Avril Lavigne: con “Love Sux” il perfetto ritorno alle origini della madrina del pop punk
Venerdì 25 febbraio esce per l’etichetta di Travis Barker il nuovo album della cantante canadese: l’abbiamo ascoltato in anteprima
Altro che secondo album. Per gli artisti di lungo corso il vero scoglio è quello del secondo decennio di carriera: tramontato l’hype della scena che li ha consacrati al successo, si pone il problema di trovare il proprio spazio artistico in un panorama musicale radicalmente diverso, quando non apertamente schivo rispetto a ciò che è considerato “roba vecchia”. Il ricambio generazionale è un’arma a doppio taglio.
Il caso di Avril Lavigne è paradigmatico. Dopo aver scritto la storia del genere pop punk a inizio millennio, negli anni ’10 a livello di sound e identità artistica ha proceduto più o meno per tentativi (sempre di buon livello, occorre riconoscerlo), senza mai sfruttare fino in fondo il suo vecchio status di reginetta della scena. Ma adesso succede l’opposto: infatti quale occasione migliore del recente revival del pop punk per ripresentarsi come autorevole “sorella maggiore” per quegli artisti che oggi ripescano quell’attitudine?
È quello che accade col nuovo album Love Sux (DTA Records / Elektra / Warner Music), in uscita venerdì 25 febbraio. Il disco – il suo settimo lavoro di inediti, contenente 12 brani – segna un vero e proprio ritorno alle origini per l’artista canadese, che per l’occasione sfodera tutte le vibe primi anni Duemila (nel songwriting, nel sound) di cui è indubbiamente maestra.
Avril Lavigne: una parabola ventennale
Avril Lavigne esplose nell’ormai lontano anno palindromo 2002. Allora frequentavo le medie. Fu un fenomeno altamente polarizzante: da un lato la compagna di classe introversa che da un giorno all’altro iniziò a indossare pantaloni saggy, cinture borchiate e catenine; dall’altro la schiera dei “veri rockettari” che ne disdegnava le pose commerciali (così come dei coevi Blink-182, per esempio, altra band oggi considerata di indiscusso valore).
In ogni caso era impossibile sfuggire a Complicated e Sk8er Boi, che erano un po’ dei “guilty pleasure” perché in fondo non cambiavamo canale quando passavano su MTV (che nostalgia rivedere oggi quei video!).
Da allora di tempo ne è passato parecchio, la ragazza ribelle si è fatta donna (anche se non sembra invecchiata di un anno, bisogna ammetterlo). Perciò un album come il precedente Head Above Water era un lavoro “maturo” nel senso pieno del termine: rifletteva i sentimenti e l’esperienza di una donna non più giovanissima che si rivolge alle sue coetanee. Era un buon disco, molto vario, ma con una produzione essenzialmente pop alla OneRepublic.
Ecco perché parliamo di ritorno alle origini in riferimento a Love Sux: qui la tendenza da teenager non è tenuta a freno ma anzi sprigionata in tutto il suo potenziale. Chitarra, basso e batteria, poi, la fanno da padrone, come succedeva una volta. I tempi sono maturi affinché una figura come quella di Avril Lavigne possa avere un rispetto trasversale. E meno hater: fenomeno che, come dicevamo, ha segnato la prima parte della sua carriera. In questo è parallela alla recente rivalutazione del nu metal, guarda caso un genere dello stesso periodo.
Le tracce dell’album
Precisiamo una circostanza fondamentale: Love Sux esce per la DTA Records, etichetta fondata da Travis Barker. Il batterista dei Blink-182 negli ultimi anni si è ritagliato un ruolo da mentore per tutta la nuova scena di ascendenza pop punk. A partire dal “pezzo da 90” Machine Gun Kelly, di cui è produttore. Non è quindi casuale che il tocco del “deus ex machina” Barker dia ad Avril Lavigne le credenziali per riscoprire le proprie radici musicali e riproporsi in grande stile come madrina del genere.
Dodici brani, quasi tutti di durata inferiore ai 3 minuti: in questo è molto punk. I tre featuring presenti sono tutto sommato prevedibili, con una precisione quasi geometrica: il già citato Machine Gun Kelly (come riferimento della nuova generazione) in Bois Lie, blackbear (cantautore “emo” in ascesa) in Love It When You Hate Me e il bassista e cantante dei Blink-182, Mark Hoppus (come riferimento della vecchia guardia), in All I Wanted.
C’è un certo forzato gusto naif nei titoli, fra voluti errori di ortografia (Bois Lie e la stessa Love Sux) e un generale giovanilismo (Bite Me, F.U., Love It When You Hate Me). Sui testi non c’è molto da dire: mal d’amore con un tocco di empowerment femminile (“You did me dirty, now I’m gone, I’m living life without you / I just wrote a song, it goes, ‘I don’t give a fuck about ya’”, da Cannonball; “Boys lie, I can too / Revenge is my sweet tooth”, da Bois Lie; “Just face it, we didn’t make it / You bit off more than you can chew, can you taste it?”, da Bite Me; e così via).
Fa eccezione Avalanche, che sostanzialmente tratta il tema della salute mentale: “I say that I’m just fine, but I don’t feel alright on the inside / I say that I’m okay, but I don’t feel okay right now, no”. Un retaggio della sensibilità “emo” riadattato ai tempi.
La sua voce mantiene intatta quella qualità squillante che l’ha resa celebre. Addirittura in certi momenti dell’album, come appunto in Bite Me e Avalanche, sembra di sentir cantare Halsey: stesso timbro, stesso impeto pop rock. Il che è certamente un bene: Avril Lavigne dimostra di poter “gareggiare” alla pari anche con artiste di 10 o 15 anni più giovani.
A tutti gli effetti, grazie a un album come questo oggi Avril sembra avere le carte in regola per conoscere un autentico, forte ricambio generazionale della sua fanbase, cosa preziosissima per un’artista dalla carriera lunga come la sua.
La copertina di Love Sux di Avril Lavigne
Tracklist
- Cannonball
- Bois Lie (feat. Machine Gun Kelly)
- Bite Me
- Love It When You Hate Me (feat. blackbear)
- Love Sux
- Kiss Me Like The World Is Ending
- Avalanche
- Déjà Vu
- F.U.
- All I Wanted (feat. Mark Hoppus)
- Dare to Love Me
- Break of a Heartache