Una rock lady in FM: intervista a Giulia Salvi di Virgin Radio
Modenese, trent’anni tondi tondi, con un passato da modella e da VJ su All Music: dal 2008 Giulia Salvi è una delle voci di Virgin Radio con programmi che fanno il punto su passato e presente del mondo rock
Modenese, trent’anni tondi tondi, con un passato da modella e da VJ su All Music: dal 2008 Giulia Salvi è una delle voci di Virgin Radio con programmi che fanno il punto su passato e presente del mondo rock. Ma attenzione a mettere paletti di genere: «Parlo di generi ma io mi batto sempre per la soppressione delle etichette, almeno nella musica». L’artista femminile più iconica di oggi? Lady Gaga: «Una performer a 360 gradi, dalle qualità canore e musicali indubbie». Il futuro del rock, forse, sta nelle contaminazioni.
Tu hai un’identità pubblica molto forte e ben delineata: non sono tante le “ragazze del rock” della radio italiana. Quali sono stati i tuoi modelli? Penso per esempio a Paola Maugeri.
Sì, assolutamente. Quando ero ragazzina e passavo pomeriggi interi davanti a MTV lei e tutti i VJ erano i miei idoli. Paola, in particolare, arrivava proprio alle mie band preferite: all’epoca di Select le intervistò tutte. Mi avvicinò a quella che poi diventò la mia band del cuore: vidi a 10 anni un video degli Him. Poi ne persi totalmente le tracce anche perché all’epoca non avevo internet. Un pomeriggio del 2001 la vidi in studio con Ville Valo (il frontman della band, ndr) e mi illuminai perché riuscii a recuperare tutta la loro discografia. Per me lei è stata importantissima. Ogni tanto glielo ricordo e si mette a ridere.
Tu pensi che nel mondo del rock – di ieri e di oggi – le donne siano numericamente sottorappresentate?
È un quesito che ho posto in trasmissione. Provocatoriamente avevo detto: “Il rock non è più roba da donne”. Fino a un certo punto lo è stato: se ricordiamo gli anni ’90, con Skunk Anansie, Garbage e No Doubt, ce n’erano di donne. Al giorno d’oggi se ci sono delle donne nel rock di certo non fanno da headliner nei festival. Mi sono state citate band metal o symphonic metal oppure gruppi minori che magari hanno un buon seguito ma non arriverebbero a riempire mezzo Alcatraz. Oppure mi hanno citato gente come Debbie Harrie, che va benissimo ma ha 72 anni.
Oltre alla radio tu fai anche molti DJ set. La selezione musicale è simile a quella delle tue trasmissioni o spazi più liberamente?
Provo sempre a fare qualcosa che sia un po’ più mio. Dipende dai locali: magari nei locali di nicchia hai un pubblico più ricettivo che magari è ben disposto ad avere una sonorità un po’ più pesante. Se si tratta di serate magari in nome della radio o in cui lo scopo è di far ballare 4mila persone, allora in quel caso ci si avvicina ai grandi riempi-pista che proponiamo anche in radio. Le mie serate preferite sono quelle in cui non balla nessuno così posso mettere quello che voglio!
Fra tutti i programmi che hai fatto qual è quello a cui sei più affezionata?
Quello che faccio adesso (Personal Giulia, ndr) lo amo perché è in continuo divenire. È nato come riempitivo di una fascia in cui non aveva mai parlato nessuno prima a Virgin Radio perché non c’erano programmi condotti dalle 11 alle 14. È stato un grandissimo onore per me anche perché vengo dopo Paola e prima di Ringo. Poi nel mio passato ero legatissima a Off Live su All Music: è quello che mi ha fatto fare le prime interviste, come ad esempio ai Babyshambles di Pete Doherty.
L’estate scorsa sei stata al Cal Jam. Secondo te vedremo mai eventi del genere in Italia anche in Italia?
Secondo me ci stiamo avvicinando. Siamo lenti come al solito, però pensa a quanti grandi nomi sono venuti in Italia nel 2017. Dieci anni fa sarebbe stato impensabile. Dal punto di vista musicale non ci possiamo lamentare. Dal punto di vista organizzativo invece si può migliorare. Il problema non è tanto arrivare a un concerto, il problema è mantenerti quando sei lì dentro. Col fatto che stai lì tutto il giorno bisogna creare una location che non ti faccia arrivare alla sera distrutto: l’acqua deve essere gratis, ci deve essere il prato e così via.
Tu hai un grande seguito social. Che tipo di interazione c’è fra te e i tuoi follower? Hai anche i famigerati hater?
Gli hater ci sono eccome! Sono sempre gli stessi. Se capisco che si tratta del caso umano che per svoltarsi la giornata mi deve insultare mi sento quasi utile nei suoi confronti. Se è l’acidona di turno che spara a vanvera perché il tipo le ha messo le corna allora mi piace rispondere facendo capire che con me casca male. Con qualcuno ci provo e poi mollo il colpo, mentre alcuni riesco addirittura a portarli dalla mia. Per quanto riguarda gli altri follower, quando scrivono sono sempre felice di rispondere, soprattutto quando vedo che sono affezionati da anni. Magari da quel punto di vista mi trovo meglio con Instagram perché non ho il filtro della radio: la gestisco io direttamente.
Qual è il ruolo della radio in un panorama musicale dominato dalla facilità e dall’universalità di accesso ai contenuti musicali?
Secondo me è ancora una guida musicale. Innanzitutto noi siamo la scuola del rock: abbiamo il compito di far avvicinare la gente al rock e poi da lì ognuno sceglie che pista prendere, che sia il metal, il gotico, la new wave e così via. Virgin Radio ha anche il compito di ricordare che esistono i grandi, perché c’è un mare di artisti di nicchia e pochi magari si ricordano chi è che ha fatto la storia della musica. Poi – sembra assurdo ma è così – esiste una grande fetta di popolazione che non smanetta sui social o su Spotify: è la gente “normale”, quelli che si fanno un’ora mezza all’andata e al ritorno in macchina tutti i giorni e quando arrivano a casa non hanno certo voglia di mettersi su Spotify o YouTube.
Qual è oggi lo spazio per il rock in un periodo in cui le nuove generazioni sembrano preferire generi molto distanti, dall’hip hop alla dance commerciale?
Secondo me ci si sta “imbastardendo” un po’ tutti in senso positivo. I generi tenderanno a sparire sempre di più, fermo restando che i “duri e puri” rimarranno. Però è anche vero che le mode sono cicliche. A volte mi chiedo se il rock sia davvero decaduto. C’è un utilizzo spropositato del termine. Le più grandi fashion blogger si mettono uno sputo di pelle addosso e postano su Instagram: “Oggi rock style”. Quindi dal punto di vista visivo il rock è ricercatissimo, lo trovi dappertutto. Dal punto di vista sonoro un po’ meno. Però prendi per esempio l’ultimo album degli U2: può piacere o meno, ma gli U2 che fanno un singolo con Kendrick Lamar…