Artisti e coming out: cosa ci ha insegnato Mahmood
Nuove polemiche su Mahmood, primo classificato al Festival di Sanremo 2019. E se invece ci concentrassimo sulla sua musica?
Mentre le polemiche post-Sanremo stanno ancora popolando i salottini dei programmi televisivi e molte (troppe?) pagine di giornali e siti web, si è deciso che il problema dell’Italia di questi giorni sia l’omosessualità (presunta o tale) di Mahmood.
Sono molti i commenti su questo argomento che stanno riempiendo i social network in questo momento. Mahmood è gay? Mahmood è etero? Mettete da parte l’agenda politica ed economica del nostro Paese. Ma pure il pianto di Wanda Icardi in diretta TV. Ormai è tutto passato in secondo piano: l’Italia deve decidere – e dare il proprio parere – sulle questioni private dell’artista di Soldi (che oggi è stata certificata disco d’oro).
Tutto è nato da alcune dichiarazioni del cantante di Gioventù Bruciata prima e dopo Sanremo. Partiamo dalle sue parole prima del boom mediatico che l’ha coinvolto. In un’intervista a Vanity Fair, Alessandro (questo il suo vero nome) ha dichiarato: «Il coming out di personaggi pubblici, in realtà, può aiutare gli altri. Ma penso anche che sia sbagliato parlare di queste cose. Dichiarare “Sono gay” non porta da nessuna parte, se non a far parlare di sé. Andare in TV da Barbara d’Urso per raccontare la propria omosessualità mi sembra imbarazzante: così si torna indietro di cinquant’anni». Oltre al riferimento al caso di Marco Carta, che ha approfittato del suo annuncio per lanciare un nuovo singolo (scelta sua!), nulla di sconvolgente.
Ma passiamo alle dichiarazioni rilasciate oggi, lunedì 18 gennaio, al Corriere della Sera. «Io non ho mai detto di essere gay. La mia è una generazione che non rileva differenze se hai la pelle di un certo colore o se ami qualcuno di un sesso o di un altro. Io sono fidanzato, ma troverei poco educata la domanda se ho una fidanzata o un fidanzato. Specificare significa già creare una distinzione».
Non l’avesse mai fatto. I social network sono pieni zeppi di commenti (alcuni dei quali davvero pesanti) alle sue parole. Molti criticoni lo accusano di non volersi esporre perché tutto ciò comporterebbe una riduzione del suo pubblico, soprattutto in questa fase così delicata per la sua carriera. Altri sottolineano l’utilità che certi “coming out” hanno avuto in questi anni: sono segnali importanti, soprattutto per chi fatica ad accettare la propria condizione e pure per chi si rende protagonista di orrende discriminazioni. Tutto vero. Al cento per cento.
Siamo nel 2019. Il fatto che si parli ancora di omofobia è vergognoso. Sono ancora troppi i casi in cui l’omosessualità è vista come un difetto, un motivo di odio e violenza. E questo è un problema della società di oggi che va contrastato.
Ma accusare chi, invece, decide liberamente di non esporre la propria vita privata è proprio un’altra cosa. Che, a dirla tutta, sembra proprio un’inversione di rotta di quel movimento colorato che vuole vedere riconosciuti i propri diritti. Siamo così sicuri che porre un’etichetta, l’ennesima, sia per forza di cose un passo in avanti? E se non ci fosse bisogno di etichettare proprio nulla?
Nel processo di normalizzazione di una condizione come quella dell’omosessualità, forse il non sentirsi obbligati a sbandierare a TV e giornali le proprie abitudini in camera da letto non è già una conquista? Chissà…
Mahmood appartiene a una generazione che forse molti adulti faticano a comprendere. Dopo la sua vittoria, alcuni politici hanno addirittura proposto l’obbligo per le radio italiane di dedicare «almeno un terzo della loro programmazione giornaliera alla produzione musicale italiana», sperando di andare contro il vincitore e la sua musica. Ma dimenticando che Alessandro Mahmoud è italiano al cento per cento. Nato e cresciuto a sud di Milano. Diciamo la verità: le numerose domande all’artista riguardo al suo sentirsi italiano puzzano di vecchio. Di pregiudizio. E raccontano della difficoltà di molti di accettare che, anche se ha origini egiziane, è di fatto italiano così come tutti noi. Assurdo, eh? Quasi incredibile.
La generazione di Mahmood non ha bisogno di etichettare ogni cosa. La normalità non è per forza di cose una bandiera orgogliosa che finisce nei titoli delle riviste patinate, ma può anche essere il viversi serenamente. Senza sentire il bisogno di dare al pubblico ogni informazione riguardo alla propria sfera privata. Questo non è nemmeno ipotizzabile per chi, invece, pretende che se sei un personaggio pubblico devi raccontare tutto ciò che ti riguarda. Altrimenti non sei interessante. Non stai alle regole del gioco.
Ma abbiamo una proposta. La morbosità della stampa italiana e di molti leoni da tastiera nei confronti della vita di Mahmood potrebbe essere risolta in un modo: perché – invece di criticare la libera scelta di chi ha una propria opinione – non ascoltate i suoi brani? Quando si è artisti, si usa la propria musica per raccontare chi si è. Fidatevi, anche perché la sua è proprio una bella storia.