Natalie Merchant: «“Keep Your Courage” è un diario intimo dell’elaborazione di una crisi collettiva»
La cantautrice è tornata con nuova musica dopo ben nove anni. L’album ricorda tanto la sua ex band, i 10,000 Maniacs, quanto le grandi folk singer del passato. L’abbiamo intervistata
Cantautrice, mamma, attivista a favore delle donne e dell’infanzia, un tempo front woman dei 10,000 Maniacs, Natalie Merchant è una voce e un personaggio di straordinaria intensità.
Da nove anni non ascoltavamo della musica nuova da parte sua. Adesso torna con un nuovo disco e un altro in programma per il 2024 dedicato a Lina Schwarz, poetessa italiana per l’infanzia di origini ebree, che subì le persecuzioni nazifasciste e si faceva chiamare “Zia Lina” per ricordare a tutti il suo amore per i bambini di ogni luogo e di ogni tempo.
Keep Your Courage, il disco del ritorno, pubblicato dalla Nonesuch, è un album molto ispirato. In qualche momento ricorda le atmosfere dei 10,000 Maniacs (Big Girls, Come On Aphrodite, Tower of Babel) e in altre ci riporta alle atmosfere delle grandi folk singer del passato, da Linda Perhacs a Sandy Denny, con brani d’impatto come Sister Tilly o la bellissima Guardian Angel.
Ascolta Keep Your Courage di Natalie Merchant
L’intervista a Natalie Merchant
Natalie, emergi da alcuni anni di assenza dalle scene, comunque di silenzio discografico, ma con due progetti insieme. A cosa è dovuto questo stato di grazia?
Le cose sono, temo, molto meno mistiche di quanto si possa pensare (ride, ndr). Non c’è stata una musa a farmi visita, per intenderci. Banalmente ho seguito mia figlia negli studi e, quando è diventata più grande, mi sono detta: “E adesso che faccio?”. Mi sono ricordata che l’unica altra cosa che sappia veramente fare, a parte la mamma, è scrivere canzoni.
Benissimo, iniziamo col primo dei due progetti allora, quello presente, e dal suo titolo, che sembra chiamare ad una capacità di reagire personale, che ciascuno deve trovare dentro di sé. Quale particolare significato volevi dare a questo invito?
Stiamo attraversando un periodo difficile: prima la pandemia, poi la guerra e intanto la crisi ambientale che continua a peggiorare senza che davvero ci si muova per fare qualcosa.
Quello che ho sentito è che non potevo permettermi di essere vaga, di parlare dei problemi in generale. Avevo bisogno di fare riferimento alle conseguenze che questi grandi problemi hanno su ogni individuo, in particolare riferendomi allo stato d’animo, al rapporto con il futuro, alle aspettative, anche allo stesso equilibrio mentale. Una sorta di diario intimo dell’elaborazione di una crisi collettiva.
Cosa ti ha portato a scegliere questa particolare chiave?
In questi anni ho affrontato anche dei problemi di salute legati alla spina dorsale che per un periodo hanno compromesso la mia manualità, limitandomi nell’autonomia. Che ci sia qualcosa che si frappone fra te e il semplice desiderio di prenderti un bicchiere d’acqua è stato qualcosa di molto istruttivo. Mi ha dettato l’urgenza di dare valore alle cose, di sfruttare il nostro rapido passaggio su questa terra per amare le persone, ciò che abbiamo e, in definitiva, noi stessi.
È a questo tipo di trasparenza e coerenza che ti riferisci in Big Girls, quando canti “Tell the lies, that’s how they survive”?
Sicuro. Ma arrivandoci da un altro punto di vista. È un testo che parla della necessità che le persone a volte avvertono di mentire a sé o a coloro che amano, per istinto di protezione. E in quel momento avviene il processo inverso a quello che ti dicevo prima. Si fanno astrazioni su un problema personale per formulare grandi verità consolatorie.
Se per esempio ti innamori di un uomo, lui ti molla, la reazione spesso è quella di dire che tutti gli uomini sono cattivi e che l’amore è inutile, perché rende solo infelici. Significa raccontarsi una bugia per sopravvivere.
In realtà non tutti gli uomini sono cattivi, ma quell’uomo in particolare. L’amore non è sempre infelice, sei tu ad essere infelice in questo particolare momento. Una consapevolezza del genere non aiuterà a diluire la delusione, ma è l’unico modo per superare veramente i propri problemi, senza fare un passo indietro dalla vita, pur di evitare rischi.
Il pezzo apre l’album e, come il successivo Come on, Aphrodite, è un duetto tutto al femminile.
Canta con me Abena Koomson-Davis, una cantante, educatrice e compositrice bravissima, la direttrice del Women’s March Resistance Revival Chorus di Brooklyn. Mettere insieme due voci femminili non è una cosa che si fa di solito, ma era esattamente quel che ci voleva per entrambi i brani e sono felicissima del risultato.
Praticamente in tutti i brani ci sono archi e fiati. Che ruolo ha l’orchestra nel disco?
Quello che mi interessa dell’orchestra è la dinamica, il fatto che passando da un momento sussurrato ad uno pieno puoi suscitare o sottolineare una emozione.
A proposito di Oriente, alcune cose mi riportano alle atmosfere di uno dei tuoi dischi che amo di più, Leave Your Sleep: ti torna?
Sì. Perché in quel caso c’erano musicisti provenienti da diverse parti del mondo, compresi musicisti klezmer. Avevo voluto realizzare attraverso le canzoni una sorta di viaggio mentale nei diversi luoghi da dove proveniva la formazione musicale degli artisti che avevano lavorato con me. Si trattava di un progetto per l’infanzia, sui bambini e dedicato ai bambini, in cui musicavo poesie di vari autori tutte inerenti al tema.
A proposito di collaborazioni con musicisti non anglo-americani, di progetti riguardanti l’infanzia e anche di resa in musica di un patrimonio poetico, mi interessa molto il tuo progetto in programma per il 2024, che ha dentro tutte queste componenti e riguarda in particolare l’Italia.
Ho trascorso in Italia praticamente tutto il mese di ottobre. Sto anche imparando a parlare e cantare in italiano. Sto collaborando con una band milanese di musicisti folk che si chiama Domo Migrantes, cioè persone che emigrano dal proprio paese.
Stiamo mettendo in musica i versi di Lina Schwarz, una poetessa italiana di origine ebrea che dovette lasciare l’Italia a causa delle persecuzioni e poté tornarvi solo dopo la fine della guerra. Non tutti in Italia la conoscono, ma le sue poesie per bambini sono bellissime.
Ascolti anche musica italiana?
Certo!
Per esempio?
Per esempio Lucio Battisti e Lucio Corsi.
L’intervista si conclude con una performance improvvisata, intonando La Collina dei ciliegi e Cosa faremo da Grandi?. La voce di Natalie rende moltissimo quando canta in italiano.