La forza dell’arte su tutto: il rock con i Rolling Stones è ancora eversione
La band, energica come un tempo, ha regalato agli oltre 56mila spettatori un grande show
Mick Jagger e i Rolling Stones ieri sera hanno infiammato un già rovente Stadio San Siro. Hanno reso ancora una volta il rock immortale, dopo 60 anni di intensa carriera.
Rock’n’roll never die! Avevano urlato i Måneskin sul palco dell’Eurovision. Per i più agée sembrò un banale cliché, altri invece lo intesero come un sentito e onesto messaggio d’identità, nell’epoca dominata dall’hip hop/rap/trap.
Eppure questo concetto di immortalità legato al rock è ancora solidissimo, rivedendo sul palco i Rolling Stones. I movimenti senza pausa di un 78enne Mick Jagger (con nuova valvola cardiaca dal 2019) e le perfezioni chitarristiche del coetaneo Keith Richards, senza dimenticarsi le altre pennellate alla chitarra di Ron Wood, 75enne, ovvero i tre rimasti della band.
Ieri sera Mick Jagger ha fatto capire all’umanità occidentale del terzo millennio che esiste ancora una componente magica e non acquistabile per la longevità. Ed è la forza dell’arte. Se l’obbiettivo dell’uomo del prossimo futuro è anche l’eternità – leggetevi il celeberrimo saggio Homo Deus dello storico Yuval Noah Harari – non basteranno le avanzatissime evoluzioni della criogenesi e sofisticate innovazioni nella chirurgia plastica. Quello che fanno gli Stones sembra quasi un atto eversivo, un affronto al mondo dei milionari, dei Musk e dei Bezos, che cercano di fermare il tempo con tutte le forze e le tecnologie a disposizione.
Mick Jagger e i Rolling Stones infiammano San Siro
Con il suo viso scavato dal tempo – esattamente come gli altri tre sodali – Mick Jagger è potente come un neutrone scappato dal CERN. Ancheggia da un parte all’altra del gigantesco palco, vestito di nero e, di canzone in canzone, di coloratissime stampe su seta e altri tessuti preziosi. Jagger ha sedotto i 57mila presenti allo Stadio San Siro con la sua arte, i suoi movimenti e il suo italiano, infaticabile e sexy come Pablo Picasso. E accanto a lui un genio del riff, Keith Richards, meno mobile del compagno, ma riconoscibile al primo accordo. Le sue melodie sono ancora oggi un richiamo selvaggio, ancestrale, profondo per qualunque generazione.
Tutto il concerto è stato magnifico, la voglia di suonare dei Rolling Stones era palpabile, come l’onda sonora che arrivava dagli amplificatori. Per fortuna il volume era alto, come si addice a un concerto rock (non so se qualcuno di voi ricorda le passate odiose diatribe sui decibel a S.Siro, roba da muovere schiere di politici e assessori che non hanno mai ancheggiato su un pezzo rock’n’roll…).
Alla fine anche una scaletta convincente, anche se è impossibile definire “perfetta” una scelta, davanti a una marea di incisioni epocali che la band ha fatto in 60 anni. Dio benedica Alexis Korner e i 45 giri che arrivavano con i soldati USA nei porti inglesi a inizio anni ’60. Non sappiamo cosa sarebbe successo senza questi dettagli fondamentali…
Ma lasciatemi dire della magia di Midnight Rambler, allungata, torrida come il clima di ieri sera e blues come il cuore dei Rolling Stones. E della sempre meravigliosa Gimme Shelter, con le pennellate di Keith che sembrano tsunami al rallentatore e che stordiscono per la genialità, mentre passano immagini delle macerie di Mariupol, sul duetto perfetto tra Mick e la corista Sasha Allen. Sono le uniche macerie a comparire, il resto è solidità rock allo stato puro e noi ne abbiamo goduto per una notte d’estate.