Rock

“London Calling” ha 40 anni e non li dimostra

London Calling usciva nel Regno Unito il 14 dicembre 1979. Avrete notato fermento intorno a questo iconico doppio album (così uscì nel suo primo formato). The Clash: London Calling è anche la mostra che potrete vedere al London Museum fino a metà aprile. Fotografie, taccuini, capi di abbigliamento, video e documenti dell’epoca raccontano la genesi […]

Autore Tommaso Toma
  • Il14 Dicembre 2019
“London Calling” ha 40 anni e non li dimostra

Pennie Smith

London Calling usciva nel Regno Unito il 14 dicembre 1979. Avrete notato fermento intorno a questo iconico doppio album (così uscì nel suo primo formato). The Clash: London Calling è anche la mostra che potrete vedere al London Museum fino a metà aprile. Fotografie, taccuini, capi di abbigliamento, video e documenti dell’epoca raccontano la genesi e il successo di questo album.

Un oggetto davvero iconico

Ma il vero oggetto iconico in mostra sono i resti del celeberrimo Fender Precision Bass che Paul Simonon schiantò sul palco del Palladium di New York City il 21 settembre del 1979. L’attimo precedente venne immortalato da Pennie Smith per la copertina del disco.


Intanto, Sony Music ha ristampato il doppio vinile con una modifica intrigante nella copertina. Inoltre, propone anche il taccuino di Joe Strummer che farà felici tutti i fan della band.

«Il 1978 era l’anno delle chitarre veloci e furiose, ma quando i Clash decisero di incidere London Calling il loro obbiettivo era di includere più generi musicali».
Queste le parole di Don Letts (regista e DJ di origini giamaicane che nel 2003 vinse un Grammy per Westway to the World, film-documentario sulla carriera dei Clash), ripetute anche di recente in una visita italica in un negozio storico di dischi di Piacenza, l’Alphaville.



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London Calling è un album “multiculturale ed enciclopedico”

Possiamo però tranquillamente allargare il concetto definendo London Calling un album “multiculturale ed enciclopedico” che potesse rappresentare l’anima del quartiere di Brixton di Londra. Non c’è nessuna fascinazione per l’esotico, per ciò che è lontano culturalmente. Perché Joe, Mick, Paul e “Topper” facevano parte della Windrush Generation (il 2018 è stato celebrato il settantesimo anniversario dell’arrivo della HMT Empire Windrush a Londra con a bordo 1027 persone, provenienti quasi tutte dalla Giamaica).

A rendere speciale quel sound, un sublime mix di rockabilly, reggae, skiffle, soul, R&B (con un tocco di jazz) è la sua “amplificazione”, un effetto del ribollire sociale di un Inghilterra che aveva appena affidato a Margaret Thatcher il ruolo di primo ministro, è quel diverso nervosismo, quella frustrazione da sfogare in modo così esplosivo. Eppure, paradossalmente, nel momento in cui i Clash pubblicano London Calling smettono di essere punk. Perché nel 1979 il punk era già manierismo, si doveva andare oltre.

Il punk è figlio del Situazionismo

Il punk è stato l’ultimo genere musicale “figlio del Situazionismo”. Aveva preso vita e forma nelle menti di personaggi come Malcolm McLaren. Lui aveva capito come dar vita a una nuova forma di intrattenimento di massa.


Si doveva collegare tutto assieme. Dalla registrazione di un disco con pochissimo budget alla creazione di un immaginario estetico che prendesse tutto dal passato e si rimodellasse come fosse qualcosa di nuovo ed eccitante ma da consumare il più velocemente possibile.

Ad avvalorare la tesi: Don Letts aveva conosciuto meglio Joe Strummer e Paul Simonon nel “suo” negozio di vestiti, Acme Attractions al numero 153 di Kings Road, Chelsea. All’epoca, i clothing store – includeteci anche SEX della premiata ditta Malcolm McLaren & Vivienne Westwood – erano i centri nevralgici della controcultura londinese.

Riascoltare oggi London Calling ci fa ricordare il carisma dei Clash che intrapresero un breve ma intenso periodo di dischi caleidoscopici, empre più ambiziosi, tentando di racchiudere 25 anni di rock in una sintesi, sinonimo di un’intera civiltà socio-musicale.



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