Le 10 canzoni più belle degli Alice in Chains
Ripercorriamo la carriera della grande band americana attraverso una selezione dei loro brani più memorabili
Gli Alice in Chains, formati a Seattle nel 1987, sono una delle band più influenti del movimento grunge, insieme a Nirvana, Pearl Jam e Soundgarden. Tuttavia nelle loro canzoni gli Alice in Chains hanno sempre avuto un suono unico, che mescolava elementi di grunge, heavy metal e rock alternativo, creando una musica oscura, malinconica e potente. Caratterizzati da testi introspettivi e spesso legati a temi come la dipendenza, la depressione e la morte, gli Alice in Chains hanno lasciato un’impronta indelebile nel rock degli anni ’90 e oltre.
Gli inizi
Gli Alice in Chains furono fondati dal chitarrista Jerry Cantrell e dal cantante Layne Staley. Inizialmente la band si orientava verso un sound glam metal, simile a quello di gruppi come Guns N’ Roses e Mötley Crüe, ma presto adottò una direzione più oscura e pesante, abbracciando l’atmosfera cupa e disillusa che caratterizzava la scena grunge emergente di Seattle. Con l’aggiunta di Sean Kinney alla batteria e Mike Starr al basso, la formazione classica degli Alice in Chains era completa.
Nel 1990 la band firmò con la Columbia Records e pubblicò l’EP di debutto We Die Young. Anche se solo di breve durata, l’EP mostrava chiaramente la direzione oscura e potente che avrebbero preso. La title track divenne popolare sulle radio rock e attirò l’attenzione su di loro.
Facelift, il primo successo
Il primo album degli Alice in Chains, Facelift, venne pubblicato nel 1990 e fu un successo sorprendente, diventando uno dei primi album grunge a ottenere un grande riconoscimento commerciale. Il singolo Man in the Box divenne un successo internazionale grazie a un riff di chitarra memorabile e alla voce potente e angosciante di Staley. Il video musicale di Man in the Box ricevette una forte rotazione su MTV, portando la band alla ribalta internazionale.
Con Facelift, gli Alice in Chains non solo anticiparono l’esplosione del grunge, ma dimostrarono anche di avere una vena metal che li distingueva dalle altre band della scena di Seattle. Questo album gettò le basi per il loro suono distintivo: un mix di riff pesanti, armonie vocali tetre tra Cantrell e Staley e testi che esploravano temi oscuri e personali.
Dirt, l’album della consacrazione
Se Facelift aveva segnato l’inizio della loro carriera, Dirt fu l’album che consacrò gli Alice in Chains come una delle band più importanti della scena rock degli anni ’90. Pubblicato nel 1992, l’album è considerato uno dei capolavori del grunge e dell’hard rock.
Dirt è un viaggio attraverso la sofferenza, la dipendenza e la lotta personale, in gran parte ispirato dalle battaglie di Layne Staley con la droga. Brani come Them Bones, Rooster e Would? affrontano temi di perdita, isolamento e morte con una brutalità emotiva rara nel rock mainstream. Rooster, scritta da Cantrell, è un omaggio al padre del chitarrista, che aveva combattuto in Vietnam, mentre Would? fu scritta in onore di Andrew Wood, frontman dei Mother Love Bone, morto per overdose.
L’album ricevette il plauso della critica e fu un enorme successo commerciale, vendendo milioni di copie e rendendo gli Alice in Chains una delle band più riconoscibili del movimento grunge. Dirt rimane ancora oggi uno degli album più acclamati del periodo.
Le difficoltà e il ritiro dalle scene
Dopo il successo di Dirt, la band pubblicò l’EP Jar of Flies nel 1994, un progetto acustico che dimostrava la loro versatilità musicale. L’EP, contenente brani come No Excuses e I Stay Away, debuttò al primo posto nella classifica Billboard 200, diventando il primo EP a raggiungere tale posizione. La critica accolse Jar of Flies con entusiasmo, lodando la capacità della band di esplorare suoni più delicati senza perdere l’intensità emotiva.
Tuttavia le difficoltà personali di Layne Staley cominciarono a farsi sentire sempre più. La sua dipendenza dall’eroina portò la band a una serie di interruzioni e ritiri dalle scene, compromettendo la loro capacità di promuovere i nuovi lavori e di esibirsi dal vivo. Dopo l’uscita dell’omonimo Alice in Chains (1995), la band cessò quasi completamente le attività, tranne alcune apparizioni acustiche, come il leggendario MTV Unplugged del 1996.
La salute di Staley continuò a peggiorare e il cantante si isolò sempre di più dal mondo, rendendo impossibile qualsiasi tentativo di ripresa stabile della band. La sua tragica morte per overdose nel 2002 segnò la fine di un’era per gli Alice in Chains.
La rinascita
Dopo la morte di Staley, gli Alice in Chains sembravano destinati a rimanere un ricordo doloroso del passato. Tuttavia nel 2006 la band annunciò un ritorno con un nuovo cantante, William DuVall, che prese il difficile compito di sostituire Staley. Sebbene molti fossero scettici, la nuova formazione si dimostrò sorprendentemente solida, con Jerry Cantrell che assunse un ruolo ancora più centrale come leader della band.
Il primo album con DuVall, Black Gives Way to Blue (2009), fu accolto positivamente sia dalla critica che dai fan. Il disco, che include la partecipazione di Elton John nella title track (dedicata a Staley), dimostrò che gli Alice in Chains erano ancora capaci di creare musica potente e profonda, nonostante la dolorosa perdita del loro frontman storico. Brani come Check My Brain e Your Decision mantennero il classico suono oscuro e pesante della band, ma con un rinnovato senso di energia.
La band ha continuato a pubblicare album di successo, come The Devil Put Dinosaurs Here (2013) e Rainier Fog (2018), confermando la loro resilienza e capacità di reinventarsi senza tradire le loro radici.
Dieci canzoni iconiche degli Alice in Chains
Man in the Box
Man in the Box è il brano che ha lanciato gli Alice in Chains verso il successo. Il riff ipnotico e pesante di Jerry Cantrell e il canto aggressivo e carico di angoscia di Layne Staley ne fanno un classico immediato. La canzone affronta temi di oppressione e controllo, riflettendo il tono oscuro che caratterizza gran parte del repertorio della band. Il video musicale ricevette molta attenzione su MTV, consolidando la popolarità della band. È una delle canzoni simbolo del grunge e un esempio perfetto dello stile unico degli Alice in Chains.
Rooster
Rooster è una delle canzoni più personali di Jerry Cantrell, scritta per raccontare l’esperienza di suo padre durante la guerra del Vietnam. Il brano ha un’intensità emotiva unica, con un inizio calmo che si evolve in un crescendo potente e aggressivo. Il soprannome Rooster si riferisce proprio al padre di Cantrell, e la canzone cattura sia la brutalità della guerra sia il desiderio di sopravvivere. Le armonie vocali tra Staley e Cantrell danno al brano un tocco epico, rendendolo uno dei pezzi più toccanti della band.
Would?
Would? è una canzone che riflette sulla morte e sulla dipendenza, dedicata a Andrew Wood, cantante dei Mother Love Bone, morto per overdose. Il basso pulsante e il riff oscuro di Cantrell creano un’atmosfera cupa, mentre la voce di Staley sembra evocare dolore e rabbia in egual misura. Il brano è stato incluso nella colonna sonora del film Singles e ha giocato un ruolo fondamentale nel consolidare il successo degli Alice in Chains. È uno dei pezzi più rappresentativi del loro catalogo e un inno del grunge.
Down in a Hole
Down in a Hole è una delle canzoni più struggenti degli Alice in Chains, un pezzo che esplora la vulnerabilità, la solitudine e la disperazione. La voce emotiva di Staley, insieme alle armonie con Cantrell, creano un’atmosfera malinconica che risuona profondamente con l’ascoltatore. Scritta da Cantrell, la canzone riflette anche sui suoi stessi sentimenti di isolamento e perdita, rendendola uno dei brani più personali e intimi del loro repertorio.
No Excuses
No Excuses è uno dei brani più ottimisti e accessibili della band, con un groove rilassato e un sound più leggero rispetto ai loro soliti toni cupi. L’EP Jar of Flies segna una deviazione verso sonorità più acustiche, e “No Excuses” rappresenta perfettamente questa transizione. Le armonie vocali tra Staley e Cantrell sono impeccabili, e il testo affronta le complessità delle relazioni e delle responsabilità personali, mostrando una band capace di esplorare nuovi territori musicali senza perdere la loro identità.
Nutshell
Nutshell è una delle canzoni più tristi e introspettive degli Alice in Chains, con un testo che riflette sulla solitudine, sulla lotta contro la dipendenza e sul desiderio di trovare una via d’uscita dal dolore. L’accompagnamento acustico e la voce struggente di Staley creano un’atmosfera intimista e quasi catartica. Il brano è stato interpretato come una confessione personale di Staley riguardo alle sue lotte con la droga e la depressione, rendendolo un pezzo profondamente toccante e significativo per i fan.
Heaven Beside You
Heaven Beside You è uno dei pezzi più melodici e accattivanti della band, scritto principalmente da Jerry Cantrell. Il brano, con il suo sound acustico e il testo che affronta la fine di una relazione, rappresenta una riflessione sulla difficoltà di accettare il cambiamento e il dolore che ne deriva. Il contrasto tra il tono calmo delle strofe e il ritornello più aggressivo crea una dinamica affascinante, e il brano ha dimostrato la capacità della band di bilanciare introspezione e potenza.
Angry Chair
Angry Chair è un altro esempio della capacità degli Alice in Chains di trattare temi oscuri con un sound potente e memorabile. Scritta interamente da Layne Staley, la canzone riflette la sua lotta personale con la dipendenza, con immagini cupe e oniriche che evocano un senso di isolamento e sofferenza. Il riff pesante e ipnotico e la voce dolente di Staley rendono questo brano uno dei più rappresentativi del periodo di Dirt, un vero e proprio capolavoro di introspezione.
I Stay Away
I Stay Away è una delle canzoni più sperimentali degli Alice in Chains, con l’aggiunta di strumenti orchestrali e un arrangiamento complesso che si discosta dalle loro tipiche sonorità. Il brano ha un tono quasi etereo, con una melodia che alterna momenti di calma e tensione, culminando in un finale esplosivo. Il testo suggerisce il desiderio di fuggire dalle situazioni negative e di evitare le tentazioni, un tema ricorrente nella musica della band.
Bleed the Freak
Bleed the Freak è uno dei pezzi più potenti del loro album di debutto Facelift. La canzone esplora il tema dell’oppressione e dell’emarginazione, con Staley che si rivolge ai critici e agli ipocriti. Il brano è caratterizzato da un sound cupo e pesante, con un ritmo avvolgente che mette in evidenza il contrasto tra la rabbia e la vulnerabilità. Bleed the Freak è un pezzo essenziale per comprendere l’identità della band nei loro primi anni, dove si manifesta il loro spirito di ribellione.
In conclusione
Queste dieci canzoni rappresentano il cuore e l’anima degli Alice in Chains, una band che ha saputo trasformare il dolore personale e collettivo in musica potente e profondamente toccante. La voce unica di Layne Staley, le chitarre ipnotiche di Jerry Cantrell e i temi oscuri esplorati nelle loro canzoni hanno reso la band una delle più influenti della scena grunge e del rock alternativo. La loro musica continua a risuonare, dimostrando la profondità e la complessità di una delle band più iconiche degli anni ’90.
Il loro sound distintivo – caratterizzato da armonie vocali dissonanti, riff potenti e testi profondamente malinconici – ha influenzato numerose band e continua a ispirare musicisti di ogni genere. Gli Alice in Chains rappresentano non solo il lato più oscuro del grunge, ma anche un esempio di resilienza e capacità di rinascita in un mondo musicale in continua evoluzione. Nonostante le tragedie personali e i momenti difficili, la loro musica è sopravvissuta, diventando un pilastro del rock moderno.