Rock

Giovanissimi e “Senza Paura”: intervista ai The Minis

Julian, Zack e Mattia, in arte The Minis, hanno pubblicato il 6 settembre il loro album d’esordio “Senza Paura” per la storica etichetta Cramps Records

Autore Benedetta Minoliti
  • Il21 Settembre 2019
Giovanissimi e “Senza Paura”: intervista ai The Minis

Chiara Mirelli

Giovani, carini e… studenti liceali. Nell’epoca di Spotify e della musica trap, alzare la mano e dire «mi piace il brit pop», soprattutto quando sei un adolescente, potrebbe far storcere il naso a qualcuno. Nonostante la proposta musicale italiana sia molto variegata, i The Minis rappresentano comunque una novità. Giovanissimi (hanno tra i 14 e i 16 anni) i tre ragazzi (i fratelli Julian e Zack Loggia e Mattia Fratucelli) sono uniti dalla passione per la musica e per artisti come Oasis, Blur e Jam.

Dopo essersi esibiti dal vivo, dividendo il palco con artisti come Subsonica, Caparezza e Baustelle, il 6 settembre è uscito il loro primo album, Senza Paura, pubblicato dalla storica etichetta Cramps Records.

Come avete iniziato e come vi siete conosciuti? Insomma, chi sono i The Minis?

Zack: È nato tutto quattro anni fa da me e mio fratello, Julian. Abbiamo iniziato a fare dei concerti vicino a Torino, dove abitiamo noi, con un nostro amico che suonava la batteria. Poi magicamente è arrivato lui (Mattia). Abbiamo continuato a fare concerti, anche più grossi e più fighi, su palchi importanti. Da poco è uscito il nostro disco, Senza Paura.

Julian: Quando abbiamo iniziato io ero in quinta elementare. Un giorno mio padre si sveglia e mi dice «facciamo un gruppo», e io ho risposto: «Va bene». Ci sembrava un’idea figa, abbiamo cominciato a pensarci e lo abbiamo fatto.

A proposito di Senza Paura, cosa significa per voi essere “senza paura”?

Julian: Senza Paura prende anche il titolo dall’ultima canzone dell’album, ma queste due cose hanno due significati completamente diversi. Abbiamo dato questo nome al disco perché per noi è un messaggio: non abbiamo paura di far uscire un album, anche se siamo giovanissimi. Non abbiamo paura di suonare dal vivo e di dimostrare chi siamo. Invece la canzone parla di rapporti tra maschio e femmina. Il maschio è sempre quello più esuberante, che si mette in mostra, anche se alla fine è quello con più timore di fare le cose, mentre è la femmina è quella a essere davvero senza paura.



Come vi siete avvicinati al mondo della musica e quali sono state le vostre influenze?

Mattia: Ci siamo avvicinati alla musica grazie ai nostri genitori. Loro padre è stato, ed è, un musicista importante. Mio padre suonava, e quindi è cominciato tutto grazie a loro.

Zack: I miei genitori ascoltano un certo tipo di musica e già da piccolo ascoltavo i vinili di mio padre, prendevo le sue chitarre e strimpellavo insieme a lui.

Mattia: Per quanto riguarda le nostre influenze assolutamente i Jam di Paul Weller, The Stripse, Oasis, Bowie. Tutto il mondo brit in generale.

Avete parlato di famiglia. Julian e Zack voi siete figli d’arte, e in Italia questo non è sempre ben visto. Ne abbiamo avuto un esempio con due casi recenti, con Tredici Pietro e Leo Gassmann. Essere figli d’arte può essere quindi un peso notevole, soprattutto quando si è così giovani. Voi come vi rapportate con questa cosa? Come la vivete?

Zack: Sinceramente non gli do peso. A me interessa fare la mia musica. Vorrei trasmettere un messaggio con i nostri testi e le nostre canzoni, a me interessa questo.

Julian: Per me è lo stesso, ma trovo che sia molto importante il sostegno che ci danno i nostri genitori.

Siete giovanissimi e fate un pop/rock che ricorda la musica dei primi 10 anni del 2000. Siete una novità, nel nostro panorama, perché in questo momento non c’è quasi nessuno che fa quello che fate voi. Voi vi sentite un po’ la voce della vostra generazione?

Zack: Più che altro adesso di ragazzi che ascoltano rock non ce ne sono molti, sono pochissimi. Io faccio il liceo musicale, lì si studia la musica classica, ma comunque tutti ascoltano la trap, non c’è nessuno che ascolta il rock. Spesso mi dicono «Il rock fa schifo: è da vecchi». Tutte cavolate. Se poi però li prendi singolarmente e fate loro ascoltare gli Stones, i Led Zeppelin, gli piacciono, però non conoscono il genere e lo giudicano senza saperne nulla. Sono prevenuti.

Mattia: Ascoltano solo la musica di oggi. Non sono mai andati a cercare la musica che si faceva anche solo dieci o vent’anni fa.



Tornando a parlare dell’album, Il Fiato sul Collo è il singolo che ha anticipato il vostro disco. È un brano che racconta bene l’adolescenza e il periodo che state vivendo. Com’è nato?

Zack: Fiato sul Collo l’abbiamo scritta pensando ai nostri genitori. Ero al primo anno di superiori e non studiavo. Mia madre mi diceva: «Non uscire ogni giorno a sketare con gli amici, studia» o «Invece di giocare alla Play Station, studia», «Si, va bene, suona la chitarra, ma studia, aprilo un libro». Alla fine mi hanno bocciato e mia madre aveva ragione: dovevo studiare di più. Durante l’anno scolastico ho scritto questa canzone pensando proprio a mia madre che non mi deve stare con il fiato sul collo.

Avete firmato con Cramps, un’etichetta storica e importantissima. Come vi sentite ad essere stati scelti da questa etichetta?

Mattia: Siamo molto onorati e siamo felicissimi di farne parte. Io sinceramente mi sento molto importante, perché siamo i primi, insieme a Massaroni Pianoforti, ad essere stati scelti per rappresentare la nuova Cramps.

Avete iniziato esibendovi a Torino, la vostra città. Sempre a Torino avete aperto i Baustelle alle OGR. Com’è stata questa esperienza?

Zack: È stato uno dei nostri concerti più belli, secondo me. Infatti nel brano Luce e Caligona siamo stati molto influenzati dai Baustelle. Il giorno dopo aver aperto il loro concerto siamo rimasti folgorati, siamo andati in studio e abbiamo scritto questo pezzo, ispirandoci a loro. Ha un po’ quei suoni anni Sessanta, che a noi piacciono molto, e ci ricordano le loro canzoni.

Come vi sentite quando salite sul palco?

Julian: Al Giffoni Film Festival, prima di salire sul palco, siamo saliti su una scaletta per vedere quanta gente c’era. Io e Mattia ci siamo spaventati: c’erano davvero tantissime persone.

Mattia: Non avevamo mai visto così tante persone. Abbiamo suonato davanti a molte persone, ma di fronte a così tanti mai. C’è venuta un po’ di ansietta pre-concerto, ma è un’ansia che appena ti presentano e metti il primo piede sul palco sparisce e non pensi più a niente. Pensi solo a divertirti, il resto va da sé.

Come vi è venuto in mente di chiamarvi The Minis?

Zack: Noi ci rifacciamo a un genere molto brit, che riprende Oasis, Blur, Jam, e la Mini, la macchina, è un simbolo di culto in Inghilterra. Il nome viene da lì. Poi sì, all’inizio, con il nome giocavamo anche sul fatto che siamo piccoli, quindi era perfetto. Un sacco di persone ci hanno detto «ma adesso siete più grandi, cambiate nome!», però il nostro nome deriva principalmente dalla macchina. Ci ha sempre portato fortuna, quindi non pensiamo di cambiarlo.

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