Quando i giovani Pink Floyd dormirono (e fumarono) a casa di Alice Cooper
È uscita per la prima volta in Italia la biografia “Pigs Might Fly. La vera storia” di Mark Blake. Qui l’estratto su un aneddoto risalente al 1967, quando la band si esibì al Cheetah Club di Los Angeles

Pigs Might Fly. La vera storia è il titolo della biografia sui Pink Floyd firmata da Mark Blake, in uscita per la prima volta in Italia mercoledì 24 settembre per l’editore Il Castello (collana Chinaski). Grazie a interviste con tutti i membri della band e centinaia di amici, collaboratori, parenti e fidanzate, il giornalista inglese ricostruisce la storia di una delle più iconiche rock band mondiali, fra droghe, sperimentazioni artistiche e retroterra personali dei protagonisti.
Non mancano una quantità di aneddoti divertenti: quando Barrett e Gilmour furono arrestati in Francia nel 1965 per aver fatto busking; la leggenda dell’incontro con i Beatles agli Abbey Road Studios, quando – pare – Barrett suonò segretamente in Sgt. Pepper; la volta in cui Gilmour si improvvisò fonico per Jimi Hendrix al Festival dell’Isola di Wight; oppure quando Alice Cooper ospitò a casa sua i Pink Floyd senza un quattrino durante il loro primo tour americano.
Vi presentiamo qui in esclusiva l’estratto del libro in cui si racconta l’incontro fra il diciannovenne Alice, all’epoca cantante di una band chiamata The Nazz, e i Floyd ai loro esordi.
L’incontro fra i Pink Floyd e Alice Cooper
“Probabilmente eravamo le uniche persone a Los Angeles a possedere una copia di The Piper at the Gates of Dawn dei Pink Floyd”, afferma Alice Cooper. Il debutto dei Pink Floyd uscì negli USA alla fine di ottobre del 1967, quando Alice era ancora un Vincent Furnier qualsiasi. Il diciannovenne cantava in una band chiamata The Nazz ed era “fissato con le band inglesi.”
Le strade di Alice e dei Pink Floyd si sarebbero incrociate a poche settimane dall’uscita dell’album. Andrew King, in qualità di tour manager, volò negli USA prima del tour inaugurale americano dei Floyd. Come spiega ora, “Tutto è andato storto fin dal primo giorno.” A San Francisco, King scoprì che i visti di lavoro del gruppo non erano ancora arrivati. Secondo le regole sindacali, un gruppo britannico in visita doveva fare cambio con un gruppo americano in tour nel Regno Unito. In questo caso, si trattava dei Sam the Sham and The Pharoahs.
“Ho dovuto spiegare la situazione al nostro promoter Bill Graham”, racconta King. “Il che mi ha fatto sentire un vero coglione.” Graham, figura formidabile della West Coast americana, non era un tipo con cui scherzare. Aveva organizzato per i Pink Floyd date nei locali e spettacoli in teatro insieme alla band di Janis Joplin, i Big Brother and The Holding Company.
Per colpa dei visti mancanti, le prime sei date sulla West Coast dovettero essere cancellate. “Un furioso Bill finì per buttare giù dal letto l’ambasciatore americano a Londra alle 4 del mattino per risolvere la questione dei visti”, continua King. “La band fu messa sul primo aereo in partenza. Magra consolazione, ho potuto vedere l’Ike and Tina Turner Revue, che Bill aveva chiamato a suonare la prima sera al posto dei Floyd.”
Arrivati negli USA con le sole chitarre, i membri del gruppo si trovarono ad affrontare due grossi problemi. La loro etichetta americana Capitol (“che non aveva una cazzo di idea di noi o della nostra musica”, secondo Peter Jenner) non aveva prenotato l’attrezzatura e la band fu costretta a pregare dei negozi di strumenti locali per farsi prestare il materiale. […] Gli headliner acconsentirono gentilmente a prestare i loro impianti.
Nel Regno Unito, la scena musicale della West Coast era percepita in modo romantico come una controparte della cricca musicale underground di Londra. Sulla scia dei Beatles, qualsiasi band inglese di passaggio incuriosiva la stampa musicale americana. […] Tuttavia, come Waters avrebbe lamentato in seguito, molti artisti di punta della West Coast erano essenzialmente gruppi country-blues. Magari si lasciavano andare a lunghe jam e a qualche canna, ma dal punto di vista musicale erano sorprendentemente conservatori nel sound e nelle influenze. Il mix strabiliante di jazz, beat pop ed elettronica dei Pink Floyd era ben lontano da Janis Joplin. […]
Prima di salire sul palco del Cheetah Club di Santa Monica, alcuni sostengono che Barrett, in un impeto di rabbia, si sia versato sui capelli il contenuto di un tubetto di Brylcreem, in cui aveva schiacciato una manciata di capsule di Mandrax (il barbiturico). Tuttavia, Nick Mason ricorda Syd che applica il gel nei capelli, non i farmaci. Quando gli chiesero che ne pensasse di quella storia, David Gilmour rispose che “non poteva credere che Syd avesse sprecato così dei buoni Mandies.”
Una volta sul palco, si dice che Barrett abbia scordato la chitarra, inducendo Roger Waters a tagliarsi la mano colpendo il basso con rabbia. I Nazz, frequentatori abituali del Cheetah Club, avvicinarono la band dopo lo spettacolo. “I Pink Floyd a Los Angeles erano rimasti senza soldi e finirono per stare da noi un paio di notti”, afferma Alice Cooper. “Avevamo una casa a Beethoven Street, a Venice. Ricordo che una mattina mi sono alzato e c’era Syd che fissava una scatola di cornflakes come io o voi guarderemmo la TV. Era evidente che c’era già qualcosa di molto, molto strano.” “Non credo che avessimo finito i soldi”, lo corregge Andrew King. “Ma ci sentivamo soli e scoraggiati. I Nazz ci invitarono da loro per fumare un po’ di erba. Sono stati incredibilmente gentili con noi quando ne avevamo più bisogno.”