Valentina Parisse e il suo lato “Very Personal”: l’intervista
La cantautrice romana torna con il nuovo EP “VP”, registrato e prodotto a Los Angeles con Chris Lord Alge e in uscita domani. Sei brani intimi che viaggiano tra pop rock ed elettronica
Foto di Luz Gallardo
VP è Valentina Parisse ma soprattutto Very Personal. Il titolo del nuovo EP della cantautrice romana racconta molto di più di un nome e cognome. È il risultato di mesi di lavoro negli Stati Uniti e di un percorso personale oltre che musicale. Le sei canzoni del progetto sono tante piccole istantanee delle esperienze vissute nel corso degli ultimi anni passati soprattutto a scrivere. Si viaggia tra pop rock ed elettronica. La scrittura è sempre stata la molla, fin dalle prime tracce realizzate da sola in studio da adolescente. Poi c’è stata l’esperienza in Canada e il suo esordio Vagabond. Valentina Parisse ha scritto tanto e anche per altri, su tutti Renato Zero (Rivoluzione) e Michele Zarrillo.
Il suo progetto indipendente non poteva che nascere oltreoceano, dove è tornata per seguire delle session di scrittura. Proprio lì a Los Angeles, ha conosciuto Chris Lord Alge (Green Day, Bon Jovi Avril Lavigne e molti altri) con cui ha collaborato alla produzione di VP. «Una delle più alte forme di rispetto è fare musica insieme» spiega ricordando i mesi di lavoro negli Stati Uniti. Dopo i primi due singoli Minimal e Asteroide, e la presentazione dal vivo a RadioItalia Live, l’EP completo uscirà domani.
L’intervista a Valentina Parisse
Se dovessi descrivere VP, come lo faresti?
È un riassunto di tante cose che sono successe in questi anni. Un percorso lungo, super affascinante, interessante e molto personale. Il titolo, infatti, non fa solo riferimento alle mie iniziali, ma sta anche per Very Personal: un’idea che ci è venuta in mente quest’estate mentre ero in studio con Chris Lord Alge. A livello musicale lo definirei un progetto pop rock e lo dico con grande orgoglio perché è sicuramente il mondo che mi descrive meglio. Allo stesso tempo ho cercato di portare tanta innovazione e, in questo, sono stata sicuramente aiutata dagli artisti incredibili che hanno collaborato a questo EP.
Com’è nata la collaborazione con Chris Lord Alge?
In maniera naturale e quasi inaspettata.È da qualche anno che vado a Los Angeles per sessioni di scrittura con artisti del posto, ma anche italiani che si sono trasferiti lì o che lavorano lì. In una di queste varie session ho incrociato Chris e gli ho parlato del mio lavoro. Ha ascoltato le mie canzoni e una volta mi ha detto: “Ma perché non facciamo qualcosa insieme?”. Non lo dico per autocelebrarmi, però sono davvero orgogliosa di essere la prima artista italiana a collaborare con lui.
Tra le tante cose che avrai imparato, qual è quella che ritieni più importante?
Con luiè un insegnamento continuo. Devo dire che, un po’ per le tempistiche, perché comunque i brani, soprattutto lavorati in una certa maniera, hanno bisogno di una certa gestazione, ho imparato a prendere decisioni. The power of decision come direbbe Chris. Lui è uno che ha fatto delle scelte una filosofia anche nella musica.
Hai descritto questo progetto come un EP fatto di tante scene diverse: si passa dall’elettronica al pop rock. Se le tue esperienze sono il filo conduttore dei testi, a livello musicale come hai agito?
Sono andata a recuperare le mie radici del periodo della mia prima band, i Vagabond. Io amo la musica organica e sintetica. Per me le canzoni le devi spogliare e devono reggersi in piedi nude, con una chitarra o con un piano. Da lì si inizia a tessere il vestito che le avvolgerà. Ho iniziato a quattordici anni in studio con questo approccio e credo che non ne uscirò mai. Lo studio è la mia isola felice. Tutto questo poi va di pari passo col fare musica insieme che resta comunque la base.
La canzone più “nuda”, paradossalmente, è forse una delle più radiofoniche dell’EP: Taxi. Si regge solo su quel giro di basso accattivante.
Sì, è nata proprio dal basso ed è proprio la dimostrazione di quanto ho appena detto. Non nego di aver provato, a livello di elementi costitutivi della canzone, a sperimentare. Ogni volta che aggiungevo qualcosa però si perdeva un po’ magia. A quel punto subentra the power of decision: si pubblica così in tutta la sua essenzialità.
Un altro brano che mi incuriosisce è Colpa di Battisti dove citi il capolavoro Ancora tu. Quanto c’è di autobiografico?
Vado diretta: ieri la riascoltavo e piangevo. Per me quando si scrive, per forza di cose si parte da cose personali. Il che non vuol dire piangere e disperarsi, assolutamente. Ma le canzoni sono comunque dei microfilm con cui si raccontano sensazioni vissute e provate sulla propria pelle. Poi c’è da dire che io sono proprio ossessionata da Ancora tu, fin da quando ero veramente piccola. È Bibbia, in tempi non sospetti parlava di relazioni tossiche.
Quindi quella per Lucio Battisti è proprio un’ossessione?
Sì, è proprio una follia iniziata dalla tenera età (ride n.d.r.). Pensa che ho ritrovato una mia primissima intervista, se così si può definire, di quando ero ancora alle scuole medie. Alla Cantina Sociale di Ciampino avevano organizzato un concertino per la pace e io avevo partecipato prendendo alcune canzoni di Battisti cambiandone in parte il testo per adattarle al tema dell’evento.
La scrittura è sempre stata la tua attività principale. Hai scritto canzoni anche per artisti, come Renato Zero e Michele Zarrillo. È più difficile scrivere per sé o per gli altri?
Per me non è né più facile né più difficile, sono due situazioni differenti. Alla fine sempre di scrittura si tratta. Tendenzialmente noi artisti siamo tutti egocentrici ed egoriferiti, me compresa. Quindi l’idea di poter uscire da se stessi e potersi infilare nei panni di qualcun altro la trovo una cosa estremamente rigenerante. Se penso alla collaborazione con Renato, credo di aver imparato tantissimo proprio perché in quei casi non sei tu. Tu sei uno strumento in quel momento. Diventi una chitarra, un basso, qualunque cosa nelle mani di chi ti permette di far parte del suo mondo. Ecco, questa forse è l’unica differenza.
Scrivendo Nell’estasi o nel fango con Michele Zarrillo hai anche partecipato al Festival di Sanremo nel 2020. Il sogno è partecipare fisicamente anche come cantante immagino.
Beh, chi non sogna di calcare quel palco. Ci vorrebbero più Festival di Sanremo durante l’anno. Non c’è sufficiente spazio. Quando l’ho vissuto con Michele è stata una grandissima emozione e una profonda esperienza umana. Lui ha una vocalità molto potente, elastica ed eclettica, per cui il mio lavoro è stato molto sulle vocali, sul trovare le parole giuste a livello proprio fonico.
La canzone per Sanremo si scrive o viene quando meno te lo aspetti?
Non ci credo alle cose programmate a tavolino. È capitato, per esempio durante il lockdown del Covid, che siccome eravamo costretti in casa si sentiva quasi il dovere di scrivere. All’inizio era anche stimolante, ma una volta che diventa una costrizione non funziona più. Il mio approccio alla scrittura è molto istintivo e sincero. La canzone devi sentirtela addosso, devi stare bene quando la indossi. È come un tatuaggio.