Nahaze: «Nel mio “Inferno” le fiamme ci proteggono dall’indifferenza»
Abbiamo intervistato Nahaze, che dopo ottime prove e un disco d’oro per Carillon con Achille Lauro torna con un singolo e una Matera fiabesca
L’immaginario collettivo tende a far coincidere l’Inferno con le fiamme che straziano incessantemente i corpi dei dannati. C’è anche però chi ha voluto rovesciare questa convenzione, sottolineando la positività di un fuoco capace di riscaldarci dalla freddezza dilagante dei nostri tempi. Nahaze la pensa proprio così.
La giovane cantante è tornata venerdì con un nuovo singolo tra R&B e trap, Inferno, accompagnato da un videoclip girato nei pressi dei Matera. Ma non aspettatevi il classico set di tufi che da Pasolini a James Bond continua a riempire gli occhi anche di chi non c’è mai stato.
Il singolo si propone come snodo decisivo per la carriera di Nahaze, che dopo aver ottenuto un disco d’oro grazie al singolo Carillon (ft. Achille Lauro) vuole portare la propria formula musicale su un altro piano. A darle man forte, la capacità di destreggiarsi tra inglese e italiano per il cantato, e una sensibilità per l’analogico che potrebbe provocare interessanti cortocircuiti.
L’abbiamo intervistata per una panoramica sul presente, con un occhio al post-Inferno. E ovviamente, per saperne di più sul gelo che ci minaccia.
L’Inferno è un tòpos ricorrente, non soltanto nella musica. Ti sei rifatta a qualche autore, autrice o opera in particolare?
Abbiamo preso qualche riferimento con gli accordi della chitarra dai Pink Floyd. A livello di tema ‘inferno’, ho descritto il mio. Non ho voluto riprendere da nessuno.
Che idea c’è dietro?
Prendi il tipico inferno dantesco, fiamme, anime che bruciano… per me è proprio l’opposto. È il gelo. Infatti canto «in the cold I am the heat», è il contrario dell’inferno tipico che ci aspettiamo.
Quanto è autobiografico quest’Inferno?
Parlo sia del mio inferno personale che di quello che mi circonda. Ho preso spunto da questa situazione che stiamo vivendo. Per me l’inferno è appunto tutta questa indifferenza che abbiamo l’uno verso l’altro. «Ora mi chiami per nome / Ora che ti chiedo amore» non si riferisce a un fidanzato, ma al fatto che ora siamo tutti più freddi e distanti. Siamo coperti da questa mascherina e dalla paura di stare a contatto.
In piena era COVID-19 che raffredda i rapporti, quali sono state le “fonti di calore” che ti hanno permesso di creare in musica e fuggire dal gelo?
È un po’ un giro, perché per me è proprio la musica quella possibilità di fuggire! Poi certo, anche i rapporti umani sono alla base di quel calore.
Il 2021 è alle porte. Su quale elemento artistico maturato quest’anno investirai per il futuro?
Sicuramente manterrei questa mescolanza di lingue. Vorrei comunque continuare a esprimermi con i miei concittadini. Vorrei poi lavorare con più strumenti… con basi più autentiche, manuali, ecco. La chitarra alla fine di Inferno non è un synth, è stata registrata con un chitarrista.
Mescoli italiano e inglese. Si può oscillare tra due mercati o bisogna fare una scelta?
Penso comunque che sono nata e cresciuta in Italia. Sono le mie radici. Quindi lanciarmi su un mercato estero sarebbe un po’ come dimenticarmi di me stessa. Qui vivo determinate situazioni, e vorrei comunicarle alle persone che mi circondano. Non voglio dimenticarmi del mio nome.
Avete girato il videoclip in una Matera molto lontana dall’immagine da cartolina…
Matera è piena di questi passaggi che non ti fanno nemmeno pensare di essere lì. Noi volevamo non tanto esaltare i Sassi, ma ricreare un ambiente fiabesco.
Ricorda molto l’immaginario à la Avalon…
Lo dico sempre, è una città un po’ incantata, ti senti perso nella natura. Sembra di stare nel nulla, ed è la parte più bella. Abbiamo provato a riprendere le parti meno toccate dall’uomo, come la Grotta, la Murgia… nei Sassi c’è la mano dell’uomo. Vorrei che Inferno fosse un brano atmosferico. Mi piaceva questa idea che fosse tutto bellissimo e naturale.
La certificazione nella musica italiana assume un valore diverso a seconda del contesto. C’è chi impazzisce dietro a una targa, e chi è focalizzato su altro. Come hai vissuto il disco d’Oro per Carillon?
È stata una soddisfazione, ma dal giorno dopo non ci ho più pensato. Se finisse tutto lì, finirebbe anche la mia musica. Non è un disco d’oro a delimitare tutto il resto. Spero piuttosto di raggiungere questi risultati con brani meno radiofonici.
«Vedo diavoli, chiedo a Dio l’aiuto, l’inferno è così»
Normalmente assoceremmo i diavoli a dei mostri. Per me sono una parte di umanità indifferente a quello che succede nel mondo. In merito a Dio, sono agnostica, ma lo cito perché se dovessimo ringraziare Dio per il male che c’è ancora sul pianeta, questa sarebbe la mia visione. Non credo esista un inferno peggio di questo.
Quel Dio potrebbe essere la musica?
Anche. L’aiuto è una di quelle cose che riaccendono la fiamma.
Il brano ha comunque una sfumatura consolatoria…
Sì, perché nonostante questa visione molto pessimistica mi viene da dire che questa fiamma può vincere il gelo.
Cosa prevede il 2021 per Nahaze?
Voglio assolutamente uscire con l’album per dare una narrativa alla mia musica. Siamo ancora un po’ titubanti, perché per quel che mi riguarda uscirà nel momento in cui si potranno fare i concerti. Mi piacerebbe cantarlo con le persone che mi seguono.
Sarà un concept album?
Non c’è un filo conduttore, ma nell’ipotetica scaletta c’è un’evoluzione personale che ho notato. Saranno presenti brani già usciti con un’evoluzione. Ad esempio, non mi rivedo più in alcune cose che dico in Wasted, quindi sarà presente, ma rivisitato.
A proposito di evoluzione, sotto quale aspetto sei cresciuta di più?
Credo di essere cresciuta molto con i testi. Prima avevo bisogno di scrivere di più per esprimermi, sulla falsa riga di uno sfogo, un po’ più rap. Con Inferno ho cercato di racchiudere tanto in poche frasi.