Rock

Gianluca Grignani, 50 anni da vera rockstar. «Il mio più grande rimpianto? Non essere rimasto in America»

Il rocker milanese si è raccontato, tra rimpianti e bei momenti, tra eccessi e tenerezza. Ci ha raccontato del suo rapporto con le case discografiche, con il web, e il rock (“più vivo che mai”)

Autore Benedetta Minoliti
  • Il7 Aprile 2022
Gianluca Grignani, 50 anni da vera rockstar. «Il mio più grande rimpianto? Non essere rimasto in America»

Gianluca Grignani, foto di Daniele Cardone per agenzia Roma Press

Una rockstar tra eccessi e tenerezza. Sono le prime parole che mi vengono in mente pensando a Gianluca Grignani. Il rocker milanese, che oggi compie 50 anni, è riuscito a toccare con la sua musica tantissime generazioni, da quella dei millennials fino ai boomer, passando anche per i più giovani, che lo hanno scoperto grazie alla sua esibizione a Sanremo 2022 con Irama.

E nonostante le critiche e l’ironia spesso fuoriluogo, Gianluca Grignani non ha mai perso la grinta e il desiderio di continuare a raccontarsi attraverso la musica. Con un nuovo singolo in arrivo e una trilogia, a cui lavora da cinque anni, il cantante ha ripercorso insieme a noi questi cinquant’anni incredibili, fatti di musica, qualche rimpianto e soddisfazioni.

La nostra intervista a Gianluca Grignani

Come vivi il tuo compleanno?

Non lo vivo più come il giorno più bello dell’anno da quando ero bambino e lo aspettavo con ansia. Prima adoravo la primavera, ma dopo il Covid mi mette un po’ ansia. Festeggerò con gli amici e i colleghi, ma verso fine aprile. Per oggi invece mi sono fatto fare una torta, con una frase che non ti posso rivelare, che sarà il leitmotiv della festa. E sarò da solo: voglio essere io e la torta.

Insomma, alla fine hai deciso di festeggiare da solo.

Guarda, la verità è che ho lavorato tantissimo per l’uscita del nuovo singolo, A Long Goodbye, che arriverà il 22 aprile. Prendo questo giorno come il riposo del guerriero, per stare con me stesso e dirmi “fin qui ci sei arrivato”. Perchè è stata una piccola guerra, tra lo studio nuovo e il voler far capire alla gente quello che sto facendo, a differenza di com’è stato con La fabbrica di plastica. Sono andato oltre anche ‘sta volta, ma cercando di essere comprensibile. Spero che questo nuovo lavoro lo capisca subito il pubblico e non dopo anni.

E questo nuovo brano farà parte di un progetto più ampio, giusto?

Sì, farà parte di una trilogia che si intitola Verde smeraldo. Il primo album uscirà dopo settembre. È un progetto con una gestazione importante, l’ho iniziato anni fa, e credo che questo singolo mostrerà la direzione che ho preso e quanto io abbia girato la “manovella della comprensione”.

Sei tornato a Sanremo quest’anno con Irama. La vostra è stata una delle esibizioni più belle e sincere, ma anche la più criticata.

Più che la critica ho vissuto il risultato, abbiamo avuto un successo tremendo. Tra l’altro di recente mi hanno detto che piaccio molto al “popolo urban”, ai più giovani, e questa cosa mi fa davvero piacere. Vuol dire che ho seminato bene e salendo su quel palco ho aperto un varco. Sono come Noè: quando sono arrivato si sono aperte le acque.

Al Festival prima di arrivarci come ospite ci sei stato sei volte in gara. Hai un ricordo particolare del tuo primo Sanremo, così importante per la tua carriera?

Ne ho tanti. A Sanremo però non ho mai avuto un grande successo finché non ci sono andato come ospite, pensa te. Il successo è arrivato dopo. Comunque, penso a La mia storia tra le dita, quando sono passato dalla mia cameretta a Sanremo. Poi, credo che il Festival de Il giorno perfetto sia stato il più importante, perché portavo un brano a cui sono molto legato e che è dedicato al pubblico. L’ultimo Sanremo mi ha fatto capire che non devo andare in gara (ride, ndr.).

Ma hai un rimpianto che riguarda la tua carriera?

Sì, uno c’è. Quando sono stato per un anno negli Stati Uniti per Campi di Popcorn mi chiesero di rimanere, continuando a lavorare scrivendo in inglese, perché c’erano delle possibilità per me. Io ho detto di no. Non credo di essere stato codardo, ma ho pensato che in Italia ci fosse bisogno di me come musicista. Alla fine ho pensato che l’avrei fatto in futuro, perché stavo avendo già successo in Sud America, ma non è stato così. Chissà, magari un giorno…

E invece qualcosa che hai fatto di cui vai fiero?

La mia musica e la mia coerenza, nella mia incoerenza personale. Sono fiero del musicista e dell’uomo che sono. Sai, non ho paura di morire, ma ho tante cose da dire e da fare e vorrei riuscirci. Poi, sono cambiate tante cose negli ultimi anni: mi sono dedicato tanto alla musica a discapito delle mie cose personali, ma sono tornato a lavorare su me stesso com’era giusto che fosse. Devo dire che ho proprio vissuto delle fasi con la mia musica: ho vagito, poi mi sono fatto sentire gridando, perché non mi ascoltava nessuno, e adesso sono più maturo… ma continuo a gridare.

A proposito di adolescenza, la mia generazione ti ha scoperto con L’Aiuola, un brano che ha sicuramente segnato la tua storia artistica.

Vedi, sono generazionale! Mi fa un po’ ridere, ma mi fa piacere aver toccato tutte le generazioni. Forse paradossalmente quella che ho raggiunto meno è la mia, pur avendo avuto un successo tremendo.

Gianluca Grignani: «Dopo Dio la rete è la più grande rockstar che sia mai esistita»

Una leggenda, ma anche un antidivo, no? Anche se all’uscita de La fabbrica di plastica hai raccontato a La Repubblica che non ti interessava esserlo.

Io sono l’antidivo per eccellenza! C’è anche chi dice che sono l’ultima rockstar, ma ho capito che non mi interessa troppo quello che si dice su di me, bello o brutto che sia, perchè ci pensa il tempo a spiegare tutto. Sono un antidivo perchè vengo dalla generazione del grunge, che mi ha insegnato ad essere contro il sistema. Ho criticato spesso la società e la discografia, e adesso sono libero, anche se chiaramente sono figlio anch’io dell’era del computer e questo mi rende molto attuale.

E a proposito dell’industria, la trovi ancora più “plasticosa” di vent’anni fa?

È più soggetta a quello che l’artista decide. Allo stesso tempo, però, soprattutto gli artisti giovani, si fanno “usare” di più. Le discografiche non sono da demonizzare, ma non c’è ancora equilibrio. Credo che ci sarà un cambiamento quando il web riuscirà a liberare gli artisti, perché adesso siamo ancora succubi dell’essere nel medioevo della rete. Vedi soltanto quanti leoni da tastiera ci sono e quanti deficienti possono parlare. Credo che la rete ad un certo punto si educherà da sola.

Spiegami meglio.

Credo ci siano tre cose che hanno davvero cambiato il mondo: Gesù Cristo, la musica dei Beatles e dei Rolling Stones e la rete. Ecco, forse dopo Dio la rete è la più grande rockstar che sia mai esistita.

La rinascita del rock e I bei momenti

E invece cosa pensi della rinascita del rock?

Non posso che esserne contento. Quando sono andato alla festa per il disco di Irama ho incontrato tantissimi artisti, tra cui Blanco e Rkomi, e ad alcuni ho detto che mi farebbe piacere andare a vederli. Ci sono rimasti, ma a me piacerebbe anche produrli. Penso che il rock rappresenti il popolo, e non capisco davvero chi dice che è finito, io non l’ho ancora visto morire da quando è nato, semplicemente è passato attraverso le generazioni.

Ne I bei momenti dici “e se i bei momenti fossero di più / ma le paranoie sono un poker contro un full”. Racconta bene la dualità tra felicità e ansia.

Esatto. Questa canzone è nata prima del Covid, fa parte di quelle 60/70 che ho scritto e tra cui dovrò scegliere per i tre dischi che usciranno. Mi sono reso conto di essere in anticipo con i tempi e di essere empatico con i momenti che vivo. Credo che racconti bene anche quello che abbiamo vissuto e che spero non rivivremo più.

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