Atterraggio morbido sul pianeta Terra: intervista ai Thirty Seconds to Mars
Benvenuti nel mondo di Jared Leto e dei Thirty Seconds to Mars, una dimensione dominata dall’osmosi continua fra reale e immaginario, vita e spettacolo, musica e cinema, proiettata verso lo spazio interplanetario ma oggi più che mai saldamente congiunta con il pianeta Terra, precisamente con il paese a stelle e strisce
Verso metà dell’intervista capita il più prosaico degli imprevisti: proveniente da un camerino vicino, il rumore di un lungo sciacquone interrompe la chiacchierata con Jared e Shannon Leto, frontman e batterista dei Thirty Seconds to Mars, che incontriamo qualche ora prima del live nella tappa bolognese del loro Monolith Tour. Jared – premio Oscar e Golden Globe come miglior attore non protagonista in Dallas Buyers Club – non perde occasione per regalarci un assaggio delle sue qualità attoriali, calandosi subito nella parte. Sguardo fisso, voce bassa e lenta, tempismo perfetto: «Magari qualcuno è nella stanza accanto che si lava via del sangue dalle mani dopo aver commesso il delitto perfetto…».
Benvenuti nel mondo di mr. Leto e dei Thirty Seconds to Mars, una dimensione dominata dall’osmosi continua fra reale e immaginario, vita e spettacolo, musica e cinema, proiettata verso lo spazio interplanetario ma oggi più che mai saldamente congiunta con il pianeta Terra, precisamente con il paese a stelle e strisce. America è infatti il titolo del nuovo album della band, il quinto della sua discografia in studio. Non un vero e proprio concept ma una dichiarazione d’amore per il proprio paese in un’epoca di grandi – e spesso controversi – cambiamenti. Non a caso il disco si lega all’uscita (prevista per l’estate) del documentario A Day in the Life of America, diretto dallo stesso Jared, in cui si vuole dare un ritratto degli USA con video realizzati in tutti e cinquanta gli stati nell’arco di un solo giorno – significativamente il 4 luglio dell’anno scorso.
Fuori dal palazzetto – siamo all’Unipol Arena di Bologna – sin dalle prime ore del pomeriggio ha cominciato a formarsi la lunga coda dei fan in attesa dell’apertura dei cancelli. La maggior parte di loro avrà, a occhio, fra i 16 e i 25 anni (anche se non mancano spettatori più âgé) e per molti è la terza o quarta volta che vanno a un concerto dei Thirty Seconds to Mars. Non male un pubblico così fresco e giovane per un gruppo con oltre quindici anni di attività alle spalle: il ricambio generazionale c’è stato. Insieme alla loro audience si è rinnovato anche lo stile musicale e, curiosamente, anche i fan più giovani sostengono di essere affezionati più al “vecchio” sound (come quello di una From Yesterday, all’epoca in cui i Thirty Seconds to Mars venivano assimilati all’ondata emo di metà anni ’00) che al massiccio uso di sintetizzatori e sequenze che caratterizza la produzione di America. In realtà, a un ascolto attento, l’iter discografico e creativo della band ha sempre seguito una direzione assai chiara, in cui ogni mutamento è stato dettato da una necessità di adattamento ai tempi che cambiano: evoluzione, non rivoluzione. Così, in un panorama musicale in cui acquista sempre più peso la scena EDM, il gruppo trova congeniale un tipo di sonorità elettronico piuttosto che elettrico e “chitarra-centrico” come quello degli esordi, pur mantenendo intatto quel senso di epicità nei brani che ha sempre caratterizzato la sua produzione.
Quando alla fine della nostra chiacchierata chiedo loro di dirci tre album che hanno segnato la loro vita, infatti, le scelte cadono sui grandi classici: «Direi The Wall dei Pink Floyd: cinematico, grandioso, ti porta in un’avventura – attacca Jared – Poi magari Led Zeppelin II, che per me è stato l’inizio di tutto, è così cupo». Per il terzo, «magari uno di una band chiamata Thirty Seconds to Mars», scherza Shannon. «Ci metterei poi qualcosa come Rumours dei Fleetwood Mac – conclude il frontman – È un disco di grande ispirazione per noi, lo ascoltiamo spesso. Ma anche Thriller di Michael Jackson, Purple Rain di Prince… Adesso ne hai sei fra cui scegliere!». Ma torniamo all’inizio. Dopo esserci seduti, con notevole senso pratico Jared mi interrompe subito perché qualcuno sta parlando a voce troppo alta fuori dalla porta e potrebbe disturbare l’audio delle riprese. Si alza Shannon stesso: «Hey, can you guys be quiet? We’re doing television!». Risata di tutti, si può partire.
Il nuovo album dei Thirty Seconds to Mars, America, arriva cinque anni dopo l’uscita del precedente Love, Lust, Faith and Dreams. Dalla vostra prospettiva come sono cambiati la musica e il mondo da allora?
[Jared] È cambiato molto. L’ultima volta che siamo usciti con un album non c’era una cosa chiamata Snapchat o gente che usava Uber, avevamo un altro presidente e il mondo era un posto diverso. È incredibile quello che succede nel giro di cinque anni. Le nostre vite sono cambiate completamente. Anche la nostra musica è cambiata molto. Ed eccoci qui di nuovo in tour.
Il video di Walk on Water è un estratto del documentario in arrivo A Day in the Life of America. Quale immagine degli Stati Uniti volevate dipingere con questo lavoro? E cosa rappresenta per voi l’America?
[J] Abbiamo fatto questo documentario che è un ritratto degli Stati Uniti in un solo giorno: il 4 luglio, una ricorrenza importante per noi e una celebrazione del nostro paese. Abbiamo girato questo film provocatorio, bellissimo, sorprendente, controverso e stimolante che riguarda noi tutti in un periodo molto importante per gli USA. Un periodo di grande cambiamento e di grande incertezza, instabilità, ma comunque incredibile. È un tempo pieno di possibilità e di speranza. Uscirà probabilmente a luglio di quest’anno. Lo stiamo editando proprio ora. L’album America è un complemento del film e le canzoni del disco saranno la sua colonna sonora.
Ci sarà un video anche per Dangerous Night?
[J] Spero proprio di sì. Siamo stati così impegnati che non abbiamo avuto modo di girare un video per il momento, ma lo spero.
In Dawn Will Rise dite: “I must change or die”, che è essenzialmente il principio base della teoria dell’evoluzione di Darwin. Pensate che questo concetto si applichi anche alla musica?
[Shannon] Penso di sì. È importante cambiare sempre ed essere sempre desiderosi di crescere ed evolversi. Tutto è in movimento quindi tu devi esserne parte. Se rimani fermo sei semplicemente morto.
Dai tempi in cui avete cominciato come Thirty Seconds to Mars il panorama musicale è cambiato in maniera piuttosto drastica: non ci sono molte band nelle classifiche oggigiorno. Cosa significa suonare e andare in tour in quanto band nel 2018?
[J] La musica cambia costantemente. Ci sono stili diversi che vengono e vanno. È vero, non ci sono molte band oggi, esistono forse più artisti solisti come DJ e rapper. Non so, in realtà non ci penso molto. Ma sono davvero contento di fare ancora musica e di andare in tour. Quest’album è come un nuovo inizio, una specie di primo album in un certo senso.
Avete sempre avuto un approccio alla musica molto moderno, che ha spesso anticipato tendenze successive. Come si fa innovazione in musica? E come si lega all’innovazione culturale e tecnologica?
[J] Come si crea innovazione in musica? Credo che tu debba essere desideroso di infrangere qualche regola, di lasciarti alle spalle il passato – se ne hai uno. Devi semplicemente percorrere un sentiero diverso. Non devi avere paura di fallire o di deludere le aspettative di alcune persone. Ho sempre ammirato quello che diceva Steve Jobs. Citando Henry Ford, quando quest’ultimo parlava dell’automobile ai tempi in cui veniva presentata alla gente, diceva: “Se avessi chiesto alle persone cosa volessero a quel tempo, mi avrebbero risposto: un cavallo più veloce”. Quindi penso che a volte sia importante scommettere sul tuo istinto. Spesso le persone non sanno cosa vogliono e ti contrasteranno con tutte le forze per poi realizzare di aver capito quello che dicevi. Lo vediamo praticamente sempre con ogni innovazione. Tutte le innovazioni attraversano un periodo di sfida e di fallimento quando non vengono accettate. Lo puoi vedere nella scienza, nell’arte, in politica.
La vostra musica è sempre stata molto epica e cinematica: il cinema ha influenzato in qualche modo il vostro songwriting? Persino il nome della band suona molto cinematico.
[J] Abbiamo alcune canzoni su questo nuovo album che senz’altro sono state influenzate da lavori fatti per le colonne sonore. Ho sempre amato Ennio Morricone: la colonna sonora de L’ultima tentazione di Cristo (in realtà è di Peter Gabriel, ndr), di The Mission, di C’era una volta in America, de Il Padrino (soundtrack di Nino Rota, ndr). Ha fatto colonne sonore incredibili e ne sono sempre stato ispirato. E lo sono ancora: che si tratti di Trent Reznor, di Hans Zimmer (come in Interstellar), dei Daft Punk o dei Tangerine Dream. Penso che tutto ciò trovi il suo spazio all’interno dei Thirty Seconds to Mars. C’è questa sensibilità cinematica: per esempio abbiamo una canzone che si intitola Monolith, con cui apriamo i concerti del tour tutte le sere, e scherzando diciamo che suona alla “Hans Reznor” o alla “Trent Zimmer”. Mi piace fare questo tipo di musica. Piace a tutti noi e ci divertiamo sul palco.
Ho letto che per This Is War avevate inizialmente qualcosa come 120 canzoni. Quanto materiale avevate quando avete iniziato a lavorare su questo nuovo album?
[S] Davvero tanto. Abbiamo una canzone che è in ballo da 10-12 anni.
[J] Sì, dal 2008. Si intitola Rescue Me. Cominciammo a lavorarci allora, ai tempi di This Is War, due album fa. C’erano centinaia di canzoni che potevano entrare in questo disco. Abbiamo continuato con il processo di scrittura senza mai fermarci fino a un mese o due prima che ci sentissimo pronti.
Nel corso degli anni avete continuato a “conquistare” nuovi fan e nuove audience, cosa che è probabilmente il principale obiettivo di tutti gli artisti di successo. Qual è il segreto?
[J] Penso che una delle ragioni per cui continuiamo a trovare nuove audience è che non siamo spaventati di superare il passato, ricominciando ogni volta a fare musica che ci suona nuova e diversa. Questo è uno dei motivi. I nostri spettacoli sono pieni di energia e penso che sia divertente ed entusiasmante parteciparvi. O perlomeno lo spero: quello è l’obiettivo. Il fatto è che non scriviamo sempre le stesse canzoni. Proviamo a infrangere le nostre stesse abitudini e innovare.
Che tipo di influenze trovate nella scena EDM?
[J] Quello che trovo di ispirazione nel panorama EDM è che si tratta di un nuovo modo di vedere la creazione musicale usando la tecnologia e i sample – cosa che è stata fatta per molto tempo ma oggi i sample si trovano nel cloud e si usano software come Splice. Mi piace l’idea che le persone ballino sulle canzoni e mi piace fare più musica che faccia ballare la gente. È una bella sensazione. Adoro stare sul palco e ballare a mia volta.
[S] E a chi non piace ballare? A te non piace? (ride, ndr)
Voi avete sempre avuto una forte sensibilità per i grandi temi del nostro tempo, come il cambiamento climatico. Quali sono secondo voi le grandi sfide di oggi?
[J] La prima è prenderci cura del nostro pianeta in modo da avere un posto in cui vivere (e sopravvivere), garantendo le risorse naturali e la stabilità del pianeta. La seconda è prenderci cura delle persone e delle specie del pianeta in modo da avere un po’ più di armonia.
[S] E poi prenderci cura di noi stessi in quanto esseri umani, supportarci l’un l’altro.
Durante il South by Southwest Elon Musk ha detto che la navicella che dovrebbe portare l’uomo su Marte potrebbe essere testata nei primi mesi del 2019. Vi piacerebbe realizzare una colonna sonora per un simile evento storico?
[J] Sarebbe sicuramente divertente! Potremmo usare Monolith come traccia appropriata per farlo. Sono d’accordo con Elon quando ha parlato del nostro bisogno di diventare una specie interplanetaria perché non sembra proprio che cambieremo nel futuro prossimo. Continueremo a esaurire le risorse: dovremo trovare altri modi per soddisfare le necessità che abbiamo. E non credo che questo succederà qui, perciò dovremo probabilmente trovare altre risorse su altri pianeti abitabili, prendendo energia, gas e acqua da altri posti. È come guidare una macchina per centinaia di chilometri fino verso un muro di mattoni e non importa se riduciamo la velocità di dieci o venti chilometri orari: comunque ci schianteremo contro il muro. E a meno che non facciamo un’inversione di marcia, probabilmente dovremo trovare altri posti se vogliamo sopravvivere. Ci troviamo in questo periodo storico in cui siamo incredibilmente fortunati a vivere con questo stile di vita. Ma nella mente dell’universo è solo un batter d’occhi.