulle canzoni. Io avevo esportato le tracce dalle demo di Martin, fatte in Logic, e le avevo re-importate in Pro Tools. Abbiamo ricostruito le sessioni al computer, e parlato di ciò che si voleva aggiungere, riregistrare, cambiare, tenere, provare.


Si riparte con la magnetica presenza di Dave

Dopo alcuni giorni ci ha raggiunto anche Dave, e con lui abbiamo provato le canzoni, cambiandone alcuni chiavi che si prestano meglio alla sua voce. Abbiamo parlato di Andy, di come gli sarebbero piaciute certe parti, delle battute che avrebbe fatto su altre.

Anche Dave è sempre molto aperto, gentile, generoso con le parole e con il suo tempo. L’atmosfera è stata di fratellanza, consapevolezza e voglia di costruire qualcosa di speciale. Il tema del disco è la morte. O meglio, “ricorda che devi morire”, quindi forse dovrei dire che il tema del disco in un certo senso è la vita. Le canzoni dell’album la affrontano da diverse prospettive, dirette o metaforiche, ma mai cupe. Anzi, come dice Dave a riguardo di Ghosts Again, c’è un equilibrio di melanconia e gioia che traspare sia dalla musica che dalle parole.

I suoni si incastrano con i testi, sostengono i suoi messaggi e li amplificano, tutte le scelte soniche di quest’album hanno una ragione specifica. Uno studio team piccolo, di quattro persone (Dave, Martin, io, James), che ci ha consentito di lavorare nell’intimità della situazione ed a focalizzare l’attenzione e riflessioni al meglio.

Salogni in studio con Martin Gore

La magia dello studio di Martin Gore

Lo studio di Martin è stato eccezionale per il disco. Tutti i synth che si possano desiderare, modulari e non, compressori, effetti, chitarre, un pianoforte. In poco tempo è diventato uno dei miei studi preferiti. Sapevo che lì avremmo potuto creare tutto ciò che ci sarebbe servito per questo disco. Gli unici macchinari di cui sentivo la mancanza erano le macchine a nastro che uso molto al mio studio di Londra, creando delay, loop e feedback e tessendoli negli arrangiamenti come parti o effetti aggiuntivi. Avevo anche chiamato il mio amico Charley, che abita a Los Angeles e conosce uno studio in città chiamato Wiggle World dove ne hanno tre che potevano prestarmi, così al primo giorno libero sono andata a recuperarle.


Rientrata in studio con Dave, Martin e James le ho messe subito alla prova: si sono rivelate perfette per alcune parti degli arrangiamenti e come effetti sulla voce di Dave. Echi liberi a volte slegati da ritmi specifici, ma che cadono in perfetta armonia con la sua voce, e altre volte portatori di movimenti che si accavallano sugli strumenti creando ulteriori strati ritmici di tridimensionalità.

Abbiamo passato un mese insieme in studio, poi un mese libero, e un altro mese insieme. Per una settimana abbiamo anche lavorato allo Shangri-La, lo studio di Rick Rubin, per registrare archi con Davide Rossi, poi processati fortemente con effetti Eventide H3000, Mutron e nastri. Abbiamo usato il soggiorno e i bagni dello studio per il reamping, collegando casse e microfoni per catturare riverberi e ambienti naturali.

Un viaggio speciale

Sempre allo Shangri-La abbiamo finito le voci di Dave, con il microfono Neumann che ci eravamo portati dallo studio di Martin. Anche le voci processate in parallelo con combinazioni di effetti Eventide, nastri, riverberi e delay analogici e digitali. Ogni canzone ha effetti specifici che la rendono unica, ma sempre parte dell’insieme dell’album. Come una tavolozza di colori per una serie di quadri. Combinazioni e mescolanze portano a risultati diversi e unici ma appartenenti allo stesso mondo.

Daniel Miller ci aveva raggiunto per una settimana prima della fine delle sessioni. Tutti insieme abbiamo scritto le nostre tracklist preferite e le abbiamo condivise anonimamente tra di noi, ascoltando Memento Mori in studio dall’inizio alla fine prima di riportarlo a Londra con me nel mio studio per iniziare il mixaggio delle canzoni. Un disco di cui vado molto orgogliosa a livello di sonorità e personalmente.


Intraprendere questo viaggio insieme è stata un’esperienza speciale, un’occasione di sperimentazione e crescita, grazie alla fiducia reciproca che ci ha permesso di esercitare la massima libertà di espressione artistica e umana.

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