L’estasi nel tormento: 40 anni fa oggi usciva “Closer” dei Joy Division
Nel 1980, la morte di Ian Curtis e la pubblicazione di Closer scolpirono il nome dei Joy Division tra quelli delle massime icone del rock. Oggi l’album postumo conosce una nuova vita con una speciale ristampa in vinile
Oggi lo vediamo effigiato su t-shirt, poster e quant’altro alla pari di Jim Morrison, Kurt Cobain o Jimi Hendrix. Sarebbe facile ritenere che, quando il 18 maggio 1980 staccò la spina dal mondo, Ian Kevin Curtis occupasse un posto di rilievo nella mitologia rock. Facile ma inesatto. Nel 1980 i Joy Division erano ancora “emergenti”. E il loro frontman era una delle tante figure carismatiche del fenomeno già consacrato come new wave.
Un segreto da iniziati
Certo, il suo viso era apparso sulla copertina di NME, che all’epoca dettava legge per le nuove tendenze più dei concorrenti Melody Maker e Sounds. Ma quel periodo era talmente ricco di artisti interessanti che una prima pagina non era necessariamente sinonimo di affermazione su vasta scala.
L’album d’esordio della band, Unknown Pleasures, edito dalla Factory nel giugno del 1979, aveva infatti venduto appena quindicimila copie. Un buon terzo delle quali sulla spinta di Transmission, 45 giri non tratto dall’album pubblicato in autunno. Insomma, al tempo i Joy Division non erano “stelle”. Se ne parlava abbastanza in patria, tra gli appassionati e gli addetti ai lavori. Ma nel resto d’Europa e in USA erano un segreto da iniziati.
Fuori dal Regno Unito avevano d’altronde suonato in totale dodici volte (sei in Olanda, tre in Belgio, due in Germania e una in Francia) in piccoli club e davanti a platee esigue. Cosa comprensibile, giacché i dischi Factory arrivavano in pochi negozi e unicamente di importazione. In Italia? Un culto da riviste specializzate, che li elogiavano nelle recensioni senza tuttavia esporsi granché. Solo Rockerilla, nell’ottobre 1979, aveva avuto il “coraggio” di dedicare loro due pagine.
La romanticizzazione
Affermare che i Joy Division siano diventati leggendari per il suicidio del loro 23enne cantante, impiccatosi nella sua casa di Macclesfield dopo aver guardato in TV un film di Werner Herzog (La ballata di Stroszek) e ascoltato The Idiot di Iggy Pop, sarebbe un’infamante esagerazione. Le qualità del quartetto di Manchester non si discutono, così come la sua capacità di incarnare uno degli Zeitgeist dominanti di quei giorni.
Allo stesso modo, sarebbe impossibile negare l’influenza del luttuoso evento nel processo di ascesa al pantheon di Curtis. Al di là di ogni illazione sui motivi reali del gesto e di ogni inevitabile retorica, il suicidio del cantante sembrava costituire una sorta di sublimazione della poetica del gruppo. Un epilogo naturale che affondava le radici nelle emozioni avvertite da tanti giovani, figlie dei disagi esistenziali e dunque perfette per la romanticizzazione.
Il biopic Control
In Control, il bel biopic di Anton Corbijn risalente al 2007, certe sensazioni e certe atmosfere in bianco e nero prorompono da ogni scena, anche se la necessità di comprimerle in un paio d’ore le ha rese meno sfaccettate. Non ha però tutta questa importanza sapere se a uccidere l’indiscusso primattore della vicenda siano stati più i problemi relazionali, il triangolo amoroso, i rimorsi, le preoccupazioni per l’epilessia, il sentirsi inadeguato per i ruoli di padre e di futura rockstar, la personalità fragile o la convinzione di non poter sfuggire a un destino già scritto.
Anche se magari non del tutto autentica, quella raccontata dal film – basato sul libro autobiografico della vedova Curtis, Touching from a distance – è una breve saga di tragica, toccante, irresistibile bellezza. Pescare nel torbido stagno dei perché, dei dubbi, delle altre verità è operazione sterile e morbosa. Comunque sia andata sul serio, la parabola di Ian – uno di quelli che, consapevolmente o meno, aderì alla logica del “meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente” enunciata da Neil Young e purtroppo estremizzata da Kurt Cobain – è un dramma esemplare, un nutrimento perfetto per ogni anima tormentata dal mal di crescere, dal mal di vivere.
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Closer, l’album postumo
Curtis fu sopraffatto da se stesso qualche ora prima della partenza dei Joy Division per un tour negli Stati Uniti che di sicuro ne avrebbe accresciuto la notorietà. Closer era già stato inciso e i grafici Martyn Atkins e Peter Saville ne avevano già realizzato la copertina, funerea e magnifica come le due create per le edizioni 7″ e 12″ di Love Will Tear Us Apart. Per quella del successivo singolo Atmosphere, accoppiato a una versione alternativa di She’s Lost Control, la Factory scelse invece un’immagine che, a differenza delle precedenti, non faceva pensare a una tomba.
Per il quarantennale, Rhino e Warner Music commercializzano una particolare ristampa di Closer, in vinile 180g trasparente. In contemporanea arrivano anche le riedizioni di tre singoli coevi, tutti in formato 12″ e con brani non contenuti nell’LP: Transmission / Novelty, Love Will Tear Us Apart / These Days e Atmosphere / She’s Lost Control. Di Closer è ancora in circolazione la versione in CD doppio del 2007, con l’album rimasterizzato e un concerto tenuto a Londra l’8 febbraio 1980.
La nascita del mito
Il mito del gruppo, e soprattutto del suo componente più magnetico (senza con questo voler sminuire il chitarrista Bernard Sumner, il bassista Peter Hook e il batterista Stephen Morris), nacque per davvero dopo il 18 maggio 1980, con Closer e Love Will Tear Us Apart saliti in alto nelle classifiche britanniche (rispettivamente, fino al sesto e al tredicesimo gradino) e una bellissima prima pagina del New Musical Express, uscita però solo il 14 giugno perché uno sciopero aveva bloccato per circa un mese e mezzo il settore editoriale.
In Italia, la notizia della scomparsa passò sotto silenzio e fu diffusa soprattutto dopo l’estate nelle recensioni di Closer, cui si attribuì valore di testamento. Giustissimo, ma il disco sarebbe anche stato imprescindibile ispirazione, come del resto il più spigoloso Unknown Pleasures, per tutto il post-punk da venire.
Nell’ultimo show, tenuto a Birmingham il 2 maggio, i Joy Division avevano presentato un nuovo brano appena composto, Ceremony. Pochi mesi dopo, Sumner, Hook e Morris l’avrebbero registrato e pubblicato come 45 giri per inaugurare la loro avventura come New Order. Ma questa è un’altra storia.
Articolo di Federico Guglielmi