Depeche Mode, “Songs Of Faith and Devotion” compie 30 anni: cinque curiosità sul disco che ha rischiato di far sciogliere la band
In attesa di Memento Mori che uscirà questo venerdì, festeggiamo il compleanno di uno degli album più importanti della band di Dave Gahan
Il 22 marzo 1993 usciva Songs Of Faith and Devotion dei Depeche Mode, l’ottavo album in studio della band. A questo disco era era stato affidato l’ingrato compito di ripetere lo strepitoso successo ottenuto dal precedente, Violator (1990). Ovvero l’album di Personal Jesus e Enjoy The Silence, che aveva definitivamente trasformato Dave Gahan, Martin Gore, Andy Fletcher e Alan Wilder in delle star mondiali.
Alla fine del World Violation Tour la band era sul tetto del mondo. Ma l’enorme successo ottenuto aveva stremato il gruppo sia dal punto di vista fisico che da quello psicologico. Non fu facile rimettere insieme i pezzi per tornare a registrare nuove canzoni. Le sessioni di registrazione furono particolarmente stressanti e faticose a causa dei continui contrasti tra i membri della band. Ma anche i cambi di location e i crolli psicofisici dovuti all’acuirsi di alcune dipendenze. “Ho lottato, lottato, lottato e lottato… è stato come tirare i denti” dichiarò alla fine il produttore Mark Ellis (in arte Flood). Già all’opera con la band sul capolavoro precedente.
Come se non bastasse, nel 1993 il panorama musicale era completamente cambiato rispetto al 1990. Nel mezzo c’era stato il terremoto grunge innescato da Nevermind dei Nirvana (1991). Ragion per cui il suono sintetico dei Depeche rischiava di essere messo da parte se non si fosse ibridato e rinnovato ulteriormente. Come in effetti farà, grazie soprattutto alla spinta di un Dave Gahan fortemente determinato a dare un imprinting più “rock”. Ecco allora cinque curiosità sul disco che ha quasi rischiato di far sciogliere la band.
Cinque curiosità su Songs Of Faith and Devotion dei Depeche Mode
1. In Your Room – La dipendenza di Dave Gahan
Pur avendo cercato di tenerla nascosta, l’abitudine all’eroina di Dave Gahan – che tormentò tutta la registrazione dell’album – fu abbastanza evidente fin da subito. Quando il gruppo si riunì per andare in studio il frontman era ormai diventato magrissimo e completamente irriconoscibile. Il ragazzo inglese con la faccia pulita e il ciuffo ingellato non esisteva più. Ora era una sorta di Gesù Cristo del rock con i capelli lunghi e il fisico pesantemente debilitato, interamente ricoperto di tatuaggi.
Dopo la separazione dalla moglie, Gahan si era trasferito a Los Angeles e si era lasciato andare a una nuova vita di dissolutezza insieme alla nuova compagna -Teresa Conroy – e ad alcuni membri dei Jane’s Addiction. “Ho pensato consapevolmente che non ci sono più rockstar del cazzo là fuori”, aveva dichiarato a NME. “Nessuno era disposto ad andare fino in fondo per fare questo. Così ho creato un mostro… e ho trascinato il mio corpo nel fango per dimostrare che potevo farlo”.
Buona parte delle sessioni di registrazioni le ha passate chiuso in stanza a farsi di eroina di nascosto. “Per la maggior parte del tempo entravo e uscivo sporadicamente dallo studio, buttavo giù qualche idea e poi tornavo a chiudermi nella mia stanza”.
Alla luce di ciò, un brano come In Your Room, pur essendo scritto (come tutti gli altri) da Martin Gore – che nel frattempo stava affrontando i demoni dell’alcol – diventa particolarmente rappresentativo di questa condizione. Il testo sembra quasi un flusso di coscienza paranoico che rende bene lo stato di alienazione e di alterazione mentale generato dalle droghe, tracciando una sorta di parallelo metaforico tra una relazione tossica, un amore disfunzionale e la dipendenza. “Nella tua stanza / Dove il tempo si ferma o si muove secondo il tuo volere / Lascerai che il mattino arrivi presto / O mi abbandonerai disteso qui?”
2. Tutte mie le città
I Depeche Mode sono famosi per la loro abitudine a registrare i loro album in diverse città in modo da farsi influenzare dallo “spirito” del luogo. Dopo la trilogia berlinese – composta da Construction Time Again (1983), Some Great Reward (1984) e Black Celebration (1986) – ad esempio, hanno registrato Music For The Masses (1987) a Parigi. Violator (1990), invece, tra la Danimarca settentrionale e Milano. Per Songs Of Faith and Devotion hanno cambiato tre città. Prima Madrid, dove hanno tentato l’esperimento fallimentare di vivere insieme in una sorta di casa residenziale trasformata in studio di registrazione. Quello che sulla carta doveva essere un modo per unire la band si rivelò invece un completo disastro per via delle tensioni e del clima claustrofobico generato dalla condivisione degli spazi privati.
In seguito si spostarono presso gli studi Chateau Du Pape di Amburgo, dove un ambiente di lavoro più canonico rese le session nettamente più proficue con otto brani completati in sole sei settimane. Infine il disco è stato ultimato a Londra, dove con un processo uguale e contrario a quello che verrà usato dai Radiohead in Ok Computer e Kid A, hanno applicato la tecnologia “per assicurarsi di ottenere tutte le dinamiche di una performance umana. Tutti quei piccoli cambiamenti di tempo che fanno sentire qualcosa di umano”.
3. Artisti esterni
Un elemento di novità rispetto al passato è stato l’impiego di artisti esterni. Per la prima volta nella loro storia, i Depeche Mode si sono avvalsi di altri musicisti che hanno dato un contributo significativo allo sviluppo dei brani. Per esempio, l’introduzione di Judas è stata arricchita dalle cornamuse del polistrumentista irlandese Steafan Hannigan. Capace di infondere un senso di estrema solennità a tutto il brano. Una solennità ribadita anche dall’aggiunta finale di un coro di 90 voci combinate come se fossero state registrate in una chiesa e realizzato grazie a un cast improvvisato di operatori, segretarie e personale di cucina dello studio.
In Get Right With Me, invece, Dave Gahan è affiancato alla voce direttamente da un trio di cantanti gospel. Bazil Meade, Hildia Campbell e Samantha Smith, che conferiscono al brano un’atmosfera ancora più messianica.
Infine in One Caress, cantata da Martin Gore, oltre all’eccezionalità del suo tenore tremolante, abbiamo l’accompagnamento di una sezione d’archi di 28 elementi arrangiata da Wil Malone. Appositamente scelto dai Depeche Mode per il suo lavoro su Unfinished Sympathy dei Massive Attack.
4. Il simbolismo religioso nei video di Anton Corbijn
Per i video ufficiali di Songs of Faith and Devotion, il famoso regista e fotografo rock olandese ha scelto di fare leva sull’immaginario religioso dell’album. Per questo nel video del primo singolo estratto – I Feel You – Martin Gore e Dave Gahan si esibiscono davanti a una chiesa abbandonata. Nell’ambiente interno la protagonista femminile scopre un dipinto su cui è raffigurata la crocifissione di Gesù.
In quello di Walking in My Shoes c’è una sorta di discesa all’inferno dei Depeche Mode. Le immagini sono intervallate da personaggi ambigui simili a suore e sacerdoti o uomini sciamanici dalla testa d’uccello che ricordano quelli dei dipinti infernali di Hieronymus Bosch. Sullo sfondo si intravede una montagna con intorno un cielo fiammeggiante e lo stesso Gahan ha il volto costantemente illuminato da una luce rossa, come una figura demoniaca.
Il simbolismo teologico raggiunge, infine, il massimo dell’ambiguità nel video di Condemnation. Assistiamo infatti a una sorta di marcia funebre, con Dave Gahan che canta in mezzo a una processione di figure incappucciate, fino al raggiungimento di una donna alla quale viene incatenato.
5. Canzoni di fede e devozione
La ragione di questo simbolismo è da ricercare nei testi delle canzoni che mescolano luci e ombre della fede – e della devozione – religiosa con quelle della fama e del successo, dando vita a un miracolo oscuro.
C’è un peccatore che non chiede perdono, ma soltanto di mettersi nei suoi panni (Walking in My Shoes). Una condanna ingiusta come quella di “un Gesù Cristo sulla croce” (Condemnation). La misericordia di Mercy In You. Il tradimento di Judas e la conseguente espiazione dei peccati attraverso il sacrificio. (Il percorso più difficile è sempre il più sacro / Allora cammina a piedi nudi per me, patisci un po’ di sofferenze / Se vuoi il mio amore).
C’è persino una carezza del papa al contrario che porta verso l’oscurità eterna (One Caress), perché quella è la cosa che i Depeche stanno affrontando:
“Solo una carezza da te e io sono beato / Sto rifuggendo dalla luce / Ho sempre amato la notte / Ed ora tu mi offri l’oscurità eterna / Devo per forza credere che il peccato possa rendere migliore un uomo / È lo stato d’animo in cui mi trovo”
Infine c’è la redenzione di Higher Love – la traccia finale del disco –con cui la band ritrova una nuova fiamma nel cuore e nell’anima. “Mosso, la mia anima è in fiamme / Mosso, da un amore elevato / Cedo ogni controllo al desiderio che mi consuma interamente / E mi conduce per mano verso l’infinito”.
Nonostante tutte le difficoltà incontrate nella realizzazione di Songs Of Faith and Devotion, quello che ne è venuto fuori è un disco che a trent’anni di distanza mantiene ancora intatto il suo fascino oscuro. Un disco che traccia un percorso di caduta e rinascita, l’album di un gruppo che precipita tra le fiamme dell’inferno e si rialza come una fenice.
Articolo di Andrea Pazienza